Abitudini
Cosa sono le abitudini, come si costruiscono e come si rafforzano
12min
Cosa sono le abitudini, come si costruiscono e come si rafforzano
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Cambiamento. Cambiamento del proprio comportamento, della propria attitudine. Molti concetti relativi a come funziona la nostra mente sembrano ovvi. Ma come diceva Sherlock Holmes, “Nulla è più ingannevole di un fatto ovvio.” Ed è dannatamente così. Prima di considerare qualsiasi cambiamento occorre capire di che pasta siamo. Di che mindset generico. E qui Carol Dweck fa una bella distinzione.
Tra l’altro trovate il libro anche qui su 4books, “Mindset”. La distinzione tra Fixed Mindset e Growth Mindset. Distinzione semplice ed efficace. Fixed Mindset è una mentalità che ragiona per obiettivi e risultati, lasciando in secondo piano la crescita personale. Se non raggiungo un risultato, lo considero un fallimento, e riprovo. Un approccio statico, legato al dimostrare a se stessi capacità e status.
La growth mindset funziona al contrario. Il risultato è in secondo piano, soprattutto se non porta crescita. È più interessante invece il fallimento, l’ostacolo. Perché da questi posso portare a casa lezioni, costruirmi, migliorare, crescere. Perché questo è molto importante per noi? Perché è l’unico vero approccio nel creare comportamento, nel creare abitudine. Mi spiego. Come per l’esempio appena fatto, anche le abitudini possono essere approcciate per obiettivi, o per crescita.
Andiamo subito sul pratico, immaginandoci di voler lavorare sul nostro corpo, con l’attività sportiva. È un esempio che calza sempre bene perché tutti ne conosciamo le frustrazioni. Immaginiamoci sotto una fixed mindset. Vado in palestra per raggiungere un obiettivo. Considerando che la mia attenzione è sul risultato, possiamo dire che sarebbe comodo per me raggiungerlo nel minor tempo possibile.
Non sono concentrato sul percorso, non mi interessa. Mi visualizzo lì, alla fine. Questo modo di pensare però si porta dietro una serie di problemi. Innanzitutto il viaggio diventa puro lavoro. Probabilmente più lungo di quanto io posso pensare. E qui si veda l’effetto Dunning-Kruger - ne ho fatto un video a riguardo su YouTube. Inoltre è proprio un lavoro brutto. Perché ogni giorno che passa, io non ho alcun tipo di ricompensa. Anzi, ogni giorno che passa, l’unica cosa che posso notare è quanto distante io ancora sia dal traguardo. La motivazione quindi si riduce, e quando questa manca, ho due soluzioni. Mollare, o utilizzare la forza di volontà.
Che è una cosa che richiede energie assurde. Va usata come uno sprint, come il protossido d’azoto nelle auto, il NOS, ma non posso usarla in un percorso da maratoneta. Le mie energie sono limitate. Su questo poi ci torniamo.
Pensiamola ora sotto il profilo della crescita, del growth mindset. Sono meno interessato ad arrivare ad uno specifico risultato perché punto alla mia crescita. Punto al benessere nell’immediato presente. Cosa significa in termini di attitudine? Bene. Diciamo che intanto, non avendo il traguardo come motivazione principale, il tempo diventa meno importante. Non ho fretta di arrivare. Quello che mi interessa è trovare una mia dimensione in questo nuovo viaggio. Un ritmo, e anche il piacere nel farlo. Baserò quindi le mie azioni sul sensibilizzarmi rispetto a quello che l’attività fisica mi offre nel quotidiano. In questo modo avrò più focus sul mio corpo, notando ad esempio che le mie giornate sono scandite meglio. Ho più energia, affronto meglio la quotidianità. Questo dà un senso nel fare esercizio anche domani. Sto trovando la motivazione. Che è data dalla ricompensa immediata di sentirmi meglio. Non avendo fretta, mi ritmerò in modo da equilibrare lo sforzo al risultato, in modo che questa equazione sia gestibile nel lungo periodo. In sostanza sto ragionando come un maratoneta. MA soprattutto, non sto pensando in termini di “arrivare da qualche parte”. Sto pensando di cambiare una mia abitudine per sempre, perché mi appaga. Ed ecco che con questo sistema, il traguardo va a sparire, perché non esiste più. Ogni giorno voglio essere così, e probabilmente continuerò senza scadenza nei mesi o negli anni. Non ho bisogno di fare le cose fatte bene, non ho bisogno di fare le stesse ripetizioni o di incrementarle giorno per giorno. Me la vivo più in armonia. Questa è la base di qualunque abitudine reale, di quelle che rimangono nel tempo e diventano parte di noi. Hanno un paio di caratteristiche:
Ok... ma scendiamo ancora di più nel pratico. L’obiettivo quindi non è più l’obiettivo, ma è il creare un sistema. Bene. Come lo facciamo? Abbiamo detto piccoli incrementali.. ma cosa significa? L’abitudine è un comportamento sistematico.
