01. Una breve introduzione
Bentornati al settimo episodio di questo podcast. A parlare di un tema che ci riguarda immensamente. Effettivamente viviamo di conflitti. Non nel senso di litigi, ma di incomprensioni, di chiavi di lettura differenti, di versioni diverse e soggettive della realtà. Il tema del conflitto mi sta molto a cuore perché è così poco esplorato e allo stesso tempo, conoscerne le dinamiche, migliora immensamente la qualità della vita. A partire dalla semplice quotidianità. Lo si capisce ponendosi una semplice domanda: in questo preciso momento in cui state ascoltando questo podcast... anche in questo momento, se ci pensate, avete molto probabilmente una situazione non risolta con qualcuno. O un tema aperto... un qualcosa che non è come vorreste che fosse. Il tema dei conflitti dovrebbe essere insegnato a scuola, fin dalle elementari, perché ci aiuta a capire come comprendere il prossimo. E dal momento che siamo animali sociali, questo significa condizionare a tutti gli effetti il nostro presente. E allora come affrontare questa grande sfaccettatura della nostra vita? Partendo, come sempre, da noi stessi. E da una cosa chiamata scala dell’inferenza.
02. La scala dell’inferenza
Chris Argyris era un professore alla Harvard Business School ed era noto per il suo lavoro sulle organizzazioni di apprendimento. Ha sviluppato questa interessante teoria che ha a che fare con il come organizziamo la nostra percezione della realtà e come, di conseguenza, ci creiamo dei veri e propri film mentali. Tenterò qui, di rendervela facilmente comprensibile, anche perché non è assolutamente complicata.
Ma se poi la cercate nel web, troverete moltissime rappresentazioni grafiche di quello che diremo. Innanzitutto è una scala. E quindi è fatta di scalini, di vari passi, 6 per l’esattezza, che descrivono come creiamo la nostra realtà in qualunque situazione, formandone una convinzione, un credo. Il primo scalino è quello dell’osservazione. Accade un fatto, e lo osserviamo.
Portiamo un esempio. Classico…. Stiamo per parcheggiare, mettiamo la freccia, iniziamo la manovra, quando qualcuno in auto arriva e ci frega il posto senza permetterci di agire. Il fatto oggettivo, è che qualcuno ha parcheggiato dove intendevamo noi.
Da qui, il secondo scalino: la selezione dei dati. La realtà oggettiva è piena di input. Noi in questa fase selezioniamo le informazioni che ci servono per poter concentrarci su quello che è accaduto.
Considerate che già qui, al secondo scalino, ciò che decidiamo di considerare come elementi validi su cui concentrarci, ha a che fare con la nostra personale esperienza di vita, e come questa ci condiziona nello scegliere ciò che è rilevante, da ciò che non lo è. È come se già qui, da un fatto oggettivo, ci chiedessimo: ma quindi? Che sta succedendo? Eh... nel parcheggiare, per esempio, potrei considerare come poco importanti, vari elementi del contesto, per concentrarmi su me, la mia auto E LA MIA FRECCIA, e quest’altra auto con un tipo agitato dentro che senza neanche guardarmi o farmi cenni di sorta, mi frega il posto.
Terzo scalino: significato. Ora, con gli elementi che ho selezionato, tento di attribuire un significato alla vicenda. Qui spesso già facciamo l’errore di non considerare appunto gli elementi esclusi.
Ma procediamo per comprendere: il tipo che mi ha fregato il posto lo ha fatto senza prendere in considerazione il fatto che stessi parcheggiando io. Non solo: è stato avventato, mi ha chiaramente visto e non si è degnato di farmi alcun cenno di scuse. Mmmh: la cosa non mi piace. Chimicamente si stanno già attivando una serie di cose.
Quarto scalino: ipotizzo e traggo conclusioni.
In qualche versioni questo viene suddiviso in due scalini, ma il concetto che a noi interessa è lo stesso. Ho i dati, selezionati, ho il mio significato, posso presupporre e risolvere razionalmente cosa sia accaduto. Questo personaggio, un poco di buono senza educazione, mi ha fregato il posto e se ne frega pure del mio punto di vista, di quanto ingiusta sia questa situazione e di come io potrei reagire. Non mi serve altro. Il quadro è chiaro. E qui evito le parolacce perché è un podcast per bene questo, ma so bene come definire questo autista nella mia mente.
