Fallacie intellettuali
Esplora come anche gli esperti cadono nelle trappole del linguaggio e dell'argomentazione
10min
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Ora che ci avviamo verso il termine di questo nostro podcast e che abbiamo già imparato a riconoscere diverse tipologie di fallacie argomentative, credo sia il caso di dire una cosa molto onesta e anche molto importante. Ovvero che tutti quanti noi, io stesso, utilizziamo e continueremo a utilizzare delle fallacie. Spesso inconsapevolmente, ma alle volte anche volontariamente. Anche i più attenti di noi finiranno qualche volta nella tela del ragno e utilizzeranno qualche scorrettezza retorica. Però molti penseranno, e anche qui io stesso a volte erroneamente lo penso, che una persona di cultura, un intellettuale, che è abituato a muoversi tra i libri e tra questi argomenti, sia salvo, sia in qualche modo al riparo dalla voce del serpente. Ora in parte questa convinzione ha le sue ragioni eh, è vero cioè che lì dove calano l’educazione, l’istruzione, la cultura, crescono l’irrazionalità, le inesattezze, e quindi anche i cattivi argomenti. Però non è vero invece che le persone istruite siano automaticamente salve, cioè che non corrano alcun problema in tal senso. E ci sono anzi alcuni tipi di fallacie logiche che affettano in particolar modo gli ambiti intellettuali.
Oggi ci occupiamo di filosofia, che è la mia materia e quindi ci tengo particolarmente. E mostreremo alcuni errori argomentativi che riguardano in modo particolare questo mondo ma che si estendono poi anche alla nostra quotidianità e al dibattito pubblico. Per farlo partirei da un piccolo frammento di “Amore e Guerra”, uno dei film più divertenti di quel genio di Woody Allen. Lo ascoltiamo assieme.
[Contributo audio]
Bene, se nemmeno voi avete capito nulla del contenuto di questo dialogo non vi preoccupate è normale ed è proprio ciò su cui punto l’effetto comico. Il problema è che spesso ciò che qui è giustificato dalla finzione si trasforma in realtà, e in particolare si trasforma in quella fallacia argomentativa nota come cortina fumogena, ma chiamata anche per citare un altro capolavoro della comicità, la fallacia della supercazzola. Consiste nell’infarcire il proprio discorso di tutta una serie di termini complessi, tecnici, ricercati, di paroloni difficili, con il duplice obiettivo di mascherare la propria impreparazione e di confondere l’interlocutore, che per non fare la figura di quello che non ha capito nulla eviterà di controbattere, dandovi tacitamente ragione. Questo sgambetto è veramente subdolo, però richiede di fare una specifica: sarebbe infatti altrettanto fallace pensare che qualsiasi discorso utilizzi una terminologia tecnica sia un discorso ingiusto. In un’epoca in cui troppo spesso i professori e gli esperti vengono considerati “nemici del senso comune” è infatti necessario spezzare una lancia in favore della complessità. Quello che intendo è questo: spesso cadiamo nella tentazione di voler fornire risposte immediatamente comprensibili a problemi che sono di per sé molto difficili da comprendere e che richiedono per loro stessa natura un linguaggio specifico. Ed estremizzando questa tendenza si finisce alle volte per considerare la complessità proprio come una colpa, come un trabocchetto messo in atto per impedire alla massa di capire cosa sta realmente succedendo. Però alle volte, tanto nella filosofia che altrove, rinunciare ad alcuni tecnicismi significa banalizzare l’argomento, ed è sbagliato. Dovremmo invece educarci alla complessità e spingere all’approfondimento. Questa fallacia allora richiede un’attenzione in più perchè quando ascoltiamo un discorso che ci suona un po’ come una supercazzola, dovremmo prima di tutto fare attenzione al contesto, perché ad esempio al CERN di Ginevra utilizzeranno un linguaggio molto più tecnico di quello di Superquark per spiegare i fenomeni quantistici, ed è giusto che sia così. E secondariamente dovremmo anche chiederci se facendo un piccolo sforzo, un po’ di sana fatica, non possiamo noi stessi arrivare a comprendere quella complessità. Ecco quando però magari in un talk show o in un dibattito rivolto al grande pubblico si fa un abbondantissimo uso di termini tecnici, di paroloni, allora sì, allora forse ci troviamo proprio davanti a una cortina fumogena.
