
Giulio Cesare ponte storico fra Repubblica e Impero
La vita e la morte di uno dei personaggi più affascinanti e importanti della storia di Roma antica e del mondo
13min

La vita e la morte di uno dei personaggi più affascinanti e importanti della storia di Roma antica e del mondo
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Episodi di I grandi dell'antichità
È il mattino del 15 Marzo del 44 a.C., le Idi di Marzo secondo il calendario romano, il giorno dell’assassinio di Giulio Cesare, che da poco è stato proclamato dittatore perpetuo. Cesare ne è del tutto ignaro, ma una congiura, formata da circa 60 senatori, capeggiata da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, ha deciso che lui deve morire, colpevole, secondo loro, di aver acquisito troppo potere. Cesare, intanto, ignaro del pericolo, si appresta ad uscire di casa, nonostante il fato sembri aver cercato già più volte di metterlo in guardia.
Gli storici antichi raccontano, infatti, che giorni prima vari prodigi avevano tentato di avvertirlo. Racconta Svetonio che l’indovino etrusco Spurinna, ad esempio, gli aveva predetto di fare attenzione alle Idi di Marzo. Tuttavia, Cesare non è uomo da lasciarsi impressionare facilmente, tanto meno da presagi e indovini.
Quindi decide di uscire, inconsapevole che quella sarà l’ultima volta che vedrà sua moglie e la sua casa, che non percorrerà più quella stessa strada sui cui ora sta camminando, attorniato dalla folla di persone che lo acclama. Una volta giunto presso la Curia di Pompeo, nel Teatro di Pompeo, dove i senatori lo aspettano per quella che lui crede essere una normale riunione, incontra nuovamente Spurinna e, ridendo, lo accusa di avergli predetto il falso, le Idi di Marzo sono giunte ma niente di pericoloso sembra essere accaduto. Spurinna lo guarda serio e gli dice che ha ragione, le Idi sono arrivate ma, lo ammonisce, ancora non sono passate. Cesare, però, non gli dà retta ed entra nella Curia. Una volta dentro i senatori si alzano dai propri seggi, lo salutano, lo omaggiano e fanno finta di avvicinarsi come per chiedergli dei favori, in realtà lo stanno accerchiando, come si fa con le prede. Più Cesare tenta di proseguire, più questi si avvicinano.
Fra questi, Tillio Cimbro, si avvicina più degli altri. Cesare, però, inizia a sentirsi oppresso, si adira e li ammonisce. A quel punto Tillio lo prende per la toga con entrambe le mani e lo strattona. È quello il segnale convenuto. Il senatore Servilio Casca per primo estrae il pugnale, nascosto fra le pieghe della toga, e si avventa contro la sua gola.
L’ansia, però, lo tradisce e il colpo non provoca che poche ferite. Cesare è inorridito, ma dopo un primo momento di stupore cerca di difendersi, dopotutto è un condottiero, sa come si combatte. Afferra la lama tagliente del pugnale di Casca con entrambe le mani, incurante dei tagli che potrebbe provocargli, e cerca di contrattaccare. Purtroppo non basta.
I traditori sono sempre più numerosi e il cerchio si stringe. Estraggono le lame da sotto le toghe e si avventano su di lui. Cesare, cerca di difendersi ma è braccato, ovunque si volge vede solo pugnali. Quando ormai non ce la fa più, sconfitto, si copre il volto con la toga e scivola, morente, ai piedi della statua di Pompeo, il suo più acerrimo rivale, in una pozza di sangue. Secondo alcuni, prima di morire, avrebbe detto in greco a Bruto, suo figlio adottivo: “Anche tu, figlio?” per poi esalare l’ultimo respiro.
Gli storici raccontano che furono 23 le coltellate con cui venne assassinato Giulio Cesare. Una cosa è certa, quelle coltellate hanno cambiato la storia di Roma, aprendo le porte alla creazione di uno degli imperi più grandi della storia del mondo.
Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 a.C. da una delle famiglie più illustri della città, la gens Iulia che vanta di avere fra i suoi antenati Iulo, figlio dell’eroe mitologico Enea. La sua famiglia, però, nonostante le nobili origini, non è né ricca, né influente e Cesare dovrà faticare per riuscire a fare carriera.
Non lo aiuta nemmeno la parentela con suo zio Gaio Mario, sette volte console della Repubblica di Roma, eroe vincitore contro le popolazioni dei Cimbri e dei Teutoni e sostenitore dei populares, il partito che sostiene le istanze del popolo e che si oppone a quello degli optimates, la fazione aristocratica e conservatrice della Repubblica.
