
Cos'è la psicologia del lavoro e perché può essere utile in azienda
Gli interventi della psicologia per migliorare i contesti lavorativi e creare organizzazioni funzionali
13min

Gli interventi della psicologia per migliorare i contesti lavorativi e creare organizzazioni funzionali
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La storia della psicologia del lavoro si sviluppa a partire dal 1913, da un'evoluzione della psicotecnica, una disciplina che delineava le tecniche e i mezzi per agire sugli uomini al fine di ottenere determinati scopi o risultati.
La psicotecnica, quindi, era sin da subito impiegata al solo fine di raggiungere gli obiettivi attraverso il lavoro degli uomini. Il primo a utilizzare questo termine nell’ambito del lavoro industriale è stato lo psicologo tedesco Hugo Münsterberg, che prevedeva l’applicazione dei metodi della psicologia per gestire e sfruttare il lavoro degli operai nelle fabbriche.
Con l’intervento di Münsterberg, la psicotecnica prende il nome di psicologia industriale, e il termine psicotecnica viene utilizzato sempre meno, fino a cadere totalmente in disuso durante gli anni fra le due guerre. La nascita della psicologia industriale, però, non può essere interamente attribuita agli interventi di Münsterberg nel campo, poiché nei primi anni del novecento furono diversi gli scienziati che si adoperarono per applicare i metodi scientifici della psicologia al lavoro, così da comprendere quali fossero i mezzi più efficienti per ottenere il massimo rendimento dei lavoratori con uno sforzo minimo; ma, soprattutto, con uno scarso impiego intellettivo, specie nell’ambito industriale.
Uno fra i primi a introdurre un metodo scientifico nei procedimenti e nell’organizzazione del lavoro produttivo fu, come è noto, l'ingegnere e imprenditore Frederick Winslow Taylor, nel 1911, il quale non si poneva tanto l’obiettivo di comprendere a fondo il disagio dell’operaio, quanto di trovare un metodo per velocizzare la produzione con un’organizzazione più efficiente.
Il taylorismo fu considerato da subito una rivoluzione nel campo industriale, proprio perché puntava alla parcellizzazione delle mansioni esecutive del lavoratore, studiandone i tempi e i metodi per trovare la maniera migliore di ottenere un risultato eccellente (one best way).
Una delle innovazioni più importanti apportate da Taylor fu l’introduzione di un sistema dirigenziale che provvedesse all’accurata progettazione del lavoro operaio, anziché ricercare uomini con elevate abilità. Il sistema introdotto da Taylor prevedeva la standardizzazione dell’uso degli strumenti di lavoro, delle operazioni e dei movimenti degli operai; in questo modo i lavoratori erano costretti in un metodo standardizzato dei movimenti e dell’uso dei materiali o delle macchine; tanto da riportare nel tempo dei peggioramenti dello stato di salute psicofisico.
Il salario, inoltre, veniva commisurato in base alla produttività giornaliera dell’operaio, così, da richiedere dei ritmi eccessivi per arrivare a determinate cifre di guadagno. Per calcolare i tempi di produzione, Taylor introdusse l’utilizzo di appropriati strumenti di rilevazione e di controllo, come regoli calcolatori, strumenti per la rilevazione dei tempi e altro.
È in questo contesto che si cala l’intervento della psicologia industriale di Münsterberg, il quale si pone l’obiettivo di migliorare la produttività industriale – come servizio alla nazione – applicando i metodi della psicologia per risolvere i problemi concreti dell’industria.
Uno dei metodi fu l’introduzione della selezione del personale, per via di test attitudinali che permettevano di scegliere gli individui adatti a determinate mansioni per attitudine, ma fece anche studi sulla monotonia, ossia sui possibili risultati che avrebbero potuto dare gruppi di lavoratori inseriti in un settore specifico e sottoposti ad uno stesso e ripetitivo esercizio di lavoro; si occupa, inoltre, di studiare meccanismi di affaticamento, introducendo strumenti come l’analisi della curva della fatica, così da misurare i momenti e le cause di maggiore sforzo e inserire opportunamente le pause di lavoro.
Si occupa anche dell’adattamento all’ambiente di lavoro e, soprattutto, studia le motivazioni orientate al potere di acquisto del lavoratore; cioè, si pone la domanda di come insinuare nel lavoratore l’obiettivo di guadagno più alto, attraverso i desideri di consumo indotti, introducendo, di fatto, tecniche di vendita e di marketing.
