
Il giusto team fa la differenza? Dipende dal leader
Motivare un gruppo di persone non è facile, ma porta risultati straordinari
13min

Motivare un gruppo di persone non è facile, ma porta risultati straordinari
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Episodi di Best Boss!
Nelle aziende che tutti frequentiamo ci sono sicuramente tanti gruppi e pochi team.
Cioè ci sono persone che lavorano insieme, magari apprezzano anche la reciproca compagnia per il tempo di un caffè, ma non sono realmente una squadra, non si fidano gli uni degli altri.
Ecco, qui sta la linea di demarcazione tra l’essere semplicemente un gruppo di colleghi e un team vero e proprio.
Prendendo ad esempio il mondo sportivo, nello sport un gruppo di giocatori può essere un bellissimo gruppo, può funzionare benissimo, ma questo vuol dire che come squadra funzionerà? Non è detto.
In un team, ma anche in una squadra sportiva, troviamo:
Per far funzionare un team, infatti, è necessario che le persone coinvolte si sentano una squadra, perciò ruoli, processi e obiettivi devono essere chiari a tutti e – soprattutto – devono essere condivisi e vantaggiosi per tutti: la chiave del successo di un team infatti sta nel non mirare, solamente, a massimizzare il proprio risultato individuale, ma nell’occuparsi della vittoria di tutti.
Giocare per la squadra significa preoccuparsi, prima di tutto, di cosa ha bisogno il nostro collega e, successivamente, di come progredire nella nostra parte; significa quindi non porre le proprie ambizioni davanti a quelle del team, sapendo che il successo sarà condiviso.
Il passaggio da gruppo a team è ben spiegato in uno dei libri per la crescita personale presenti su 4books: "Team of Teams" di Stanley McChrystal (generale dell’esercito USA che è stato una figura chiave delle missioni americane in Iraq e in Afghanistan) Tantum Collins, David Silverman e Chris Fussell, tutti e tre collaboratori del generale sia sul campo di battaglia che nelle aule universitarie e nelle fondazioni create per dare supporto ai veterani.
Nello spiegare come gestire un team in un mondo sempre più complesso, partono dall’interessante paragone del lavoro di squadra “da scrivania” con il mondo militare: come non è più valido il sistema fortemente gerarchico dell’esercito USA, così il sistema capo-sottoposti non può più funzionare nel mondo contemporaneo.
McChrystal, Collins, Silverman e Fussell per esporre la loro teoria partono da solide basi storiche, in particolare dall’analisi del Taylorismo e dei suoi difetti visti alla luce della contemporaneità: secondo loro, il sistema della catena di montaggio ha avuto validità fino a oggi, quando web e social network stanno causando un cambiamento di portata sconvolgente; in questo nuovo scenario, l'efficienza non è più abbastanza e affidarsi alla catena di montaggio tayloriana è un errore che potremmo finire per pagare caro in ambito militare, ma anche economico e civile.
"Per ritagliarsi la propria chance nel mondo odierno il cambiamento da mettere in atto deve essere sostanziale e rivoluzionario. Nel mondo militare, ma anche in quello civile, il punto cruciale è il passaggio da gerarchia a squadra: il rigido ordine dall’alto verso il basso messo in pratica per centinaia di anni deve andare a scomparire in favore di gruppi di individui affiatati e interconnessi, che siano in grado di reagire alle situazioni in maniera efficace, coordinata e veloce".
La chiave evidenziata dai quattro strateghi bellici è la flessibilità, la resilienza – termine così abusato oggi – e questa caratteristica può svilupparsi soltanto se c’è fiducia, se siamo sicuri che il nostro collega non approfitterà di una nostra debolezza per soffiarci la promozione.
"[Il team] ha come base la fiducia tra i suoi membri, e questa situazione di interconnessione è ancora più importante in uno scenario complesso, nel quale ogni membro del team deve essere in grado di comprendere in qualsiasi momento la situazione del resto della squadra e fare la cosa giusta nell'interesse di tutti".
Questo concetto è naturalmente molto chiaro in uno scenario di guerra, dove la vita di ciascuno dipende dagli altri, ma è importante evidenziarlo anche per la corretta gestione di un team di lavoro: la complicità, gli automatismi, la compensazione di errori sono tutte azioni che possono avvenire soltanto con una solida base di fiducia e questa, a sua volta, può consolidarsi soltanto nel tempo, con effettive attestazioni pratiche non certo a seguito di riunioni o incontri motivazionali.
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Una volta stabilita la fiducia, ma anche contestualmente, ci sono degli aspetti da affinare per costruire una squadra degna di questo nome:
L’importanza di un essere un buon leader, non solo un capo, è l’argomento centrale del libro "Extreme Ownership" di Jocko Willink e Leif Babin, ex ufficiali dei Navy SEAL, le forze speciali della Marina degli Stati Uniti. Grazie alla loro esperienza possiamo scoprire quali caratteristiche deve avere un leader e, soprattutto, quale disposizione mentale deve avere.
