
Decisioni: ecco come prendere quelle giuste
La psicologia strategica aiuta a superare le paure e scegliere bene
16min

La psicologia strategica aiuta a superare le paure e scegliere bene
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Nel corso del tempo si sono sviluppati due grandi indirizzi nello studio delle decisioni: l’approccio normativo e l’approccio descrittivo.
L’approccio normativo
I primi studiosi dei processi decisionali non erano psicologi, ma economisti, logici e matematici, interessati a capire i processi di scelta e acquisto delle persone. L’obiettivo dell’approccio logico-normativo non è descrivere la realtà ma definire leggi di funzionamento delle persone nella presa di decisione. Gli autori di questo approccio cercano di individuare i criteri che, in base ad assiomi di coerenza interna e varie regole decisionali, permettono di definire una scelta come razionale (o logica, o internamente coerente). Adattando tali criteri a un contesto specifico, le scelte razionali sono quelle vantaggiose per chi le adotta. L’approccio normativo del matematico John von Neumann e dell’economista Oskar Morgenstern studia le decisioni come se gli individui (le aziende, le istituzioni economiche) facessero tutti i calcoli necessari per scegliere in base ad assunti di razionalità e logicità. L’agente decisore studiato dagli autori è detto homo oeconomicus, ed è un decisore virtuale che poco ha a che fare con l’uomo medio: ha idee chiare, preferenze stabili sulle alternative a sua disposizione ed è edotto di calcolo delle probabilità.
Secondo queste teorie, l’homo oeconomicus è un massimizzatore di utilità attesa. In situazioni di incertezza, cioè, tenderà a massimizzare gli esiti visti come più “utili”, ovvero quelli che hanno un maggiore valore soggettivo (il valore atteso è invece una misura più oggettiva. Per fare un esempio,10€ valgono sempre 10€, ma hanno utilità attesa diversa per un senzatetto e per un miliardario). La Teoria dell’Utilità Attesa di von Neumann e Morgenstern (1947) prevedeva che il decisore fosse razionale, conoscesse le alternative e le sue preferenze e soprattutto che fosse logico e coerente con se stesso. Questo approccio teorico fu apprezzato e celebrato per aver dato il via allo studio sulle decisioni, ma ricevette anche molte critiche per non essere in grado di spiegare il modo in cui le persone prendono decisioni nella concretezza della vita quotidiana.
La nascita dell’approccio descrittivo fu una diretta conseguenza dell’insoddisfazione dei modelli teorici elaborati fino a quel momento per spiegare i processi decisionali.
Verso un approccio descrittivo
Herbert Simon, premio Nobel per l’economia nel 1978, fu il primo a muoversi verso un approccio descrittivo, asserendo che l’attività cognitiva dei decisori è caratterizzata da razionalità limitata e che nelle decisioni intervengono molti fattori diversi. Oltre alla natura dei processi cognitivi di ogni individuo, infatti, rivestono un ruolo importante anche:
Tutto ciò rende ogni nostra scelta più ambigua e incerta di come potrebbe apparire a un primo sguardo. Inoltre, spesso prendiamo decisioni non tanto in base all’utilità attesa, ma più che altro in base a quella che riteniamo possa essere la scelta “migliore possibile” in un dato momento.
L’approccio descrittivo di Tversky e Kahneman
Amos Tversky e Daniel Kahneman (premio nobel 2002 per l’economia) sono gli autori della cosiddetta Teoria del Prospetto. Secondo questa teoria le persone valutano le alternative di scelta in termini di scarto da un punto di riferimento. Un prospetto (ovvero le conseguenze che immaginiamo avrà la nostra scelta) può avere utilità diverse a seconda che gli esiti siano visti come guadagni o perdite. Gli autori sostengono che il processo decisionale si articoli in due fasi: strutturazione e valutazione. Nella fase di strutturazione (o di editing, o di framing) il decisore analizza il problema attraverso sei operazioni:
Nella fase di valutazione il decisore confronta le diverse alternative e sceglie quelle con un valore più alto. A differenza della teoria dell’utilità attesa, qui il concetto di valore è legato allo scarto dal punto di riferimento stabilito. Un altro aspetto importante che differenzia la teoria del prospetto da quella dell’utilità attesa è il peso decisionale, un fenomeno per cui sovrastimiamo le basse probabilità e sottostimiamo le probabilità medio-alte. Quando giochiamo alla lotteria, ad esempio, stiamo sopravvalutando la possibilità che avvenga un evento estremamente raro (vincita) accettando una piccola perdita sicura. Il terzo elemento distintivo della Teoria del Prospetto è relativo agli effetti di incorniciamento (framing effects). Uno stesso problema può condurre a decisioni differenti a seconda del modo in cui è descritto. Dipende tutto dalla decision frame, la “cornice cognitiva”. Un esempio molto noto in letteratura è il problema della malattia asiatica usato da Tversky e Kahneman per illustrare gli effetti di incorniciamento.