Proprio da suo zio Cesare imparerà molte cose riguardo l’arte militare e la difesa del popolo, diventando, quindi, grande sostenitore dei populares. Tutto ciò gli causerà non pochi problemi. Cesare cresce, quindi, in un clima teso, in cui imperversa la guerra civile tra Gaio Mario e i populares e Lucio Cornelio Silla, a capo degli optimates.
La vittoria di Silla e la sua nomina a dittatore lo costringeranno alla fuga. Silla, infatti, lo mette al bando insieme ad altri avversari politici e Cesare è costretto continuamente a nascondersi per non essere rintracciato. Decide poi di allontanarsi per un periodo da Roma e si reca in Asia, per il servizio militare. Rientra a Roma alla morte di Silla e inizia l’attività di oratore e la carriera forense, distinguendosi per le sue abilità e per la sua personalità coraggiosa e persuasiva.
Emblematico, in questa fase della sua vita, è il rapimento da parte dei pirati in cui si nota già la personalità peculiare che lo farà passare alla storia. Siamo nel 74 a.C. e Cesare, mentre è in viaggio per Rodi, viene rapito dai pirati che gli chiedono di pagare un riscatto di venti talenti.
Lui, di tutta risposta, li deride sprezzante: è disposto a pagarne 50 ma, una volta libero, promette loro di crocifiggere tutti ai pennoni della nave.
Manda quindi i suoi compagni a cercare il denaro per il riscatto e resta lì per 38 giorni, durante i quali scherza e tratta i pirati come compagni di viaggio e non come rapitori. Quando finalmente è libero organizza una spedizione e mette in atto la promessa fatta. I pirati vengono crocifissi ai pennoni.
Fatto ciò, Cesare torna a Roma e la sua scalata politica, a questo punto, è inarrestabile. Nel 72 a.C. viene eletto tribuno militare, nel 69 questore e viene mandato nella Spagna Ulteriore. In questi anni si impegna molto in varie battaglie dei populares riuscendo, così, a conquistare le simpatie del popolo. Nel 65 viene eletto edile, una carica di magistrato; nel 63 ottiene la carica religiosa di pontefice massimo; nel 61 viene eletto pretore e governatore della Spagna ulteriore.
Tutte queste cariche lo portano ad affinare sempre di più le sue abilità. Nel 60 stipula il primo triumvirato con l’abile e acclamato generale Gneo Pompeo e con Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi della città. Questo accordo segreto fra i tre serve a garantire aiuto reciproco contro il Senato per ottenere vantaggi politici. Così, anche grazie all’influenza dei due, nel 59 Cesare viene eletto console, la carica più importante di Roma. In questo periodo, per ampliare il suo consenso popolare, fa votare delle leggi agrarie che prevedono la distribuzione di terra ai proletari urbani più poveri.
Dopo l’anno di consolato riesce ad ottenere il governatorato della Gallia Cisalpina e Narbonense e così, tra il 58 e il 51 a.C. conduce una serie di campagne militari contro le tribù galliche, germaniche e britanniche. Sono questi gli anni che Cesare descrive nella sua opera il “De bello gallico”.
I suoi successi non solo portano alla conquista di quei territori, ma ne mettono in evidenza il genio militare e strategico. Così descrive lo storico Plutarco quel periodo: “Pur non avendo combattuto in Gallia nemmeno dieci anni, Cesare conquistò con la forza più di ottocento città, assoggettò trecento popoli, si schierò in tempi diversi contro tre milioni di uomini, ne uccise un milione e altrettanti ne fece prigionieri.” L’inventiva, la prontezza di riflessi, le grandi capacità oratorie e persuasive gli fanno guadagnare non solo le vittorie, ma anche e soprattutto la fiducia e la stima dei suoi soldati.
Chiede loro consenso per le battaglie, ha cura della loro vita e si mostra generoso nella spartizione dei bottini. Ha un carisma tale che riesce a coinvolgere emotivamente tutti indistintamente, ufficiali o semplici soldati che, di rimando, lo amano e lo stimano.
Grazie alla loro gratitudine e fiducia, riuscirà ad ottenere le vittorie contro i suoi avversari e quindi il potere.
Nel frattempo, nel 56, ha ricostruito il secondo triumvirato con Pompeo e Crasso. Tuttavia, nel 53, quest’ultimo muore, l’accordo viene meno e nasce l’antagonismo tra Cesare e Pompeo, che poi culminerà nella guerra civile che Cesare descriverà nella sua seconda opera importante il “De bello civili”.
