
Motivare le persone e affrontare i cambiamenti
Indicazioni pratiche per le aziende
11min

Indicazioni pratiche per le aziende
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Episodi di Best Boss!
La motivazione come algoritmo
Nella storia della psicologia, molti autori si sono concentrati sul tema della motivazione. Secondo il ricercatore John Atkinson, ad esempio, la motivazione si può calcolare con una sorta di algoritmo, che valuta la motivazione in base all’operazione: tendenza al successo meno paura del fallimento. Le persone orientate al successo sono più intraprendenti e si assumono più rischi, mentre quelle che temono il fallimento hanno un atteggiamento più prudente.
L’importanza delle attribuzioni causali
Se Atkinson si focalizza sulle aspettative rispetto al futuro, Bernard Weiner parla del ruolo delle cosiddette attribuzioni causali. Tutti noi cerchiamo di darci una spiegazione di ciò che ci accade. Nel farlo, attribuiamo cause e responsabilità a noi stessi o al mondo esterno. Il nostro centro di controllo è chiamato “Locus of control”. Le persone con un Locus of control interno, ritengono di solito di essere autrici del proprio destino. Sanno che molte cose dipendono da loro e si assumono più facilmente la responsabilità delle proprie azioni. Le persone con un Locus of control esterno, invece, sono più propense a credere che ciò che accade sia dovuto a fattori fuori dal proprio controllo. Attribuiscono notevole importanza al caso, alla fortuna oppure al destino.
Per mantenere le persone motivate è importante aiutarle a sviluppare un Locus of control interno. Chi crede di non avere controllo o potere su ciò che gli accade, infatti, ha maggior rischio di sviluppare senso di impotenza e sfiducia, perdendo di vista le proprie responsabilità.
La teoria dell’autoefficacia di Albert Bandura
La teoria delle attribuzioni causali ha aperto la strada a quella social-cognitiva di Albert Bandura. Nella sua teoria, Bandura parla di autoefficacia percepita, ovvero l’insieme delle valutazioni che le persone fanno rispetto al proprio sentirsi capaci. In altre parole, l’autoefficacia indica quando una persona si sente in grado di raggiungere livelli stabiliti di prestazione in ambiti specifici. Alcuni studi hanno rilevato che le persone con maggiore autoefficacia percepita hanno un’ascesa di carriera più rapida. Quando ci sentiamo capaci, ci mettiamo in gioco più facilmente e otteniamo risultati con maggiore facilità.
Deci e Ryan pongono al centro della loro teoria i bisogni delle persone. Secondo gli autori, i lavoratori si sentono profondamente motivati e valorizzati solo quando vedono soddisfatti alcuni bisogni fondamentali: sentirsi capaci, essere autonomi e sperimentare senso di appartenenza.
La teoria di Deci e Ryan - detta anche teoria dell’autodeterminazione - è probabilmente la più significativa per chi si occupa di risorse umane. Deci e Ryan ad esempio distinguono la motivazione estrinseca da quella intrinseca. La motivazione estrinseca è regolata da incentivi esterni, come soldi, ricompense oppure premi. La motivazione intrinseca sorge invece dall’individuo, è legata a interessi individuali e dipende in misura minore dalle ricompense.
Nel libro “Dying for a Paycheck”, l’autore Jeffrey Pfeffer propone una visione simile a quella di Deci e Ryan. Secondo Pfeffer, i manager dovrebbero prendersi cura della salute mentale e della crescita professionale dei propri dipendenti.
Incentivare con un aumento chi svolge un lavoro non solo non è sufficiente a motivare quella persona, ma può addirittura rivelarsi controproducente. Il denaro infatti è una fonte di motivazione estrinseca, il rischio quindi è che la persona creda di svolgere quel lavoro per dovere, e non per vero interesse.
Un’altra teoria interessante è quella del Goal Setting. Secondo la Goal Setting Theory, gli obiettivi devono essere SMART, ovvero Specifici, Misurabili, Accessibili, Realistici e basati sul Tempo.
Stabilire obiettivi con queste caratteristiche è fondamentale per sostenere la propria motivazione. Obiettivi SMART portano a canalizzare energie e sforzi che altrimenti si disperderebbero. Gli obiettivi SMART permettono di aumentare la tenacia e incentivano lo sviluppo e l’applicazione di strategie di azione efficaci.
Quando si parla di motivazione al lavoro, molte teorie sembrano convergere sull’importanza di fattori come senso di padronanza, senso di appartenenza e autonomia nello svolgimento dei propri compiti. I manager che vogliono ottenere di più dai propri dipendenti e collaboratori, dovrebbero quindi cercare di favorirne la crescita professionale e personale, piuttosto che impartire premi e punizioni sulle performance.
Quando non si risponde ai loro bisogni, i lavoratori non avranno una sufficiente motivazione. Secondo lo psicologo Abraham Maslow, esistono 5 categorie di bisogni, ordinate in modo gerarchico in una piramide. Alla base della piramide si trovano i bisogni fondamentali di sicurezza e di nutrimento, mentre in cima alla gerarchia si trovano bisogni di appartenenza a un gruppo, stima e autorealizzazione. Un’azienda di successo non può limitarsi a garantire uno stipendio o alcuni benefit e premi. Al contrario, dovrà cercare di andare oltre e aiutare i dipendenti a esprimere al meglio se stessi e le proprie potenzialità. L’azienda ideale è quella in cui un lavoratore si sente a casa, circondato da persone che lo rispettano e credono in lui.
In linea con le teorie dei bisogni, nel suo libro “Drive”, Daniel Pink ha parlato di ciò che motiva in modo profondo le persone e di come i grandi leader ispirano l’azione.