Quinto scalino: adotto, rettifico le mie convinzioni sul mondo. Qui è dove prendo l’esperienza che ho appena vissuto, e la sommo alle esperienze di vita vissuta, per confermare ancora una volta a me stesso, che la fuori è pieno di persone maleducate, che non hanno riguardo per il prossimo. La mia chiave di lettura sulla vita viene in qualche modo “aggiornata” in questa fase. Ora, per me, la realtà delle cose è questa. Ancora una volta, confermata.
Sesto scalino: Azione. Basandomi su quello che è accaduto, e sommandolo con le esperienze di vita vissuta, decido (o meno) di agire. Ora esco dall’auto e vado a dirgliene quattro al tipo. O per chi ha visto “una giornata di ordinaria follia”, potrei agire in modo molto più drastico. Dipende da quante volte sono stato condizionato da situazioni simili a questa. Potrei anche avere ancora un forte credo positivo rispetto all’umanità e pensare che “avrà avuto i suoi motivi...” eh, ma sappiamo che spesso non è così. Ora: questo è un film mentale. È tutto nella mia testa. Ma ha dannatamente senso. C’è poco da discutere. La situazione è chiara.
Ma eccovi un finale che può far traballare tutta la mia teoria: Esco, vado dal tipo, gli urlo di tutto, ma nel mentre mi rendo conto che qualcosa non torna. Dalla parte del passeggero esce a fatica una signora, chiaramente incinta. Qualcosa si rompe nella mia realtà. Faccio zoom-out, ridimensiono. Mi rendo conto che più avanti qui c’è una clinica. Non l’avevo vista, o forse l’avevo esclusa dai dati selezionati. Altro passo indietro: forse la clinica non la potevo vedere... ma non c’era posto da nessuna parte per parcheggiare.
Non faccio neanche a tempo a rivoluzionare la mia realtà soggettiva, che il tipo uscendo dall’auto sbracciando mi chiede scusa in velocità, dicendo che gli spiace tantissimo ma deve portare d’urgenza la moglie in clinica per il parto. Non ha neanche tempo di spiegare ulteriormente - perché questo è spesso il fatto: il contesto non ci dà l’opportunità di spiegarci meglio. E noi fraintendiamo. Ovviamente mi scuso e anzi, vorrei essere d’aiuto. Mi sento uno schifo per aver dubitato. O a seconda della mia personale esperienza di vita potrei invece pensare che la colpa non sia mia e che questa cosa non mi debba toccare. Questo sta ad ognuno di noi e a quanto vogliamo ricordarci di poter apprendere o meno da ogni situazione.
Questo tipo di situazioni è all’ordine del giorno, lo sappiamo. E l’esperienza di vita ci condiziona tantissimo. È difficilissimo, a piccoli eventi, modificare la nostra visione del mondo. Basti pensare ad un gioco di prestigio. Un bravo mago ci può far credere che la magia esista con dei semplici trucchi, che spesso possono lasciare a bocca aperta. Ma la nostra esperienza di vita ci suggerisce che la magia non esista. E quindi l’evento non basta a modificare questo credo, nonostante i fatti tangibili che ci troviamo a vivere in quel determinato momento. Tutta questa introduzione ci serve. Ci serve perché ci aiuta a capire che nei conflitti, la prima operazione da fare, è quella di valutare, con gli strumenti che abbiamo a disposizione - come questa scala - quanto sia la nostra stessa visione della realtà a condizionare l’incomprensione. Perché lo sappiamo: la ragione non sta mai totalmente da una sola parte.
Ma quindi, come è strutturato un conflitto? Di cosa è composto?
03. Come è strutturato un conflitto e come risolverlo
Con la scala dell’inferenza abbiamo capito come coltiviamo un’incomprensione, ma abbiamo capito anche come questa possa generare escalation.
Ma quando le due parti rimangono in una situazione irrisolta, possiamo individuare degli elementi precisi che devono essere risolti. Si può dire che di base il conflitto esiste quando una persona ha bisogno di un’altra e quel bisogno non viene ottenuto.
