Zona di Comfort
Come delinea chi siamo, i nostri limiti e ciò che non conosciamo
13min
Come delinea chi siamo, i nostri limiti e ciò che non conosciamo
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Bentornati! Bentornati con questo super tema, tanto discusso, su cui sono stati scritti milioni di libri, su cui troviamo un mare di pratiche, di strategie, tecniche... per riuscire ad uscire da questa benedetta zona.
Eh sì... Perché è importante soprattutto se consideriamo il fatto che questa zona di comfort, questa zona, delinea di fatto chi siamo.
Delinea i nostri limiti, delinea ciò che non conosciamo, al di là di questo steccato. Delinea la nostra apertura o chiusura mentale, a seconda di quanto spazio troviamo, all’interno della zona di comfort. Ma perché è così difficile allargarla?
Dopo una serie di episodi, abbiamo già qualche strumento che ci aiuta a capirlo. Siamo fatti delle nostre esperienze, delle nostre memorie, e quindi delle nostre credenze e convinzioni. Il nostro cervello, di base, adora utilizzare la nostra esperienza di vita vissuta, per farsi i suoi calcoli. Sono connessioni neurali già esistenti, deve solo sparare impulsi elettrici tra neuroni già connessi.
Quando tentiamo di uscire dalla zona di comfort invece, abbiamo a che fare con cose che non conosciamo. Per la nostra mente questo significa dover apprendere, e quindi creare connessioni nuove, da zero. Ora: non è che questo sia sempre così difficile. Al nostro cervello piace apprendere, se di mezzo c’è motivazione.. e qui vi riporto al quarto episodio dove ne abbiamo parlato. Però, ecco, è una cosa che va allenata. Eh sì, anche l’apprendimento va allenato. Anche il fatto di spingerci ogni tanto fuori dalla zona di comfort è un’abitudine di per sé. Tanto che sta a noi decidere se fare di questo un’abitudine positiva o negativa. Eh sì... Perché se stiamo troppo nella zona di comfort e non ne ampliamo mai la dimensione, di fatto questa zona si rimpicciolisce.
Ahia. Eh si. Se evitiamo di testarci rispetto ai nostri dubbi e le nostre paure, evitiamo il confronto con le stesse. E come già sappiamo, il nostro cervello è sempre attivo nel simulare scenari del futuro prendendo da ciò che ha del passato. Quando non ci confrontiamo attivamente con una nuova realtà, lui la simula. Ma il problema è che avendo come tema chiave la sopravvivenza, ogni volta che la simula, la distorce un po’ di più, rendendola più grande.
Paura più grande = ostacolo più grande. E davanti ad un grande ostacolo pian piano cresce anche la paura di avvicinarcisi. Ecco perché, se non esercitiamo l’uscire dalla zona di comfort, questa, si rimpicciolisce. Se rimaniamo dove siamo, non manteniamo la stessa forma. Diventiamo mentalmente più piccoli, più chiusi di mentalità. Una cosa interessantissima da considerare. E questi ostacoli che diventano più grandi, queste paure che si autoalimentano, questa paura della paura, viene chiamata “rinforzo negativo”.
Prendete la paura dell’aereo. Ho paura, giustificata. In fondo l’amigdala fa cosa giusta: ci tiene lontani dai rischi. Ma fortunatamente possiamo allenare la nostra capacità di valutare le situazioni. Se non ci alleniamo, se decidiamo di evitare di affrontare un volo, per carità.. siamo salvi. Ma non ci rendiamo conto che di fatto abbiamo attivato un ciclo. Eh si.. innanzitutto stiamo subito meglio. La scelta di non affrontare il problema ci rilassa. E quindi ci insegniamo di aver fatto la scelta giusta. Poi però il problema si ripresenta.
