Le fallacie del dibattito ambientale
Dalla paura al fatalismo, disinnesca le emozioni per dibattere con logica
11min
Dalla paura al fatalismo, disinnesca le emozioni per dibattere con logica
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Pubblicità, alimentazione, politica, complottismo, nelle scorse puntate abbiamo già toccato tutta una serie di ambiti in cui agisce la voce del serpente, ovvero la cattiva argomentazione. E abbiamo visto una serie di fallacie logiche che inquinano il nostro dibattito pubblico e i nostri discorsi di tutti i giorni. Oggi tocchiamo un altro di questi ambiti ed è un ambito particolarmente delicato, perché rappresenta uno dei problemi più seri della nostra epoca. Parliamo infatti di questione ambientale. Un tema su cui oggi si fa un gran parlare, e per certi versi mi vien da dire per fortuna, e che proprio per questa ragione è un terreno accidentato, in cui è facile poggiare il piede su qualche trappola argomentativa. Ma qui le conseguenze possono essere forse ancora più gravi che altrove. Quindi calma, sangue freddo, e partiamo.
Anzitutto facciamo una premessa. In questa puntata daremo per scontato che il cambiamento climatico sia una realtà, dovuta non totalmente all’azione umana ma in buona parte dovuta all’uomo, daremo per scontato che sia un problema serio, che invita a una riflessione razionale, lucida e che non può essere negato. E lo diamo per scontato non perché abbia scelto una possibile narrazione tra le tante, non perché abbiamo scelto di aderire come direbbe qualcuno alla visione dominante o manipolata della realtà, ma lo diamo per scontato fondamentalmente per una ragione, ovvero perché crediamo nella scienza, negli scienziati, l’enorme maggior parte dei quali è d’accordo con ciò, perché crediamo nell’importanza dei dati, dei fatti, nell’analisi dei dati e dei fatti. Perché crediamo nella competenza di chi ha dedicato la sua vita allo studio del clima e di questi argomenti, perché crediamo agli articoli scientifici, agli studi dei centri di ricerca, etc. Insomma, qui diremo che il cambiamento climatico non è un qualcosa su cui si debba argomentare, perché è qualcosa di dimostrato dalla scienza.
Piccolo inciso: tutto ciò ci permette di introdurre una distinzione fondamentale tra due tipologie di discorso. Da un lato infatti esiste il discorso dimostrativo, dall’altro lato il discorso argomentativo. Il discorso dimostrativo è quello in cui la conclusioni derivano in modo necessario dalle premesse, ad esempio appunto una dimostrazione geometrica o matematica. E nel caso del discorso dimostrativo, posso certamente cercare logici nella dimostrazione, perché qualcuno potrebbe ad esempio aver sbagliato un calcolo, non. Aver preso in considerazione una variabile, ci mancherebbe, ma il risultato non è in discussione perché appunto deriva in modo necessario dalle premesse e da quelle premesse non si può estrapolare nessun altro tipo di conclusione. Pensate appunto come ho detto alla dimostrazione geometrica. Il discorso argomentativo invece è tutt’altra tipologia di discorso, ed è quello che si impara a fare per iscritto a scuola quando si studia il tema argomentativo per l’appunto. Si prende una tesi che attenzione non è una tesi di per sé evidente, non è l’unica tesi possibile ma una tra le tante tesi possibili, e la si argomenta appunto, cercando di mostrare con il ragionamento e con argomenti validi per quale ragione quella tesi ci sembra più valida delle altre. Ora, come abbiamo detto, il cambiamento climatico è dimostrato dalla scienza, potremmo quindi chiederci se ci sia in questo caso lo spazio per un discorso argomentativo. Ebbene, certo che sì, ed è lo spazio più importante perché è proprio quello in cui possiamo agire. Infatti, una volta dimostrato con i dati che siamo di fronte a una variazione anormale del clima, dobbiamo capire che cosa possiamo fare. E per capirlo dobbiamo argomentare diverse tesi, dibattendo tra di noi. È meglio puntare sulla decrescita o è meglio trovare nuove fonti di energia per crescere in modo sostenibile? Meglio smettere di mangiare bovini o meglio piantare migliaia di alberi? Meglio investire sull’idroelettrico o sul nucleare? E come gestire i vari trade-off che si presentano? Ecco, queste sono tutte domande la cui soluzione non è auto-evidente, ma dev’essere argomentata. Ed è proprio qui nel dibattito che la questione ambientale spalanca che è fondamentale imparare a comunicare bene. E soprattutto saper riconoscere tutte le storture e le fallacie che vengono utilizzate quotidianamente dai vari schieramenti. Alle volte consapevolmente, alle volte, inconsciamente. E qui veramente credo che si capisca quanto imparare a dibattere bene, imparare a scegliere bene i propri argomenti, a maneggiare gli strumenti del pensiero, non sia soltanto un vezzo da studiosi, una cosa per una nicchia di appassionati di debate, ma sia un qualcosa di fondamentale per migliorare il nostro futuro, per esercitare la nostra democrazia e per non cadere in errori che potrebbero costarci veramente molto cari.
