01. Una breve introduzione
Bentornati! Ed eccoci con uno di quei temi veramente scottanti, Leadership! Soprattutto in una piattaforma come questa, dove i contenuti sul business e sulla leadership sono colonna portante. Io però amo fare un passo indietro e come sapete preferisco guardarci sempre da un punto di vista più animale.
Sradicare un po’ concetti sociali creati dall’essere umano, come appunto il lavoro e il business, e pensare a che mentalità, che tipo di stato mentale si cela dietro una persona che ha questa caratteristica di leadership. Voglio poter pensare a questa parola in modo più ampio possibile, perché una persona può diventare un punto di riferimento per gli altri in qualunque contesto, non solo in quello del lavoro. Può essere un punto di riferimento in famiglia, tra gli amici, in una squadra, e perché no, anche per se stessa.
02. Cambiamento e Zona di Comfort
Sebbene vedremo l’argomento della zona di comfort nel prossimo episodio, occorre un accenno qui. Si perché il leader, tra le varie capacità, possiede quella di non avere paura di cambiare. O più correttamente, di saper gestire la paura di cambiare. E di fatto quest’ultima frase è chiave.
Gestire l’emozione della paura, non il fatto di non avere quell’emozione. Una persona che non vive l’emozione della paura morirebbe nell’arco di poche ore, perché non riconoscerebbe il rischio. Sopravvivenza. E allora trattiamo per un attimo questo concetto. Come animali, la nostra condizione di base è la sopravvivenza.
È importante questo, perché ci suggerisce che la paura avrà sempre la meglio sulla ricompensa. Preferisco non essere sbranato dal leone, che vincere una super cena in un ristorante stellato. E fin qua.. Questo però significa anche che siamo più sensibili alle esperienze negative che quelle positive.
Cioè siamo soggetti a ciò che è chiamata “distorsione negativa”. Come ricordiamo più facilmente sguardi non amichevoli che quelli amichevoli per strada. Programmati per la paura. Attenzione: questo ci suggerisce una cosa. Il concetto di ricompensa, la base delle dinamiche sociali, e soprattutto nelle aziende, diventa difficile da attivare dal momento che spesso siamo in una condizione stressata, quella condizione dell’amigdala legata al combatti o fuggi - fight or flight.
Quando siamo impauriti, stressati, o ci sentiamo a disagio o in pericolo, la ricompensa non funziona. Interessante. Ora: c’è un’altra dinamica che non riusciamo ad attivare quando c’è di mezzo la paura. Ed è il cambiamento. Il cambiamento ad oggi è essenziale alla sopravvivenza. Probabilmente molto di più di quando eravamo nelle caverne. Ma considerando anche le dinamiche sociali di noi in quanto scimmie, chi è elastico e mutaforma, ha sempre una marcia in più. Il problema è che il cambiamento richiede un dispendio di energia non da poco.
E come sappiamo, al cervello non piace sprecare energia. Eh si, perché di fatto quando cambiamo è perché usciamo dalla zona di comfort, e la principale caratteristica della zona di comfort è che contiene delle variabili a noi ignote, che si trasformano poi in “apprendimento”. Quindi quando provochiamo un cambiamento, apprendiamo. Ma è l’apprendere che costa. La corteccia prefrontale si attiva ed è una zona che richiede mooolto ossigeno. Per cui il cervello deve ottimizzare e togliere energie ad altre zone. Insomma apprendere stanca, e a meno che non abbia a che fare con la sopravvivenza, il cervello stesso non va matto per questa operazione. A supporto del “dai no, non cambiamo che va bene così”, c’è l’amigdala. Piccola noce programmata per farci sopravvivere.
Se funziona bene, evita che andiamo a farci del male. Vorrebbe che tutto rimanesse al suo posto, no sorprese. Tranquillità. Ma perché tutto questo è importante per la leadership? Per una serie di motivi. Prima di tutto: quando ci relazioniamo con le altre persone, non possiamo dare per scontata la propensione al cambiamento, anzi. Per di più alle persone non piace necessariamente l’indipendenza, perché provoca insicurezza. Spesso preferiscono avere regole e sicurezza.
Un buon contesto, e un leader che prenda i rischi per loro, e che sappia però accettare la loro condizione e il loro profilo di rischio rispetto alla vita.
03. Altri ingredienti
Quindi ecco che iniziamo ad avere i primi ingredienti. Il leader deve saper uscire dalla zona di comfort e provocare cambiamento, ma deve saper far sentire la sua squadra sicura. Per la prima parte, uscire dalla zona di comfort, è facile.
Piccoli passi incrementali.
Usate pure tutto quello che abbiamo detto sulle abitudini (anche perché qui il tempo è limitato). Piccoli passi, con un piede sempre fuori dallo steccato, in modo da fare si che lo stesso uscire continuamente dal comfort diventi un comportamento abitudinario. Sulla sicurezza, bene… sulla sicurezza si deve andare più in profondità. Nel percorso spiego anche la base della teoria dell’attaccamento di Bowlby, che ci aiuta a capire se già dalla nostra infanzia abbiamo ricevuto una propensione alla leadership oppure no, attraverso lo studio delle relazioni sotto la chiave di lettura appunto della sicurezza.
