L'inganno primitivo
Ti sei mai chiesto dove inizia la civiltà... e la manipolazione?
8min
Ti sei mai chiesto dove inizia la civiltà... e la manipolazione?
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Quando inizia la civiltà? vorrei cominciare questo podcast, questa serie di chiacchierate sulla cattiva argomentazione partendo da questa domanda di ampio respiro, di quelle che piacciono a noi filosofi. Magari a qualcuno questa domanda può sembrare fuori contesto, ma vi assicuro che se la indaghiamo per bene ci permetterà di capire più a fondo l’importanza di tutto ciò di cui parleremo nei prossimi episodi. Dunque riflettiamoci un attimo assieme. quando inizia la civiltà? Gli storici, gli antropologi hanno cercato di dare una serie di risposte a questa domanda, e ce ne sono moltissime possibili. Per alcuni la civiltà inizia con il prometeico addomesticamento del fuoco, con tutti i benefici che il fuoco ha portato alla vita dei primi uomini, pensiamo ad esempio alla cottura degli alimenti. Per altri invece la civiltà inzia con l’invenzione della ruota, oppure con la nascita della scrittura, quuindi quando si è iniziato a mettere nero su bianco, a incidere sulla roccia la nostra storia, i nostri successi e i nostri errori. Tutte queste risposte sono corrette, però oggi ve ne vorrei proporre una diversa. La civiltà inizia quando il primo uomo ai tempi dei Neanderthal esce dalla sua grotta al mattino e si rende conto che per risolvere i problemi con gli altri uomini può usare le parole anziché la clava. La civiltà inizia cioè quando ci si rende conto che anziché combattere è molto meglio e molto più conveniente per tutti imparare a dibattere. Ecco, prendiamo questa definizione come il punto di partenza di tutte le nostre chiacchierate. Un punto di partenza che ci insegna una cosa fondamentale, ovvero che come diceva Nanni Moretti le parole sono importanti, e sono importanti perché ci aiutano a non prendere delle mazzate, siano esse reali o metaforiche. E se è vero come sostiene come sostiene Steven Pinker che il linguaggio è un istinto dell’essere umano, è anche vero che il buon linguaggio è qualcosa che dev’essere imparato, che dev’essere coltivato e che dev’essere difeso. La capacità di utilizzare il linguaggio per difendere le proprie tesi si chiama argomentazione e la nascita dell’argomentazione ha portato a delle grandissime conquiste per l'umanità, anzitutto alla nascita della politica, cioè la possibilità di trovare degli accordi tra individui senza ricorrere necessariamente alla violenza, ma anche alla nascita dell’informazione, cioè la trasmissione di informazioni che potevano essere utili per più persone e quindi era il caso di non tenere per se stessi; ha portato alla nascita delle filosofia, ovvero la capacità di rispondere alle grandi domande dell’uomo su che cos’è il bene, su che cos’è il bello, utilizzando il ragionamento argomentato, e poi ha portato alla nascita dell’arte, della letteratura, per la capacità di giocare con le parole per costruire nuovi mondi, nuovi orizzonti. Tutto bellissimo, ma qui è il caso di fare la prima specifica, perché già la letteratura a pensarci bene è qualcosa di diverso dalla filosofia o dall’informazione. Se è vero infatti che i grandi romanzi possono farci riflettere sulla nostra vita, sulla realtà e sul mondo è anche vero che essi in qualche modo ci raccontano una bugia. Come ci insegna Nabokov nelle sue lezioni di letteratura, infatti la letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzino corse via dalla valle inseguito da un grande lupo grigio gridando “al lupo al lupo”, ma è nata il giorno in cui un ragazzino correndo gridò “al lupo al lupo” senza avere nessun lupo alle calcagna. Insomma la letteratura ci insegna che le parole e il linguaggio non debbono necessariamente essere utilizzati per dire le cose come stanno, ma che possono essere utilizzati anche per manipolare la realtà. Sin dalla notte dei tempi insomma, o almeno da quando si è capita la grande importanza della parola, si è capito anche che essa potrebbe essere utilizzata per scopi meno nobili, e se noi andiamo a vedere i miti e i testi che stanno a fondamento della nostra cultura ci possiamo accorgere che questo elemento è ben presente sin da subito. Un esempio è quello delle sirene dell’Odissea, il cui canto, la cui voce suadente, rappresenta una tentazione per Ulisse e per i suoi compagni, che potrebbe distoglierli dal cammino, dalla rotta, e nascondere dei pericoli addirittura mortali. Ma un altro esempio ancora più archetipico si trova nelle primissime pagine della genesi, ovvero del primo libro della Bibbia, che oltre a essere un testo sacro per la civiltà ebraico.cristiana, è anche un importantissimo documento per capire il modo di pensare e la cultura dei nostri antenati. La prima voce che si sente nell’Antico Testamento è ovviamente quella di Dio, che crea il mondo tramite il logos, tramite la parola. Ma solo pochi paragrafi dopo entra in gioco una seconda voce, in qualche modo opposta alla prima, dal carattere affatto diverso. Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche, fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna “è vero che Dio ha detto che non dovete mangiare di nessun albero del giardino?” - rispose la donna al serpente “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”. Ma il serpente disse alla donna “Non morirete affatto. Anzi, dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male.” E allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza. Prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei e anch'egli ne mangiò. Quello che avete appena sentito è il racconto del peccato originale, un episodio su cui l’esegesi biblica ha dato tantissime interpretazioni. Quello che a noi qui interessa non è però il punto di vista religioso, ma un’altra prospettiva che in qualche modo ci riguarda tutti da vicino: la voce del serpente, che conduce Adamo ed Eva, e che ho deciso di utilizzare come titolo di questo podcast, è infatti l’archetipo di tutti quei discorsi che sono stati utilizzati e che ancora oggi vengono utilizzati per raggirare e per ingannare l’interlocutore. È se vogliamo il primissimo esempio di cattiva argomentazione, cioè di un discorso che non mira a dire le cose come stanno, ma a costruire un linguaggio che apparentemente è corretto ma che nasconde in realtà dei pericoli spesso anche molto seri. Nel corso delle prossime puntate vedremo come la voce del serpente agisce ancora in moltissimi ambiti della nostra quotidianità, sottoforma di fallacie argomentative. Ora, che cos’è una fallacia argomentative? È un errore di ragionamento che in qualche modo inquina il nostro dibattito pubblico, i nostri discorsi e che è dovuto ad un uso improprio della logica e dell'argomentazione. Per fare questo vi racconterò 6 storie che spaziano dalla politica alla filosofia, dall’ambientalismo alla pubblicità, mostrando come in ognuna di questi contesti possano trovarsi alcuni sgambetti argomentativi nei quali corriamo il rischio di inciampare. L’obiettivo è quello di imparare a riconoscere tutte le fallacie che si trovano attorno a noi per migliorare il dibattito pubblico e non cadere vittime della voce del serpente. Se sapremo fare ciò, potremo infatti riscoprire quello che è il senso più autentico del dialogare, cioè quello di con-vincere, ovvero di vincere insieme.