C’è poi un secondo errore argomentativo che la filosofia può insegnarci e per spiegarvelo vi racconto una piccola storia. Ora, l’intero corso della filosofia a vederlo da lontano è una lunga partita di pugilato, cioè una continua lotta tra posizioni diverse. Gli Eraclitei contro i Parmenidei, i Platonici contro gli Aristotelici, i Nietzschiani contro gli Hegeliani, e via dicendo. Ma nessuna di queste lotte ha mai generato una spaccatura così profonda come quella aperta da un giovane ingegnere logico austriaco Ludwig Wittgenstein. Ma cosa ha detto di così terrificante? Ebbene, sostanzialmente una cosa. Il buon Ludwig entra a piede teso nella filosofia e inizia a dire “cari filosofi, guardate che moltissime delle domande su cui da millenni vi arrabattate cercando di dare una risposta - domande del tipo “cos’è il bene?” oppure “come possiamo definire l’essenza di Dio?”, etc. - tutte queste domande non sono vere domande, ma sono abbagli linguistici, cioè sono questioni linguisticamente prive di senso. Semplifico necessariamente non me ne vogliano i filosofi, ma che cosa aveva in mente Wittgenstein? Secondo lui nella maggior parte dei discorsi filosofici viene commessa una fallacia, lui non la chiama così ma il senso è quello, ovvero la fallacia dei termini equivoci. Utilizziamo cioè dei termini, delle parole, il cui significato non è chiaro perché non è univoco, non è uguale per tutti. Parole che magari indicano più cose contemporaneamente e il cui senso non è chiarito e da qui nasce ogni genere di confusione. Quando ad esempio ci domandiamo “che cos’è l’essere?” stiamo usando un verbo - il verbo essere appunto - che utilizziamo quotidianamente con mille sfaccettature diverse e quest'ambiguità rende la domanda insensata. Lasciamo agli appassionati l'approfondimento su Wittgenstein e veniamo all’argomentazione. La fallacia dei termini equivoci è utilizzata in continuazione non solo in filosofia, ma molto spesso anche nel dibattito pubblico. Per fare un esempio, abbiamo parlato proprio nella scorsa puntata di ambientalismo. Allora, quando diciamo che dobbiamo salvare il pianeta, siamo sicuri di intenderci nei termini? PErché qualcuno con “pianeta” può intendere il geoide terrestre che ruota intorno al Sole e che continuerà ad esistere anche se le temperature aumentassero di 30° e che quindi non dev’essere salvato; altri con l’espressione “salvare il pianeta” intendono in realtà “salvare l’ambiente”, o meglio quel preciso equilibrio ambientale che rende possibile all’uomo vivere discretamente bene senza troppi problemi; altri ancora intendono l’intero mondo animale e vegetale, che comprende sì l’uomo, ma anche alcune specie che non sono strettamente necessarie per la vita umana. Insomma, quelle che possono sembrare sfumature, hanno poi delle ripercussioni serie negli sviluppi del dibattito, e tutta questa ambiguità può generare un’enorme confusione nei discorsi che è proprio il terreno fecondo su cui poi la voce del serpente cresce e si diffonde.
Insomma, abbiamo capito che anche negli ambienti culturali bisogna prestare la massima attenzione, in particolare a quelle fallacie che si giocano sul piano linguistico terminologico essendo questi degli ambiti in cui il linguaggio ha appunto un ruolo fondamentale. Dobbiamo dunque tenere a mente che un buon argomentatore sa riconoscere il valore della complessità prima di tutto, è entusiasta di approfondire una questione, sa utilizzare un linguaggio specifico qualora sia necessario, ma sa anche calare il messaggio nel particolare contesto in cui si trova e adeguare il proprio tono di voce in base all'interlocutore che ha davanti, cercando sempre di rendere comprensibile la propria tesi ed evitando di incorrere in ambiguità lessicali e in ambivalenze semantiche.
E anche per questa volta è tutto. Noi ci riascoltiamo nella prossima e ahimè ultima puntata de La voce del serpente, dove cercheremo di tirare le conclusioni su quanto abbiamo detto finora e di dare qualche ultimo consiglio per migliorare sempre di più la nostra capacità comunicativa.