01. Quando diciamo comportamento in realtà stiamo dicendo abitudine
Eccoci tornati. A parlare ancora di abitudini? No no... Parleremo di comportamento. Ma come, non dovevi darci l’equazione dell’abitudine. No... Parliamo di comportamento. Possiamo però spiegare la differenza, tra comportamento e abitudine. Che differenza c’è? Nessuna. Questo è uno dei motivi per cui faccio quello che faccio. Ci incasiniamo tantissimo con le parole... e spesso è proprio tra i sinonimi che troviamo supporto per il loro significato reale. Un’abitudine è un nuovo comportamento. Un comportamento non ha nulla a che fare con un obiettivo o un risultato. Un comportamento ha a che fare con un sistema che se ripetuto spesso, ci porta ad eseguire quell’azione senza fatica, a volte addirittura sovrapensiero. Pensate al guidare l’auto. È un esempio perfetto perché non solo molti di noi lo conoscono bene, ma anche visto da fuori si può capire il potenziale di un’abitudine. Una cosa complicatissima come l’usare tutti e 4 gli arti per muovere componenti diverse, il tutto per portare in successione un’auto a muoversi, tra cambiare marcia e togliere la frizione, accelerare freno, più le regole: frecce, specchietto, clacson, e le dinamiche esterne: persone imprevedibili attorno a noi anch’essere alla guida, semafori, rotatorie, corsie. E noi che facciamo in tutto questo mentre operiamo in una delle danze più complicate di sempre? Pensiamo ai problemi che abbiamo.. o alla cotta che abbiamo per qualcuno... o a quel litigio. O i peggiori si destreggiano addirittura a scrivere messaggi di testo sui social. Davvero? Riusciamo a fare tutto questo? Se avessimo l’opportunità di spiegare ad un personaggio dell’anno 1000 che un giorno ci troveremo dentro una scatola di metallo a muovere pedali manopole leve e un cerchio in tutte le direzioni ci direbbe: ma scusa non è più facile se prendi un cavallo? Alla faccia dell’automazione del futuro.. Fai prima a mettere un omino direttamente tra gli ingranaggi del motore! Questo esempio serve perché ci ricorda come nessuno di noi abbia scuse. Se riusciamo a crearci un’abitudine del genere, anche fare il giocoliere mentre preparo una torta dovrebbe essere più semplice. Ma che accade nel cervello?
02. Corteccia prefrontale e gangli della base
Lo so, non siamo ancora all’equazione. Ma lo so che questo argomento rimane comunque interessante per tutti. Semplicemente per il fatto che noi SIAMO LE NOSTRE ABITUDINI. Ma cosa accade nella nostra mente quando qualcosa diventa comportamento automatizzato?
Ecco... la parola “automatizzato” è importante.
Quando pensiamo a fare qualcosa, il tutto parte dalla corteccia prefrontale. Prendiamo una decisione e facciamo...Qui i più arguti potrebbero dire che non è così in quanto non abbiamo libero arbitrio, ma non è questa la sede per complicarci le cose! Dicevo. Corteccia prefrontale. Parliamo della parte più giovane del nostro cervello. E per lo stesso motivo, anche la più debole. Debole nel senso che è qui che ha principalmente sede la nostra parte razionale.
Ma noi siamo esseri emozionali. E quando le emozioni prendono il sopravvento, il cervello spegne questa zona per portare le risorse energetiche dove serve. Vedetela così: la corteccia prefrontale - per quel che ci interessa qui - va bene per pianificare, simulare, pensare al futuro e al passato. Ma quando siamo in un momento emozionale particolare, il cervello è nel presente.
Pensate alla paura. Il cervello spegne la parte strategica e di simulazione per agire nel qui ed ora. Scappa o attacca. Fight or flight response. Ed essendo degli animali - chi se ne fosse dimenticato sta in sostanza combattendo con uno stuzzicadente centinaia di migliaia di anni di evoluzione - essendo degli animali, le nostre decisioni sono enormemente influenzate dalle emozioni.
Circa il 70% delle nostre azioni sono guidate dalle emozioni. Questo ci suggerisce perché quando iniziamo una nuova abitudine, sia sempre tutto così fragile. Corteccia prefrontale dice “ora iniziamo a fare sta cosa qua”. Poi il senso di pigrizia, l’emozione del disgusto, della tristezza, della spossatezza... quelllo che volete... beh spegne tutto e dice “lascia stare. Lascia stare anche oggi”. Ora. Il cervello deve sempre spendere meno energie cognitive possibili. È la sua prerogativa numero uno, e relazionata alla sopravvivenza. Però se si rende conto che ogni giorno deve fare la stessa cosa, deve attivare gli stessi processi perché è in atto una ripetizione di comportamento... beh inizia un processo di ottimizzazione. “È inutile che faccio lo stesso giro tra le varie aree della mente per poi concludere la stessa azione di ieri”. “Perché qua sembra che facciamo la stessa cosa ogni giorno. E devo risparmiare.
Altrimenti enorme spreco.” Ed ecco che lentamente questo comportamento, questo sistema che abbiamo messo in piedi, viene impacchettato e lentamente portato in un’altra zona. Una delle più antiche e profonde che abbiamo: i “Gangli della Base”. Quando un comportamento finisce qui... basta... è diventata automazione. È diventata automazione al punto che difficilmente la controlliamo, dal momento che non passa più neanche per la corteccia prefrontale. Il cervello dice “stimolo, successione di eventi”.
Non c’è bisogno di pensarci sopra. E la cosa diventa subconscia. Diventa subconscia al punto che quando chiudiamo la macchina e rientriamo, lo facciamo in modo talmente automatico che a volte ci chiediamo se abbiamo chiuso l’auto. Questa, è automazione. Ma quindi come facciamo a generare automazione? Ed eccoci qui all’equazione tanto promessa. Abbiamo detto “stimolo... e successione di eventi”. Bene... stimolo. Interessante parola. E di fatto è parte dell’equazione.