Il traguardo ne diventa il suo semplice output. Per creare sistema, dobbiamo immaginarci un macchinario, dove ogni ingranaggio muove l’ingranaggio successivo. L’idea, è quella di creare delle microazioni semplici, che una dopo l’altra strutturano nel nostro cervello delle connessioni neurali stabili. Sembra complicato, ma non lo è.
Prendiamo l’alzarsi la mattina. Facciamo finta di volerci alzare più presto e abilitando il nostro corpo in maniera corretta. Ora: spesso la prima cosa che facciamo è mettere la sveglia presto. E lo facciamo con la mentalità del presente. In questo momento sono sveglio, attivo. Metto sveglia. Cosa ci vuole a alzarsi! Su! E spesso diventiamo egoisti rispetto al nostro noi di domani Ma come abbiamo già detto, spesso sbagliamo ad applicare il nostro stato mentale sugli altri.
Lo stesso errore può essere fatto su noi stessi. Pensare che domani mattina avrò la stessa attitudine e motivazione che ho ora è semplicemente errato. A supporto di questo intervengono anche le neuroscienze. È stato scoperto che quando immaginiamo il nostro sé del futuro.. beh non lo consideriamo parte di noi. Si tratta di un’area, la corteccia prefrontale mediale, che si occupa di tutto ciò che ha a che fare con il comportamento e stati emozionali relativi al sé referenziale. Ma si è visto che quando pensiamo al nostro sé del futuro, questa non si accende. Non opera.
Quando pensiamo a come ci sveglieremo domattina, è come se pensassimo ad una persona a noi sconosciuta. E allora prendiamo questo spunto dalle scienze cognitive, e operiamo di conseguenza! Non conosciamo questa persona.. come la portiamo dal letto ad essere bella sveglia, operativa, con il corpo acceso e pronto per la giornata? Alla Pollicino. Una piccola azione dietro l’altra la portiamo fuori dal letto, fino al bagno, alla cucina. Fate pure finta che al posto di una persona sia un gatto, funziona solo che meglio, dal momento che appena svegli siamo poco razionali, molto istintivi e animali. Nella pratica? Suona la sveglia.
Devo evitare che la persona la rispenga. Sposto la sveglia a 2 metri dal letto. L’individuo a noi sconosciuto si dovrà alzare per spegnerla. A fianco alla sveglia metto un bicchiere d’acqua, preparato la sera prima. Spegnerà la sveglia e, anche per istinto fisiologico mattutino, gli verrà facile bere quel bicchiere. A questo punto il corpo si attiva a partire dalla deglutizione. È in piedi, ha bevuto. È già più difficile tornare al letto. Posso forzare le cose con degli stimoli ulteriori, e delle ricompense. Potrei lasciare il cellulare nel bagno. Oramai uno dei primi istinti è quello di aprire i social. Nel bagno, con il cellulare a fianco al lavabo può lavarsi il volto, che è un ottimo aiuto al risveglio. Da qui il corpo è già in movimento, sia a livello motorio che interno.
Gli occhi sono ben aperti. Tornare nel letto è meno sensato. Chiaro che se siamo andati a letto tardi la sera prima, il tutto diventa più difficile. Ecco perché mettere la sveglia e preparare il bicchiere d’acqua la sera prima. Dal momento che facciamo fatica a legare gli eventi delle sera precedente alle conseguenze del giorno dopo, un ottimo comportamento è quello di avvicinare causa ed effetto tra sera e mattina seguente. Ora, questo è un esempio semplice. Ma sta alla base di creare sistema.
Non sto pensando a raggiungere un risultato. Sto organizzandomi per cambiare la mia attitudine, il mio comportamento per il resto delle mie giornate, senza fine! E la cosa bella, è che più organizzo sistema attraverso una concatenazione di eventi, più diventa facile agire per automazione. E un’abitudine si consolida proprio con l’automazione, passando da una zona all’altra del cervello. Dalla corteccia prefrontale, fino ai gangli della base. La parte più antica della nostra mente. Ciò che è lì, è li per restare.
E quando vi chiedete se l’automazione sia possibile, pensate sempre a come guidate l’auto. Quante azioni subconsce in successione molto articolate, eseguite nel mentre che pensate a tutt’altro. In tutto questo processo che abbiamo visto in questo episodio, possiamo indivuduare dei termini che possono aiutarci a generarne un equazione. L’equazione dell’abitudine. Punto da cui possiamo definire in modo matematico ogni nostra nuova strategia per provocare un cambiamento nel nostro comportamento. Sia per generare un’abitudine, sia per toglierne una malsana. Vi aspetto nel prossimo episodio!
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