L’accoglienza come miglior nutrimento
Scopriamo insieme l'esperimento della "Madre Surrogata"
6min
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Episodi di Psicostorie
Ciao sono Marco, psicologo di Stimulus Italia. Oggi vi porto con me alla scoperta dell’esperimento di Harlow chiamato “la madre surrogata”.
Tra il 1958 e il 1965 lo psicologo statunitense Harlow condusse una serie di esperimenti sui cuccioli di scimmia macaco: lo scopo fu quello di studiare il bisogno di attaccamento dei cuccioli a poche settimane dalla nascita. Vennero separati dalle madri e isolati in delle gabbie, all’interno delle quali vennero introdotti due sostituti: un manichino costruito con materiali morbidi ma che non forniva nessun tipo di nutrimento al cucciolo, e un manichino di metallo ma in grado di fornire nutrimento al piccolo macaco tramite un biberon.
È stato osservato come i cuccioli di macaco trascorressero più tempo a contatto con il manichino di pezza, anziché con il manichino di ferro in grado di nutrirli: si avvicinavano ad esso solo quando il senso di fame era alto a tal punto da avere assolutamente bisogno di cibo. Finito di nutrirsi, tornavano tra le “braccia” del manichino morbido ma non in grado di nutrirli.
Questo celebre esperimento propose l’idea secondo cui i bisogni sociali di un essere vivente superino addirittura quelli fisiologici, come il mangiare, il bere, il dormire. Non sappiamo quanto Maslow, altro importante studioso nel ramo della psicologia sociale, sarebbe stato d’accordo con tale postulato. Maslow è noto per aver costruito la famosa “piramide dei bisogni”, che ordina in modo gerarchico i bisogni che l’uomo deve soddisfare: da quelli fisiologici come la fame, a quelli più alti come l’autorealizzazione. In parole più semplici, se hai freddo, fame, sonno, secondo Maslow, difficilmente ti importerà di soddisfare il bisogno di autorealizzazione in ambito lavorativo o scolastico!
Ma tornando all’esperimento di Harlow e ai cuccioli di macaco, ciò su cui può valere la pena riflettere è che aspetti quali la vicinanza, il contatto, il supporto sembrano poter donare un conforto che nemmeno acqua e cibo saprebbero donare. L’importanza di un contesto in grado di accoglierci, farci sentire “al caldo”, “al sicuro”, può essere riscontrata nei diversi ambiti della vita in cui ci troviamo a vivere e ad interagire: da quello familiare a quello sociale, da quello scolastico a quello lavorativo.
Facciamo alcuni esempi che potrebbero essere utili per approfondire questo concetto.
Proviamo ad immaginare una persona che vive in una famiglia agiata, benestante, in cui “non manca niente”: cibo e bevande a volontà, vestiti, giochi, strumenti di studio e lavorativi all’avanguardia e ogni genere di desiderio realizzato. Cosa succederebbe se all’interno di un contesto così “ricco” non ci fosse mai la possibilità di trascorrere del tempo insieme al proprio genitore a parlare del più o meno, a condividere momenti di gioia o difficoltà? Sarebbe tutto ancora così bello?
Al contrario, proviamo a pensare ad una situazione da un punto di vista economico molto più modesta: due genitori che lavorano ma guadagnano quel che basta per portare il pane in tavola. Però allo stesso tempo sono genitori sempre pronti ad ascoltare il racconto della giornata dei propri figli, disponibili a coccolarli e a giocare con loro.
Certo, questi esempi potranno sembrare un po’ estremi, ma intendono proporre una sfida riflessiva per ognuno: il contesto in cui vivi rispecchia i tuoi bisogni più profondi? Quali spazi hai all’interno della tua famiglia per condividere ciò che per te è importante? Quanto spesso, al lavoro, ti viene data la possibilità di condividere proposte, idee, introdurre cambiamenti che sentiresti importanti? Quanto ti senti visto, accolto, al sicuro, lì dove sei? Cosa senti che ti manca, nella tua sfera personale e/o professionale, per sentirti veramente bene?
È importante, ogni tanto, fermarsi nella corsa rovinosa della nostra quotidianità frenetica e domandarsi: Come sto? Qui dove sono, sto bene, sono soddisfatto/a? Magari mi “riempiono di cibo”, di soldi, ma avrei bisogno anche di altro? Oppure ho tutto lo spazio che voglio per esprimermi e venire ascoltato/a ma non vengo “nutrito”, non ricevendo niente in cambio, nessun riconoscimento?
Riprendendo l’esperimento presentato all’inizio, l’accoglienza, il calore emotivo, sembrerebbero costituire il miglior nutrimento possibile che possiamo ricevere e offrire a chi ci circonda. È possibile, un passo alla volta, pensare e provare a costruire un equilibrio tra la soddisfazione dei nostri diversi bisogni, da quelli più basilari a quelli più complessi.