E ora abbiamo un elemento razionale in più nella nostra esperienza di vita vissuta: la volta precedente lo abbiamo evitato. Per la nostra mente fifona, questo contribuisce a confermarci che non siamo all’altezza di superare il problema: la volta scorsa ci siamo confermati di non essere stati in grado. Diventa più difficile superare la cosa. E se quindi scegliamo nuovamente di non provarci, pian piano inneschiamo un’ansia da prestazione, data dal nostro comportamento, per finire ad avere paura della paura.
Ma cosa succede al corpo? Sul percorso di Stati Mentali abbiamo fatto un sondaggio per sapere da tutti voi quali sono le sensazioni più provate. Dal battito cardiaco fino alla vescica incontrollata. Ed è molto interessante come abbiamo notato quanto le votazioni più alte sono state date alle parti del corpo che più necessitano di modificarsi in preparazione ad un’azione drastica.
È molto interessante: l’amigdala si attiva, il sistema nervoso simpatico si attiva. L’ipotalamo si attiva, cortisolo, adrenalina… il corpo subisce uno shock chimico tremendo. E ha senso, torniamo sempre alla preistoria, no? Che fa il nostro corpo davanti ad un leone? Si prepara per la sopravvivenza. Ha bisogno di una scarica di energia enorme, che ci permetta di fare un’azione sovrumana per salvare la pelle. Siamo in attacco-fuga.
Ed è importante per un attimo capire ciò che ci siamo detti anche negli altri episodi: ci troviamo in questa situazione più di quanto dovremmo. La nostra mente prende una cosa come il semplice traffico, e ne fa una situazione di attacco o fuga. Sta a noi… allenarci, a disattivare lo schema. Ma.. di nuovo.. migliaia di anni di evoluzione ci hanno portato a questa automazione. E allora chi siamo noi per combattere tutto questo?
Ecco perché servono degli sgambetti… dei trucchi che ci permettano delle scorciatoie in modo da spegnere ciò che si sta attivando.
E di fatto, è proprio così che dovremmo ragionare. Impossibile combattere un’automazione così importante. La più basilare delle automazioni. Quella primaria, atta a farci sopravvivere. Per superare queste situazioni, ciò che dobbiamo fare è adattarci.
Quando usciamo dalla zona di comfort, abbiamo bisogno di due cose: consapevolezza e adattamento. La consapevolezza serve a farci capire il senso delle nostre paure. Siamo veramente in una situazione di pericolo, o è l’amigdala che ha tutte le ragioni ad attivarsi perché collega il contesto in cui siamo con qualcosa di primordiale? In funzione di questa risposta, potremo operare adattandoci.
Esempio del palco: utile per chiunque, dal momento che prima o poi tutti ci troviamo a dover esporre qualcosa davanti ad un gruppo di persone. Consapevolezza: devo affrontare un gruppo di persone. Rischio la vita? No. Cosa rischio? La reputazione. Che attenzione per il cervello è tanta roba. Non essere accettati significa essere espulsi dalla tribù (pensate sempre alla preistoria).
Essere soli là fuori nella foresta significa morte sicura. Non possiamo permettercelo. Ok fortunatamente abbiamo spesso del tempo per ragionare su questo aspetto, anche se qui potete capire che sia un allenamento su cui sottoporsi. Fare questo tipo di ragionamento non risolve la paura. Allenare la consapevolezza e la razionale spiegazione di quello che effettivamente sta accadendo ci aiuta a fare pace con la nostra parte spaventata. O quanto meno non ci incazziamo con noi stessi per il fatto di essere agitati. È tutto normale. Consapevolezza significa anche mettersi nei panni del nostro antico cervello. Cosa significa palco per lui? Letteralmente significa essere noi un animale che si trova in una distesa non protetta. Aperta... Siamo vulnerabili. Ma il peggio è che la sotto, tra gli alberi, abbiamo mille occhi addosso. Avere tanti occhi addosso significa branco di predatori in caccia. Significato: siamo a tutti gli effetti preda. Vorremmo scappare, nasconderci. E invece ci danno delle luci addosso e un microfono. Peggio di così si muore.