Immagina che gli Stati Uniti si stiano preparando a fronteggiare lo scoppio di una malattia asiatica rara, che si prevede porti alla morte di 600 persone. Vengono proposti due programmi alternativi per combatterla. Assumi che la stima scientifica esatta delle conseguenze dei programmi sia la seguente:
versione 1
Versione 2
Il problema a livello logico era equivalente, ma le risposte furono radicalmente diverse nei due gruppi sottoposti alle due versioni. Con il frame positivo della versione 1, la maggior parte dei soggetti sceglieva l’opzione certa (il programma A), mentre con il frame negativo accadeva l’opposto e l’alternativa più scelta era la più rischiosa (programma D). Insomma, se si poneva il problema in termini di vite salvate, l’avversione al rischio era maggiore. Se si portava il lettore a focalizzarsi sulle vite perse, allora si sceglieva una via più rischiosa.
Questo esempio mostra come le persone non sono decisori razionali e fanno scelte in base a un insieme di fattori variegato e non sempre prevedibile. A proposito del nostro modo di valutare le situazioni, Tversky e Kahneman hanno scritto un libro che ha avuto molto successo, si chiama “Pensieri lenti e veloci”.
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Pensieri lenti e veloci
Le emozioni, un tempo trascurate come “rumore di fondo” dagli studiosi delle scelte, hanno assunto di recente un’importanza centrale nelle teorie sulla decisione. Secondo il neurologo Antonio Damasio, le emozioni sono fenomeni che originano dall’attività sinergica del sistema mente-cervello e corpo. Damasio distingue le emozioni in:
Secondo Damasio i pensieri sono costituiti da immagini connotate emotivamente, che hanno la funzione di anticipare le conseguenze degli eventi. Ciò è possibile grazie ai marcatori somatici: risposte somatiche prodotte nell’organismo in risposta a esperienze emotive precedenti. Secondo questa teoria le emozioni giocano un ruolo fondamentale nei processi decisionali. Di fronte a diversi possibili piani di azione, scarteremo quelli che prevedono conseguenze negative.
I modelli teorici più recenti hanno cercato di integrare le diverse prospettive sviluppatesi rispetto al dibattito sulla razionalità umana. I modelli cognitivi che vanno in questa direzione sono quelli dei due sistemi di pensiero.
Secondo i fautori di questa famiglia di teorie, esisterebbero due processi di pensiero distinti: il sistema 1 e il sistema 2. Il sistema 1 è descritto come intuitivo, inconscio, automatico e veloce; elabora informazioni in modo molto rapido e meno oneroso dal punto di vista cognitivo, ma è soggetto a euristiche e bias (errori cognitivi). Il sistema 2 elabora invece le informazioni in modo più lento e accurato, grazie al sistema di ragionamento mediato dalla corteccia prefrontale (un sistema cerebrale più “moderno” rispetto all’amigdala). Spesso il sistema 1 domina sul sistema 2, ma quest’ultimo può correggere le scelte intuitive soggette a errori tramite una rivalutazione più accurata. Tutto sta nel trovare il giusto equilibrio.