Questo perché sicurezza = fiducia. Sicurezza = fiducia.
La sicurezza quindi sta alla base delle condizioni umane. Ed è importante capire che un leader, tra le varie caratteristiche, deve avere una capacità di saper individuare la personalità delle varie persone nel team. La teoria dell’attaccamento aiuta, come aiuta avere allenata la zona del cervello relativa alle teorie della mente, e l’empatia. Ma ci sono altre caratteristiche che determinano la mente di un leader. Una di queste, è la creatività. No no, non parlo di quel che si dice, sul fatto che i leader siano creativi. Parlo a livello neuroscientifico. Una ricerca del dottor Balhtazard del 2007 su una serie di leader ha dimostrato come ci sia un elemento che li accomuna tutti. Ed è la conformazione cerebrale. Sembra che il cervello di un leader sia genericamente più connesso. Cioè differenti parti del cervello sono meglio connesse tra di loro. Questo conferma una serie di cose. Il leader non è task-driven.
È forte nelle soft skills, per il resto delega. Il leader conosce molte cose che non sono necessariamente relazionate tra loro, ed è lui o lei a creare queste connessioni. E queste connessioni sono di fatto traducibili in potere creativo. Perché ricordiamo che la creatività non è un inventare un pensiero dal nulla, ma unire punti distanti tra loro. L’energia non si crea, si trasforma. E creatività vuol dire problem solving, ma vuol dire anche visione. Perché visione è un problem solving a lungo termine. Un cervello connesso è un cervello che si mantiene stimolato e quindi curioso. La curiosità è la benzina della creatività. Insomma, penso che il concetto passi.
Ecco che quindi possiamo dire che un leader è curioso, è sicuro, e in qualche modo comunica questa sicurezza.
04. Stato mentale di un leader
Ok quindi, qual è lo stato mentale di un leader? Riusciamo a fare una mappa? Fin qui abbiamo detto che sa giostrarsi fuori dalla zona di comfort, sa gestire la paura e non la dà per risolta nella sua squadra e anzi, la sua sicurezza viene trasmessa al team in funzione di questo.
Curioso e creativo il leader sembra sempre avere una direzione in testa. Ma attenzione. Il leader NON è un motivatore.
Motivare le persone è un lavoro che provoca sicuramente una scarica dopaminica. Nell’immediato ci si sente meglio, ma per tenere una squadra coesa verso un obiettivo servono degli elementi più solidi e più permanenti. Non a caso un altro elemento che contraddistingue un leader è l’etica, che è per definizione, permanente. E che spesso dà forma, alla direzione, no?
Però un team sta in piedi non quando il leader convince ogni membro del perché dovrebbe rimanere in squadra. Un team sta in piedi quando quello che tutti fanno assieme è determinato da una partecipazione volontaria. Jean Piaget dà pure un nome a questa cosa, nel suo studio sui bambini: lo stato di equilibrio. Ecco che quindi possiamo togliere un paio di elementi dallo stato mentale del leader. Autorità. Non ce n’è. Il leader crea relazioni orizzontali. Certo, chi è autoritario può portare a casa obiettivi nel corto raggio, ma a lungo termine le energie da spendere non sono sostenibili. Quindi **niente autorità, e niente ego**. E questo è il punto fondamentale. Il leader vede tutti alla pari, elimina il proprio ego, ma allo stesso tempo offre un senso di protezione. E non lo fa per sentirsi figo. Capite? No ego! Questo porta il ruolo di leader ipoteticamente su un piano sconveniente. Perché di fatto il leader protegge, direziona verso l’obiettivo, condivide i risultati, ma si prende la responsabilità degli errori.
E quindi cosa ci porta ad essere leader di un gruppo? Beh per chi ha figli questa cosa è più facile da capire. Non chiedi niente in cambio, vorresti solo amore. E amore può essere una parola troppo sdolcinata per questo format per cui trasformiamola in qualcosa di più tangibile: ossitocina. Il leader crea legami a lungo termine, non nati in un momento preciso. Come per l’amore, il leader crea fiducia e connessioni indissolubili, lentamente, nel tempo. E per lo stesso motivo, quel legame non è distruttibile attraverso un solo evento.
La fiducia si crea lentamente. Ma è una cosa molto solida. Simon Sinek è sicuramente un personaggio da seguire in merito. Parla spesso di leadership. E trovate del suo materiale anche qui. Simon ha studiato molto questo tema nel mondo dell’esercito, dove i colleghi tra loro si chiamano fratelli e sorelle. Non dipendenti. Dove ci si difende a vicenda e dove ci si sacrifica. Simon, racchiude il significato di legame di profonda fiducia in una sola frase: “perché lui o lei lo avrebbe fatto per me”.
Praticamente, il contrario di qualunque concezione autoritaria.
05. Outro
Ora: indipendentemente dal fatto che ci riconosciamo o meno come leader, non ci resta che pensare a come gestirsi fuori dalla zona di comfort. Perché quella si che è sempre presente nella storia della nostra vita. Ed ecco perché il prossimo episodio sarà tutto centrato su questo. Buon ascolto!
di 5