E letteralmente è quello che subconsciamente pensiamo. Ok ok, ma quindi come si supera questa cosa? Mica possiamo scappare.
Posto che abbiamo la consapevolezza che non ci sia nulla di realmente pericoloso, posto che tutto sia troppo per essere combattuto razionalmente, anche perché siamo emotivamente coinvolti, ed essere emotivamente coinvolti significa avere poche risorse energetiche per la corteccia prefrontale, che ci aiuterebbe a ragionare, beh… dobbiamo fregare il cervello con quello che ci rimane: il corpo.
Per capire questa cosa dobbiamo prima capire un concetto: la nostra mente e il nostro corpo sono una cosa unica. Non è la mente a condizionare il corpo. Anche il corpo condiziona la mente. È un concetto importantissimo che ha anche un nome preciso: embodied cognition.
La cognizione incarnata.
Ora: quando siamo spaventati ci tremano le gambe, giusto? Se siamo sul palco, le gambe sono uno dei problemi. Poi c’è il fiato corto, il cuore a mille e la sudorazione. Sistema simpatico attivo. Lo sappiamo: non stiamo morendo, è tutto normale. Ma se è vero che anche il corpo può condizionare la mente chi lo dice che il tremore delle gambe sia timore di qualcosa? Mi spiego: dimentichiamo il contesto per un attimo.
Per quali motivi ci possono tremare le gambe? Per paura, o anche per un bacio, per un momento che aspettavamo da molto. Non necessariamente per una condizione negativa. Ecco che da qui nasce una tecnica da palco utilizzata da moltissimi di noi - mi includo anch’io.
Si tratta di fare perno su un qualcosa che sta realmente accadendo al nostro corpo, qualcosa di tangibile, per portare il cervello a cambiare la chiave di lettura. Sono dietro le quinte: penso al tremore e penso a quanto eccitato sono nel fare un’esperienza nuova. Penso a quanto il mio corpo sia eccitato tanto quanto il salire sulle montagne russe.
Penso a quanto sia unica questa situazione, a quanto posso dare alle persone che mi vedranno, a che scambio pazzesco ci potrà essere. Invece di tentare di smorzare l’agitazione, mi adatto. Amplifico. Nessun problema a sentire le gambe tremare: saltello, mi porto mentalmente a sentire come il corpo si stia preparando per qualcosa di fico.
Capite come questo sia molto diverso dal tentare razionalmente, con zero energie cognitive, di dire che quello che sta per accadere non è attivante. Che andrà tutto bene.
Non è così. Non andrà bene perché bene significa “come al solito”. E non è una situazione solita!
Ovviamente non basta pensare a questo. Ma è un esempio su come utilizzare il corpo per convertire una chiave di lettura mentale.
Non è diverso dalla base su cui si rifanno molte ricerche nel dimostrare come anche lo sforzarci a sorridere ci condizioni positivamente nell’umore pochi minuti dopo. Su stati mentali ne parlo ovviamente in modo più approfondito, portando altri esempi, come la postura, come il movimento.
Ma è importante capire che questo bellissimo percorso di scoperta del nostro corpo è cosa tremendamente soggettiva. Per ognuno di noi valgono delle sensazioni e dei pensieri a sé. Io adoro salire agitato e correre a flipper ovunque quando affronto una situazione fuori dalla zona di confort. Qualcun altro può trovare un riscontro positivo nella pacatezza, nel sentirsi più come un elefante.
Per questo non esistono tecniche valide per tutti al primo utilizzo. È un percorso. Ma è stupendo perché ci insegna tantissimo su noi stessi.
Per il resto, il vero trucco per essere sempre più bravi ad uscire dalla zona di confort è il crearne un’abitudine. Non è importante quale sia l’azione; il portarsi a mettere in dubbio i propri dubbi è l’esercizio di per sé. Come abbiamo imparato: non si tratta di arrivare ad un obiettivo, ma di creare un sistema. Provateci!
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