Nel suo libro “La paura delle decisioni - Come costruire il coraggio di scegliere per sé e per gli altri”, lo psicoterapeuta e divulgatore Giorgio Nardone parla delle diverse forme di paura delle decisioni ed elenca i principali timori che si sperimentano di fronte alle scelte. Secondo Nardone, le decisioni di fronte alle quali ci troviamo più in difficoltà sono:
Queste possono innescare diverse forme della paura di decidere:
Queste forme della paura di decidere possono portare a esiti sintomatologici anche molto gravi, come ansia, attacchi di panico, stress, tensione emotiva, ossessioni, compulsioni e dubbio patologico. Per superare queste difficoltà Nardone propone alcuni stratagemmi elaborati in seguito a ricerche scientifiche e dall’esperienza in campo clinico e psicoterapeutico.
Strategie e stratagemmi per l’angoscia da decisione
Le persone angosciate spesso finiscono in un circolo vizioso in cui, cercando di fuggire da una “condanna”, finiscono per procurarsi altri danni o problemi. In questo caso l’esercizio consiste nello scrivere in dettaglio tutte le proprie aspettative angoscianti e la sera verificare se le previsioni catastrofiche si sono realizzate. Scrivere ha effetti terapeutici e la descrizione in forma scritta dei problemi desensibilizza progressivamente all’angoscia.
Strategie e stratagemmi contro lo stress da decisione
Procrastinare una decisione a quando saremo più tranquilli ci fa sentire bene sul momento, ma la fuga aumenta l’ansia e ci espone a una tensione sempre crescente. La tecnica del “come peggiorare” è un antico autoinganno strategico che permette di individuare i propri pensieri disfunzionali uscendo dal meccanismo difensivo dell’evitamento. Immaginando volontariamente come fallire, si produce l’effetto spontaneo del rifiuto ad agire secondo le modalità che ci porterebbero al fallimento.
Strategie e stratagemmi per dubbi ossessivi e compulsioni da decisioni
Un problema comune quando si è bloccati in modo ossessivo di fronte a un dubbio è che la domanda di partenza è sbagliata. Come diceva il filosofo Immanuel Kant “Se la domanda è scorretta non possono esistere risposte giuste”. Lo stratagemma consiste allora nel dare ai pensieri ossessivi uno spazio abnorme, in modo che la psiche li rifiuti spontaneamente. Lungo l’arco della giornata si devono richiamare alla mente, per cinque minuti ogni ora, i pensieri e le immagini indesiderati. Questa tortura volontaria dovrebbe scatenare una reazione avversiva naturale, grazie alla quale la mente rifiuta quei pensieri e quelle immagini e disinnesca il meccanismo ossessivo.
Negli ultimi capitoli del suo libro, Nardone sostiene che anche se le emozioni sono una componente importante del processo di scelta, di fronte a una decisione importante è necessario possedere anche competenze specifiche su un tema e abilità logiche di problem solving. Possedere competenze adeguate a risolvere un problema aiuta infatti a pianificare le azioni da mettere in atto e, anche se non basta ad azzerare i timori, quantomeno aiuta a ridurli. Per aumentare il proprio livello di agency, ovvero di autoefficacia percepita, è importante allenarsi molto e fare tesoro delle esperienze precedenti in un ambito specifico. Le abilità di problem solving invece possono essere allenate con altre tecniche specifiche della psicologia strategica.
Insomma, cambiare il proprio mindset è fondamentale per riuscire a prendere delle decisioni più ponderate e portarci al successo.
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Mindset
Ogni giorno ci troviamo di fronte a tante scelte importanti e decisioni più o meno impegnative. Di solito i suggerimenti che ci sentiamo dare sono “segui il tuo istinto” oppure “pensaci bene”.
Queste indicazioni però sono spesso del tutto insufficienti a tranquillizzarci, in primo luogo perché non siamo decisori razionali e poi perché le situazioni sono sempre più complesse di quello che sembra. Inoltre, quando le conseguenze delle nostre scelte non sono chiare, la difficoltà diventa massima e rischia di portarci a una paralisi angosciosa.
Conoscere come funziona la mente in situazioni di decision making è il modo migliore per fare le scelte giuste o quantomeno per ridurre gli errori. Solo imparando a gestire lo stress possiamo diventare persone più resilienti e “anti-fragili”.
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