I contributi che hanno indirizzato la psicologia del lavoro verso un orientamento meno utilitaristico e più volto a trovare un equilibrio psicofisico del lavoratore sono stati il movimento delle relazioni umane dello psicologo australiano Elton George Mayo e la scuola motivazionale del collega americano Abraham Harold Maslow.
A partire dagli anni ’20, Elton Mayo inizia a condurre degli esperimenti in azienda, volti a migliorare la produttività aziendale e l’efficienza del lavoratore. Solo che, a differenza degli strumenti introdotti da Taylor, i metodi di Mayo iniziano a considerare la natura sociale e relazionale dell’individuo, indirizzando il concetto di azienda verso l’idea di un sistema sociale simile al mondo esterno, invece di essere percepito come un apparato tecnico.
Attraverso gli esperimenti condotti nella fabbrica della Western Electric, nello stabilimento di Hawthorne, Mayo viene a conoscenza del “fattore umano”, una variabile che può condizionare il rendimento sul lavoro, in base alle condizioni psichiche del lavoratore. Inizia, quindi, a mettere in relazione le circostanze dell’ambiente di lavoro con il benessere fisico e mentale del lavoratore e inizia a parlare di alienazione e sviluppo di fenomeni di gruppo nell’ambiente lavorativo, fattori che possono incidere nel malessere del lavoratore, divenendo cause di scarso rendimento. In particolare, gli studi di Mayo si incentrano sugli aspetti del lavoro di gruppo, scopre, infatti che la vera motivazione del lavoratore è data dal bisogno di coltivare un rapporto con gli altri, per definire la propria identità.
Il lavoro operaio è in sé privo di significato, parcellizzato com’è dalla rivoluzione scientifica apportata dal taylorismo e dalla psicotecnica, pertanto sono i rapporti sociali a dare il senso al lavoro.
Secondo Mayo, quindi il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del gruppo, invece che dagli incentivi proposti dalla direzione. A completare la tesi di Mayo è la scuola motivazionale di Maslow, inventore della piramide dei bisogni nel 1954.
Secondo la teoria di Maslow i bisogni dell’uomo si possono predisporre gerarchicamente e alla base sono inseriti i bisogni primari o essenziali come mangiare e dormire. Senza la soddisfazione di questi non sarebbe possibile sviluppare altre necessità, di ordine superiore, come, ad esempio, il bisogno di un’automobile per spostarsi.
Al vertice della piramide troviamo due bisogni che indicano la vera rivoluzione della concezione del lavoro, ossia la stima ricevuta dagli altri e l’autorealizzazione. Questi due bisogni sono strettamente collegati alla società che circonda l’individuo e alla necessità di coltivare relazioni; a differenza dei bisogni fisiologici, i quali una volta soddisfatti tendono a non ripresentarsi, i bisogni sociali e relazionali tendono a rinascere con delle nuove ambizioni. L’individuazione dei bisogni relazionali introduce un nuovo modello di uomo: l’homo socialis, un'immagine che si contrappone all’idea di homo economicus predominante nell’economia classica fino alla prima metà del secolo scorso.
S’inizia a considerare il lavoratore come un essere umano dotato di sentimenti ed emozioni capaci d’interferire nel lavoro, perché al di sopra del calcolo d’interesse economico. La psicologia del lavoro inizia, quindi, ad interessarsi del contesto lavorativo e degli strumenti di lavoro, mette in relazione il benessere fisico, come la facilitazione all’utilizzo di strumenti e macchine e la postura corretta durante lo svolgimento delle mansioni. Soprattutto la psicologia del lavoro interviene nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, nei diversi ambienti, aiuta a migliorare i profili richiesti dalle organizzazioni e aiuta ad individuare le competenze dei lavoratori.
Lo psicologo del lavoro è uno specialista che opera a stretto contatto con le risorse umane per migliorare la vita dei lavoratori all’interno dell’azienda e aiutare l’organizzazione a costruire sistemi funzionali, che rispettano le competenze dei lavoratori e sanno massimizzare il rendimento di gruppo. La formazione dello psicologo del lavoro prevede la laurea in psicologia, a indirizzo specifico in psicologia del lavoro.
Dopo aver sostenuto e superato l’esame di stato, il professionista può iscriversi all’albo degli psicologi, come prevede la tradizionale carriera di ogni psicologo. Le mansioni dello psicologo del lavoro variano a seconda della realtà in cui è inserito. Nelle aziende, il suo ruolo è fondamentale per sviluppare i rapporti di collaborazione fra i dipendenti e i datori di lavoro, allentare i momenti di stress e migliorare l’ambiente lavorativo in genere.
