L'esperimento di Stanford e l'effetto Lucifero
Hai mai pensato a cosa potresti diventare se ti dessero troppo potere in uno spazio chiuso?
10min
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Episodi di Psicostorie
Ciao Sono Valentina, psicologa di Stimulus Italia. Oggi vi porto con me alla scoperta dell’esperimento di Zimbardo chiamato “Prigione di Stanford”.
Il seminterrato in cui ti trovi non ha finestre sul mondo esterno, le luci al neon non ti permettono di capire che ore sono. Noti subito che tutte le stanze si affacciano su un unico corridoio e che al posto delle porte sono presenti delle sbarre. Sembra davvero una prigione. Gli è stato dato persino il nome di Stanford County Prison.
Sei capitato nel gruppo delle guardie insieme ad altri ragazzi, ti hanno dato l’uniforme, il fischietto, il manganello e le manette. La divisa è ben stirata, metti il fischietto al collo. Il manganello che ti hanno dato è molto pesante e non sai come tenerlo, le manette invece decidi di agganciarle subito alla cintura. Ti colpisce il rumore che fanno quando cammini, ad ogni passo sbattono contro le chiavi delle celle. Indossi anche degli occhiali da sole riflettenti, chi ti guarda non può vedere i tuoi occhi. Ti rendi conto che gli altri, i detenuti, non riescono a capire le espressioni del tuo viso. Ora sei pronto ad iniziare il tuo turno nella Stanford County Prison.
Quando hai accettato di partecipare a questo esperimento non pensavi potesse essere così reale.
L’esperimento del 1973 di Zimbardo e colleghi è fra i più celebri esperimenti di psicologia sociale, conosciuto anche dalle persone al di fuori del mondo accademico.
L’obiettivo principale di questo studio era quello di dimostrare quanto le situazioni sociali siano in grado di determinare reazioni aggressive. Allo stesso tempo, sottolineava quanto identificarsi in un ruolo con specifiche caratteristiche possa influenzare il comportamento delle persone.
Per realizzare questo esperimento, i ricercatori pubblicarono un annuncio sul giornale in cui veniva proposto di partecipare ad una ricerca sulla vita nelle prigioni. I ragazzi che risposero all’annuncio furono 75 studenti del college di Palo Alto. Valutati attraverso una batteria di test, vennero scelti 24 ragazzi, di ceto medio e di istruzione elevata, seguendo dei criteri di selezione: l’assenza di psicopatologie, di comportamenti antisociali e di atteggiamenti discriminatori.
Lo scopo di questi criteri era quello di selezionare persone equilibrate e non attratte da comportamenti devianti.
I partecipanti vennero poi suddivisi casualmente in due gruppi, uno delle guardie e l’altro dei detenuti. I detenuti furono obbligati ad indossare una divisa con numero identificativo, un berretto e una catena legata alle caviglie. Le guardie indossavano un’uniforme e degli occhiali da sole riflettenti. Inoltre, vennero dotate di manganello, manette e fischietto.
Il primo giorno di esperimento trascorse tranquillamente. Le guardie imposero delle regole e fecero ronde lungo il corridoio per controllare le celle; a loro volta, i detenuti faticavano a sottostare alle regole imposte, senza prendere sul serio la situazione e continuando a scherzare.
All’alba del secondo giorno, i detenuti organizzarono una rivolta. Si spogliarono e si barricarono all’interno delle celle, urlando contro le guardie. Il loro obiettivo era quello di denunciare i comportamenti aggressivi e sadici delle guardie nei loro confronti. Nel cuore della notte il gruppo delle guardie aveva svegliato i detenuti, senza una reale necessità, costringendoli ad eseguire una serie di flessioni e di azioni umilianti.
Vennero a crearsi tre tipologie di guardie. Le prime erano quelle severe ma corrette, che seguivano scrupolosamente le regole della prigione. Le seconde erano quelle più permissive, che concedevano qualche favore e che non punivano mai i prigionieri. Infine, un terzo gruppo era costituito da ragazzi che si mostravano ostili, autoritari e infliggevano punizioni umilianti ai prigionieri. Sembrava che questo gruppo di guardie godesse pienamente del potere loro concesso.
Nei giorni a seguire i comportamenti aggressivi di questa tipologia di guardie continuarono, diventando sempre più intensi. Una foto scattata in quei giorni ritrae un detenuto con le manette ai polsi e un sacchetto di carta in testa, la guarda al suo fianco che con aria seria e imperturbabile stringe il suo gomito.
L’aggravarsi del comportamento ostile delle guardie e la sofferenza emotiva manifestata dai detenuti, portò all’interruzione anticipata dell’esperimento. Sarebbe dovuto durare 14 giorni, si fermarono al sesto.
Ciò che emerge da questo esperimento è che, nonostante il ruolo fosse stato assegnato casualmente, i soggetti impiegarono pochissimo tempo ad assumerne i valori e le caratteristiche. Secondo Zimbardo, questo accade perché la situazione sociale e il rapporto che le persone hanno con il potere, può determinare l’emergere di comportamenti violenti.
Vuol dire che la manifestazione di condotte aggressive e sadiche non è legata esclusivamente a fattori di personalità pre-esistenti. Infatti, come ricordiamo, gli studenti selezionati per l’esperimento erano stati valutati come equilibrati. Ma a determinare questi comportamenti sono le variabili situazionali dettate dall’ambiente, dal ruolo assunto, e dal potere esercitato sugli altri.
Un fattore che ha facilitato tali atteggiamenti e comportamenti è stato anche il processo di de-individuazione a cui tutti i soggetti sono stati sottoposti. La de-individuazione comporta una diminuita consapevolezza di sé e un’aumentata identificazione con gli scopi del proprio ruolo. Pensiamo agli occhiali da sole riflettenti, che non davano la possibilità di vedere le espressioni del viso; la possibilità di usare le manette e il manganello per infliggere punizioni; oppure la divisa uguale per ciascun detenuto e il numero identificativo a loro assegnato. Questi sono meccanismi che aumentano il senso di anonimato e diminuiscono la responsabilità individuale, portando i soggetti a focalizzarsi sul presente, tralasciando le conseguenze delle proprie azioni.
Zimbardo ha definito il risultato dell’esperimento Effetto Lucifero, dimostrando quanto persone buone, considerate normali, possano diventare aggressive e perpetrare azioni disumane, nel momento in cui si presentano condizioni specifiche.