03. L’equazione dell’abitudine
Si chiama equazione di Fogg, dal signore che l’ha inventata: Brian Jeffrey Fogg, scienziato comportamentale e professore alla Standford University. Ve la parafraso in italiano altrimenti l’acronimo non funziona.
C=MAS Comportamento = Motivazione + Abilità + Stimolo.
Come potete vedere anche lui parla di comportamento. E come sentite tra le variabili c’è lo stimolo. Partiamo descrivendo le variabili: - motivazione. quanto il nostro cervello ha motivo di compiere quell’azione. Quanto tornaconto c’è. Attenzione ho detto al nostro cervello, non a noi.
Che differenza fa? Ehhhhhh… le cose funzionano sempre meglio quando pensiamo in termini di animalità e sopravvivenza. Noi possiamo crederci motivati perché razionalmente qualcosa ha senso. Ma quando le cose trovano un senso a livello animale o in termini di sopravvivenza, la motivazione diventa molto più reale. Pensate ad un naufragio. Finite in acqua. Eh ecco, chiaro che ci sia motivazione a rimanere a galla. Il processo è simile. ATTENZIONE: Da non confondere con la forza di volontà, a cui arriveremo fra poco - abilità. Facile. La nostra capacità nel compiere un’azione. Non molto altro da dire qui - stimolo. Quella variabile, quella situazione, quell’input esterno che è volto ad attivare l’azione. Tipo la sveglia per alzarci la mattina, tanto quanto il caffé per farci sentire più svegli. Comportamento = Motivazione + Abilità + Stimolo.
Ora. Il modello di Fogg è un grafico che potete trovare ovunque nel web. Cercate Fogg Behavioural Model. Ma non è difficile descrivervelo. Immaginate un grafico cartesiano. Sull’asse verticale abbiamo la motivazione, da poca a tanta. Su quella orizzontale, l’abilità. Dal “difficile da eseguire” a “facile da eseguire” In sostanza, più qualcosa è facile da eseguire, meno serve motivazione. Più qualcosa è difficile, più serve motivazione. Ci sta. Ha senso. Quasi scontato.
È interessante però come Fogg tiri una linea, che lui chiama linea d’azione, che indica il bilanciamento ottimale tra la difficoltà di un’azione e la motivazione. E voi qui direte: si ma lo stimolo? Ecco, è qui che si fa interessante.
Laddove ci si trova al di sotto della linea, quindi motivazione bassa e/o troppa difficoltà, lo stimolo non è efficace. Non funziona, non attiva l’azione. Se invece c’è abbastanza motivazione, e/o facilità di esecuzione, con uno stimolo, l’azione parte. Come sempre, sembrano cose scontate, ma una volta che questa cosa è posta in un grafico, riusciamo a fare ragionamenti molto più validi in termini di creare un sistema per rendere un comportamento un’automazione. Individuiamo la difficoltà della nostra azione rispetto alla motivazione.
Mettiamo quel punto nel grafico e da lì capiremo se lo stimolo sarà sufficiente per fare partire l’azione stessa. Ora: l’obiettivo è lavorare per incrementali. Se non ve l’ho già detto, vi consiglio di dare un ascolto a Fattore 1% dell’amico e collega Luca Mazzucchelli. Spiega il perché un’abitudine si crea a piccoli incrementali. E ora che avete questa nozione lo potete già capire. Se qualcosa è troppo difficile, scelgo azioni più semplici e miglioro a piccoli passi. La metafora con la palestra è sempre valida. Non riuscite ad alzare 80Kg se non avete muscolo e preparazione. Punto.
04. Forza di volontà
Però però. Mettiamo che siamo costretti a trovarci in una situazione difficile, dove sappiamo che lo stimolo non sarà abbastanza. E che non possiamo rendere l’azione più semplice. Cosa possiamo fare? Beh ecco dove entra in gioco la forza di volontà. Molto semplice il paragone.
Pensate a questo enorme dispendio di energia atto a sopperire la distanza che abbiamo dalla linea d’azione. Con la sola motivazione, abilità e stimolo l’azione non si accende. E allora utilizzo questo surplus di energie per farla partire. Purtroppo la forza di volontà è sempre stata vista come questa cosa che hanno gli eroi e che tutti dovremmo imparare ad utilizzare. Ma non è assolutamente così. Non è ottimizzazione di energia. Non aiuta a creare sistema e sicuramente non piace al cervello. Va bene in situazioni assurde, ma il cervello preferisce utilizzarla in momenti di emergenza. Per scappare da una situazione, o dovere usare una forza sovraumana per uscire da un problema. La forza di volontà è come un super potere. E per questo motivo va usato solo se necessario. La potenza è nulla senza il controllo. È come il Protossido d’azoto nelle auto su Fast&Furious. Non puoi usarlo sempre. Una volta usato, è finito. Ricaricarlo non è semplice. Inoltre, come detto, un’abitudine non è atta a raggiungere un traguardo. Per cui la nostra necessità sta nel creare sistema. Nel far capire al cervello con ripetitività, che questa cosa la faremo ogni giorno e quindi è meglio che se la metta via e che la impacchetti in un processo ottimizzato, da archiviare nei gangli della base. Se usiamo la forza di volontà invece, passiamo alla mente il concetto sbagliato.
Questa è tutt’altro che una cosa abitudinaria. È una situazione eccezionale dove usare l’energia messa da parte per le emergenze, per cui sicuramente il cervello non vorrà saperne di ripeterla domani. Non se lo può permettere.
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