Nell’organizzazione dell’azienda, lo psicologo del lavoro interviene nella definizione dei ruoli e si adopera per migliorare le dinamiche e i processi di comunicazione fra le parti interne all’azienda e con le parti esterne, come collaboratori o partner. Soprattutto, il suo ruolo è efficace nell’aiutare il lavoratore a trovare la motivazione giusta per far fronte ai suoi impegni e rispettare gli obiettivi.
Il suo ruolo, però, si differenzia dal coach motivazionale, poiché la motivazione esplorata dallo psicologo è strettamente legata all’ambiente sociale dell’azienda. Il lavoratore deve accrescere la consapevolezza di sé e usare le proprie competenze per raggiungere un obiettivo di gruppo, al fine di trovare il proprio ruolo all’interno dell’azienda.
Lo psicologo deve saper rilevare quando le potenzialità di un lavoratore possono essere ostacolate da azioni di gruppo (o di singoli) che possono procurare disagio al lavoratore, e deve saper ridurre il verificarsi di azioni di mobbing o bullismo. La psicologia del lavoro include la valutazione e la promozione della performance delle diverse figure professionali, intervenendo anche sugli obiettivi da fissare di volta in volta, per equilibrare gli obiettivi aziendali e le competenze della forza lavoro.
Questa figura può intervenire in maniera più ampia anche sul mondo del lavoro, in quanto può sviluppare delle strategie d’intervento e dinamizzazione della realtà lavorativa, utili alle politiche del lavoro. In questo senso, lo psicologo del lavoro può prendere parte attiva per trovare strategie occupazionali, in favore di gruppi con difficile accesso al lavoro e smuovere il percorso d’incontro fra domanda e offerta con programmi specifici; inoltre, lo specialista può stendere programmi di coaching per aiutare i lavoratori a intraprendere percorsi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi personali.
Lo psicologo del lavoro è una figura molto utile nell’ambito delle Human Resource sia per la selezione del personale, sia per analizzare i tipi di impiego, sia per la prevenzione dei rischi sul lavoro.
Nell’ambito della selezione del personale, lo psicologo del lavoro è una figura molto importante, perché ha introdotto i test attitudinali. Inizialmente questi test erano realizzati in maniera standardizzata, ma oggi si usano test situazionali per rispondere alle specifiche esigenze delle aziende, pensati per selezionare i profili più idonei a gestire determinati contesti lavorativi.
La selezione del personale prevede la preparazione dei test, la stesura di domande mirate da proporre al candidato durante l’intervista per comprenderne caratteristiche, soft skills e valori; allo psicologo può essere affidata anche la valutazione finale dei profili, anche se in molti casi sono le risorse umane ad occuparsi della selezione finale.
Il ruolo dello specialista all’interno dell’azienda è determinante per definire in maniera chiara ogni posizione di lavoro. Lo psicologo delinea un profilo dell’impiego, con le rispettive mansioni da svolgere in modo da poter delineare chiaramente le competenze necessarie. In questo modo si eviteranno sovrapposizioni delle mansioni nei diversi incarichi.
Questo aspetto è molto importante, perché la separazione netta dei ruoli, in particolari negli uffici, aiuta a velocizzare i processi decisionali e determinare un preciso metodo di svolgimento delle mansioni. Lo psicologo può organizzare dei programmi di formazione specifica per ciascun ruolo all’interno dell’azienda.
In questo ambito, lo psicologo deve individuare l’eventualità del rischio che può essere presente in una posizione di lavoro esposta a incidenti. Lo specialista deve saper indicare ai lavoratori i comportamenti sicuri da tenere durante le ore di lavoro. Il fattore stanchezza/disattenzione è un aspetto che viene sempre seguito dallo psicologo, anche nell’ambito del lavoro d’ufficio, dove prevale l’uso del computer.
Spesso vengono consigliati, nei programmi di formazione, momenti strategici di pausa, al fine di migliorare il rendimento, evitare errori banali o nel caso di possibile pericolo, scongiurare incidenti sul lavoro. Infine, uno dei compiti dello psicologo del lavoro è di saper valutare le prestazioni dei lavoratori in base agli obiettivi prefissati.
L’analisi deve considerare i possibili fattori coinvolti e, in base a tutte le variabili, disegnare possibili alternative che incidano sull’ambiente di lavoro, al fine di migliorare il clima dell’organizzazione e permettere la piena espressione delle capacità di ogni lavoratore.
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