E quindi facciamo valere i nostri diritti, ma questi non vengono compresi. E dall’altra parte c’è la sensazione che questa richiesta riduca i diritti della parte opposta.
Il conflitto si può dividere di fatto in tre tipologie:
1. Quando le risorse sono limitate
2. Quando i bisogni sono insoddisfatti
3. Quando i valori sono differenti.
Ora, su Stati Mentali entriamo nella neuroscienza del conflitto e tutto quello che accade nel cervello, che è super interessante. Proviamo ad argomentare quali possono essere gli strumenti di risoluzione. O quanto meno quali sono gli elementi da prendere in considerazione per risolvere una questione.
Possiamo dire di avere tre ingredienti a disposizione:
1. le emozioni, che ci aiutano a capire dove sono i nostri valori e i nostri bisogni e spesso ci indicano quando qualcosa deve cambiare.
2. la logica, che ci aiuta a trovare la radice del conflitto e affrontare il problema con una direzione
3. e, cosa molto importante, l’empatia, che ci aiuta a capire come gli altri sono colpiti dal tema, individuare dove sono posizionati nello schema, e ci aiuta anche a validarli sul perché si sentono così.
Da qui mi piacerebbe tantissimo parlarvi della teoria della mente, del metodo TKI, e tante altre cose interessanti, ma combatto contro il tempo per cui non odiatemi. Si perché c’è tutta una disciplina, chiamata Management del conflitto, che tratta questo tema. Provo a stuzzicarvi accennandovi qualcosa: Prima di tutto va capito se il conflitto può essere disinnescato. Per fare questo, una semplice successione di azioni: Come prima cosa esprimiamo il bisogno.
A noi stessi, che abbiamo visto essere importante. E poi agli altri. Di conseguenza, capiamo se questo bisogno può o non può essere ottenuto. Nel caso affermativo, possiamo arrivare ad una soluzione assieme. In caso contrario, si passa alla negoziazione, e al management del conflitto.
04. Come gestire la danza
In questa ultima situazione - e davvero avrei così tanto da dire - consideriamo emozioni, logica ed empatia, per renderci conto che quella che stiamo vivendo è una danza. E molte cose cambiano quando ci rendiamo conto di una frase che sta alla base delle tecniche di negoziazione: non sono io contro te, ma siamo io e te contro una situazione.
Il conflitto come abbiamo visto ha tantissimo a che fare con la chiave di lettura che entrambe le parti decidono di adottare.
Per questo, vi lascio con tre domande che entrambe le parti dovrebbero porsi:
1. è una situazione che voglio stoppare o è qualcosa che voglio alimentare? È importante, perché se non stiamo rispettando le persone o stiamo ostacolando una determinata situazione, dobbiamo fermarci. Se invece vogliamo arrivare ad una questione centrale o a un risultato migliore, procediamo.
2. Stiamo ascoltando le nostre emozioni e quelle degli altri? E con ascoltare intendo dire che non dobbiamo solamente capire come ci sentiamo, ma capire anche come il nostro modo di porci possa essere interpretato in relazione alle emozioni altrui.
3. E infine, il punto che io adoro perché ho disinnescato un mare di situazioni in questo modo, in posizione di paciere.
È una semplice domanda. Ma l’altra parte, è diabolica davvero? Perché se non lo è, forse ha un punto di vista che vale la pena ascoltare. Molto spesso è così. Non vogliamo sentire ragioni. Tutti sono scemi. Ma se tutti diciamo che tutti sono scemi, forse semplicemente non ascoltiamo abbastanza.
05. Outro
Queste sono solo alcune delle nozioni che ci possono aiutare a capire cosa stia accadendo durante un conflitto. Da qui, ci sono le situazioni estreme. Quelle che troviamo impossibili da risolvere. Ci sono le teste calde. Ci sono le ingiustizie, o ciò che reputiamo tali. Si potrebbe dire che la gestione del conflitto sia un’arte. Un’arte che molti pensano di poter risolvere con le armi della persuasione e della retorica, ma a me piace ricordare che un conflitto è realmente risolto solo quando entrambe le parti sono appagate dal risultato, anche sul lungo termine. Altrimenti è solo una pausa.
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