Come attivare nelle persone la motivazione 15 min
Drive
Le aziende visionarie sono in grado di costruire un successo duraturo grazie alla cultura aziendale.
Come hanno dimostrato Jerry Porras e James Collins nel loro libro “Built to last”, le aziende di successo non puntano solo al profitto, ma si ispirano a un profondo perché. Avere uno scopo profondo orienta il lavoro di ogni singolo al suo interno. Un’azienda di successo tende a competere più che altro con se stessa, ponendosi obiettivi ambiziosi ma raggiungibili. Il risultato finale genera eccitazione, sfida e motivazione a raggiungere uno scopo.
Per fare un esempio pratico, General Electric condivide con i suoi dipendenti l’obiettivo di essere il numero uno o il numero due in ogni mercato in cui opera. È un obiettivo specifico, chiaro e di facile comprensione ed è una fonte di grande motivazione per tutti i dipendenti.
Le abitudini che contraddistinguono le aziende visionarie 21 min
Built to Last
Se vogliamo innescare un cambiamento in un’organizzazione, dovremo focalizzarci su valori, atteggiamenti e bisogni delle persone. I manager non possono semplicemente aspettarsi che i lavoratori si adattino a ogni cambiamento. Per risultare effettivo, ogni cambiamento dev’essere discusso e accettato gradualmente. Le persone infatti sono di solito restie ai cambiamenti, che minacciano l’equilibrio raggiunto fino a quel momento.
Come possiamo aiutare gli altri ad accettare questi mutamenti? La psicologia ha individuato quattro attività fondamentali: Ridurre, Focalizzare, Selezionare, Chiedere.
Dobbiamo per prima cosa ridurre l’ampiezza della domanda di partenza. Invece di cambiare tutto ci dobbiamo porre l’obiettivo di cambiare qualcosa. Lo stretto indispensabile. Quindi dobbiamo focalizzarci su alcuni aspetti e lasciarne indietro altri. Ma come facciamo a sapere quali aspetti selezionare per portare migliorie all’azienda?
Qui dipende dai nostri obiettivi specifici. Vogliamo collaboratori più motivati? O forse più creativi? O più determinati? In base all’obiettivo ci chiederemo allora su quali fattori intervenire: motivazione, atteggiamenti, valori, resistenze alle novità, caparbietà, curiosità, autostima. Il cambiamento è possibile, ma bisogna chiedere, prima a se stessi, poi a chi lavora.
Secondo Peter Senge, il cambiamento “è possibile ma non probabile”. Ogni cambiamento infatti, implica una resistenza. La resistenza è una reazione a fatti reali o immaginari che minacciano lo status quo. De Vries e Miller in “L’organizzazione nevrotica”, hanno studiato le resistenze al cambiamento delle aziende, dei loro manager e impiegati in ottica psicoanalitica.
Ogni cambiamento, anche il più piccolo, implica una minaccia all’omeostasi personale e di gruppo e fa emergere una certa quota d’ansia. “Perderò soldi? Perderò il lavoro? Sarò demansionato? Cosa penseranno gli altri di me se cambio il modo di fare le cose?”. L’introduzione di cambiamenti innesca meccanismi di difesa difficili da risolvere.
È importante che le persone non siano forzate a cambiare, ma che si sentano piuttosto di poterlo fare sentendosi sicure.
Esistono vari tipi di cambiamento aziendale. Il cambiamento adattivo comporta spese più basse e minori incertezze. Il cambiamento radicalmente innovativo è invece difficile e rischioso e fallisce se non è coerente con la cultura organizzativa.
Philipp Kotter ha proposto un modello di gestione del cambiamento composto da otto fasi. Nella prima fase è importante stabilire un senso di urgenza, facendo emergere il bisogno di cambiamento. Il secondo step è creare una coalizione guida, di persone che facciano da pionieri del cambiamento. Si deve poi sviluppare una visione e una strategia per trasmettere il senso delle novità e attuarlo in senso pratico. I manager dovrebbero poi comunicare la visione del cambiamento e incentivare la partecipazione dei dipendenti. Per aumentare la fiducia nel processo, sarà inoltre necessario generare successi a breve termine. I successi vanno poi consolidati e accompagnati da altre innovazioni. L’ultimo passo, infine, è ancorare i nuovi approcci nella cultura organizzativa.
Le 8 fasi riflettono tre macro aree, ovvero scongelamento, trasformazione, ricongelamento.
Gli esiti del cambiamento possono essere invece adeguamento, impegno e resistenza. Le cause delle resistenze sono divisibili tra agenti e destinatari del cambiamento e riguardano in generale la paura dell’ignoto e una cattiva leadership.
Lo psicologo e ricercatore britannico John Bowlby sosteneva che ogni persona ha bisogno di legami solidi per soddisfare il bisogno fondamentale di sicurezza. L’attaccamento è presente in moltissime specie animali e riflette la necessità di proteggersi di fronte ai pericoli quando si è vulnerabili.
Le persone affrontano i cambiamenti quando si sentono al sicuro, e il cambiamento non rappresenta una minaccia se ci si sente accompagnati e protetti. In una prospettiva psicoanalitica, infine, i bisogni riguardano soprattutto la soddisfazione di pulsioni sessuali, o aggressive, o la ricerca di un equilibrio omeostatico che permetta di proteggersi da sentimenti e pensieri angosciosi e mantenere una buona considerazione di se stessi.
Dal momento che il lavoro permette di soddisfare i bisogni primari, è importante considerare le emozioni che la vita in azienda suscita e, di conseguenza, l’ansia che i cambiamenti possono comportare. L’aiuto di uno psicologo può aiutare manager e dipendenti ad affrontare al meglio i cambiamenti e le situazioni di crisi.
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