"Per convincere e ispirare gli altri un leader deve credere profondamente nella missione – affermano Willink e Babin – Deve agire spinto dalla consapevolezza di essere parte di qualcosa di più grande di lui, che va oltre i propri interessi personali e deve infondere questo sentimento ad ogni membro della squadra".
E ancora: "Non esistono cattive squadre ma solo cattivi leader". Insomma, ci è ormai chiaro che la responsabilità di un team ricade per prima sul suo capo, che deve creare il clima di fiducia e appartenenza per permettere poi a ogni membro di fare del suo meglio.
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Una parte fondamentale del successo di ogni squadra è la sua costituzione a partire da validi membri: certo, questo non è sempre possibile, spesso in azienda ci sono già gruppi di lavoro ormai consolidati, ma se questi non hanno successo è allora ragionevole provare a sparigliare le carte sia con una nuova assunzione, sia attraverso la creazione di nuovi gruppi con le stesse persone con cui si è partiti, ma combinati in maniera differente.
La profilazione dei membri di un team è infatti un primo passo importante; si devono valutare:
In realtà, la valutazione di un profilo non dovrebbe mai prescindere dalle attitudini di quella persona e dalle sue soft skill, perché è da queste che dipende la buona riuscita di un team. Creare la giusta amalgama di persone, infatti, dipende spesso dalla complementarità di caratteri, ambizioni e attitudini: se anche ci troviamo di fronte a due capacissimi tecnici, ma questi hanno ambizioni e caratteri contrastanti, dobbiamo prendere atto che insieme non creeranno mai un team valido, perché si pesterebbero i piedi in continuazione, diminuendo l’apporto che ciascuno saprebbe dare, anziché esaltarlo.
Inoltre, è opportuno condividere questa analisi con l’intera squadra; con il giusto tatto dovremo informare tutti i membri della squadra dei punti di forza e di debolezza dei colleghi, non per evidenziare mancanze o criticare, ma perché ciascuno deve conoscere i rispettivi ambiti di competenza e come intervenire in maniera complementare per sostenere il lavoro altrui.
Saprete di essere riusciti nel vostro intento se i membri del team si sentiranno sicuri di poter dare il meglio di loro stessi in determinate aree e di contare invece sull’esperienza e le qualità degli altri per quello che non gli riesce bene.
Veniamo all’ultimo passo per la creazione di una squadra ben formata: il leader, a questo punto, deve saper delegare il proprio controllo e donare così una parte di leadership ad alcuni membri della squadra.
Strano a dirsi, ma forse questo è il momento più delicato, quello in cui si vede se la creazione della squadra ha avuto successo: proviamo a comprenderlo grazie alle parole di McChrystal, Collins, Silverman e Fussell in «Team of Teams», ancora una volta.
"Pensando all'esempio dell'esperienza in Iraq, infatti, una volta messa in pratica la coscienza condivisa rimaneva ancora un problema: ogni decisione doveva passare dal leader prima di essere considerata operativa. Se questo ritardo nell’azione in campo civile può essere considerato di poco conto, nel mondo militare pochi istanti possono fare la differenza. Il fatto è che una leadership di controllo, che ritarda un’azione senza migliorare le sorti, in un mondo come quello odierno nel quale la velocità è cruciale non è più una pratica che possa funzionare".
E ancora: "Questo meccanismo viene chiamato decentralizzazione del potere decisionale e quando messo in pratica nella maniera giusta può essere la chiusura del cerchio del sistema di squadre basato sulla collaborazione. Tuttavia, è bene ricordare che il processo di empowerment dei sottoposti deve sempre essere messo in pratica solo in seguito a un percorso di coscienza e informazione condivisa, pena creare problemi e mettere a rischio l’intera struttura".
Ecco evidenziato il rischio: se questo passaggio di leadership viene effettuato troppo presto, semplicemente il team non sarà pronto e il progetto rischia di crollare su se stesso come un castello di carte. Se, invece, il leader aspetta troppo tempo nel delegare – magari per ego o per scarsa fiducia – perderà il rispetto e così l’impegno dei sottoposti, che si sentiranno privi di autonomia decisionale, ingabbiati dalla volontà del capo. In più, così facendo, si rischia soltanto di rallentare processi, facendo diventare il leader un imbuto dove si arenano anche i progetti meglio costruiti.
Nel mondo di oggi, caratterizzato dalla complessità, non possiamo più limitarci al capo-decisore unico, ma dobbiamo creare team dove il leader e i vari membri della squadra sappiamo collaborare per mettere a frutto le proprie capacità nel modo migliore: un team ha successo quando la somma di ciascuna capacità è maggiore dell’apporto che potrebbe dare ciascun membro singolarmente, perché le hard e soft skill di ciascuno sono ben coordinate per sopperire e per esaltare quelle degli altri membri.
Compito del leader è allora quello di creare un ambiente fertile perché questo avvenga, basato su fiducia e rispetto reciproci, trasparenza e condivisione delle informazioni.
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