Mi concentrerò quindi ora su tre fallacie che mi sembrano essere state utilizzate in maniera molto massiccia ultimamente e che a parer mio mettono a rischio un dibattito che sia lucido, consapevole e pragmatico sulla questione ambientale. La prima di esse chiama in causa quella che è probabilmente la più grande nemica della ragione, ovvero la paura. Ora, fare appello all’emotività per sfondare il muro della razionalità o per far passare un’idea è una tecnica scorretta e l’appello alla paura nel corso della storia ha accompagnato e coadiuvato alcune delle azioni più atroci, pensiamo al ruolo che ha avuto la paura dello straniero ad esempio nello scoppio di moltissime guerre, sia recente che antiche, oppure visto che parliamo di clima pensiamo a come la tragedia di Chernobyl sia stata utilizzata per generare terrore verso una fonte di energia che ad oggi rappresenta una delle più valide alternative per combattere la crisi climatica. Ebbene, usare toni apocalittici e terrorizzanti, cercare sempre il sinonimo più spaventoso, il titolo più angosciante, argomentativamente è un trucco fallace, perché certo può aiutare a trasmettere un senso di urgenza, ma spinge anche le persone a reagire di pancia anziché di testa. Questo discorso, si badi, vale per qualsiasi tipo di contesto, per qualsiasi tipo di emozione. E le fallacie simili sono moltissime, dall’appello all’odio, all’appello alla pietà, dall’appello alla colpa, all’appello alla vergogna. Il più possibile credo che andrebbero evitate. E se la paura è il più grande nemico della ragione, il più grande nemico dell’azione propositiva e ottimista è probabilmente il fatalismo. E quante volte ci capita di sentire alcune idee, alcune proposte, rifiutate per il semplice fatto che "tanto non c’è più nulla da fare”, e in una situazione così sfidante, così urgente come quella del riscaldamento globale, il fatalismo può giocare anche nella comunicazione un ruolo veramente pericoloso. Non bisogna in realtà dimenticare che il fatalismo può anche avere un certo valore filosofico, si pensi ad esempio alla filosofia stoica, ma per quanto riguarda la teoria dell’argomentazione, esso non dovrebbe mai e poi mai diventare un’arma utilizzata per evitare il dibattito per sminuire le tesi dell’avversario. Quindi sì, tutte le volte che di fronte a un’intuizione, a un’idea, a un’argomentazione, ci troviamo la strada sbarrata da un “tanto non ci possiamo fare nulla, è inutile discuterne”, allora sì, anche in quel caso ci troviamo di fronte a un atteggiamento fallace.
L’ultimo errore argomentativo di cui voglio parlare in questa puntata si chiama fallacia dell’accidente. Consiste nell’applicare una regola generale anche a quei pochi casi che ne costituiscono un’eccezione. Insomma è un atteggiamento di massima intransigenza, e un classico esempio è questo: il limite di velocità era di 50 km/h, non mi importa se stavi fuggendo da un pericoloso criminale o cos’altro, dovevi rispettare quel limite. Ecco, il rispetto per l’ambiente passa per alcune leggi generali, una di queste è ad esempio che dovremmo ridurre il consumo di alimenti derivazione animale per via della grande produzione di gas serra dovuta agli allevamenti. Però, anche qui l’uso troppo rigoroso di queste regole può portare a problemi che vanno al di là della semplice comunicazione. Di recente ho letto il libro di Giacomo Moro Mauretto “Se pianto un albero posso mangiare una bistecca?”, nel quale si mostra tra le altre cose come il consumo di cozze e vongole sia un ottimo modo per ridurre la propria impronta ambientale e come ad esempio un kg di cozze abbia un impatto molto minore di un kg di riso. Vi rimando al testo per approfondire. Però anche qui molti risponderebbero che l’idea di mangiare cozze per salvare l’ambiente va rifiutata perché è dimostrato che è necessario mangiare meno animali, applicando la legge generale a uno dei casi particolari che ne costituiscono un’eccezione. È anche questo un esempio di fallacia dell’accidente e l’ambientalismo tutto ne è pieno, per questo penso che queste questioni così importanti vadano affrontate con un approccio il più possibile pragmatico e non ideologico. Gli errori di cui parlare in questo ambito sarebbero davvero moltissimi, ma il nostro tempo è quasi terminato. In generale allora dobbiamo ricordarci questo: per sviluppare una buona filosofia ambientale dobbiamo fare una grande attenzione al modo in cui comunichiamo. Ah, a proposito di filosofia, essendo io laureato in questa materia ci tengo particolarmente, credo che il suo valore ancora oggi sia inestimabile, ma se pensate che noi studiosi o appassionati di filosofia siamo più al riparo di altri dagli sgambetti retorici, beh vi sbagliate di grosso e nella prossima puntata vi parlerò proprio dei rischi comunicativi legati alla filosofia e all’ambiente intellettuale in generale, perché per arginare bene è importante imparare a dibattere ancora meglio.