Pompeo e il Senato, infatti, temendo il potere sempre più crescente di Cesare, gli ordinano di lasciare il comando del suo esercito e di tornare a Roma. Cesare, però, contando sulla fedeltà dei soldati, passa il confine del fiume Rubicone con il suo esercito. Oltre quel confine, all’epoca, era vietato a un generale di procedere con le truppe. Cesare, così facendo, sta sfidando apertamente i suoi avversari. Queste furono le sue parole secondo lo storico Svetonio: “Andiamo là, dove i prodigi del cielo e l'ira dei miei nemici mi chiamano: il dado è tratto”.
La guerra terminerà con la battaglia di Farsalo nel 48 a.C. Nel frattempo Cesare si è recato anche in Egitto, dove Pompeo si è rifugiato ma dove ha incontrato la morte per mano del faraone Tolomeo XIII. Qui si ritrova invischiato in una situazione politica e dinastica difficile tra il succitato faraone e Cleopatra VII. Alla fine mette a capo del regno proprio Cleopatra, con cui ha una relazione, da cui nasce l’unico figlio maschio di Cesare, Cesarione.
Torna quindi a Roma, nel 46, dove viene accolto con trionfo dal popolo e riceve la carica di dittatore. Il dittatore romano di quel tempo era una sorta di magistrato straordinario, eletto dal senato in caso di pericolo. Normalmente poteva restare in carica solo sei mesi, ma Cesare resta tale fino al 44, quando diventa dittatore a vita.
In questa maniera ha l’ultima parola su tutte le decisione ed è, di fatto, il padrone di Roma. Tutto questo potere inizia a creare aspri malumori fra i sostenitori della Repubblica. Cesare, di fatto, non si comporta da despota o tiranno e rifiuta più volte la corona di re, ma agli occhi dei suoi oppositori è, effettivamente, proprio un re; concetto antipatico ai romani da quando hanno cacciato l’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, molto tempo prima, instaurando la Repubblica.
Ecco, quindi, che prende corpo la congiura, che porterà alla sua violenta morte. I congiurati, però, non sanno che Cesare è ormai un dio per il popolo. Pensano che una volta morto, potranno presentarsi alle persone come i salvatori della Repubblica. In realtà la sua morte finirà per divinizzarlo ancor più di quanto non lo fosse già in vita.
Cesare è morto. I congiurati, dopo l’assassinio, non si preoccupano di nascondersi, anzi, pensano di essere dei liberatori e sono tanto sicuri di sé che lasciano a Marco Antonio, braccio destro di Cesare e suo fidato sostenitore, la possibilità di tenere funerali pubblici nel cuore del Foro romano. Addirittura gli lasciano fare un discorso pubblico davanti a tutto il popolo. Il corpo martoriato di Cesare, quindi, viene portato nel foro, adagiato su una rostra, ossia un tribuna, ed esposto a tutti.
Marco Antonio, quindi, inizia il suo discorso e in maniera abilissima riesce ad emozionare gli animi delle persone. In mano ha la toga ancora insanguinata e la agita, mostrando il corpo esanime di Cesare. Ecco un estratto del suo discorso, tratto dalle opere dello storico Cassio Dione: “Dove sono finite, oh Cesare, la tua bontà e la tua inviolabilità, e le leggi? Sei stato assassinato spietatamente dagli amici, tu, che facesti tante leggi perché nessuno fosse ucciso dai tuoi avversari! Giaci scannato in quel Foro per il quale tante volte passasti incoronato; sei caduto trafitto dalle ferite su quella tribuna dalla quale tante volte parlasti al popolo!” Gli storici riportano che Marco Antonio riesce, con grande abilità oratoria, ad aizzare la folla contro i cospiratori. Il popolo chiede la testa di Bruto e Cassio che, quindi, sono costretti a fuggire insieme a tutti gli altri congiurati.
Poi il corpo di Cesare viene cremato nel foro romano, cosa all’epoca vietata, e successivamente viene costruito un tempio in suo onore, il Tempio del Divo Giulio. La morte e la vita di Giulio Cesare, le sue imprese, la sua abilità ma soprattutto la sua astuzia nel riuscire a capire che il potere maggiore lo avrebbe acquistato solo conquistandosi il favore del popolo e dei soldati, lo hanno portato lì dove nessuno prima di lui era giunto. Purtroppo, però, il suo errore maggiore, probabilmente, fu quello di non comprendere a pieno che c’era anche un altro fattore, molto importante, che avrebbe dovuto tenere in conto per mantenere il potere in maniera sicura e senza correre rischi: il favore della classe politica aristocratica e senatoria del tempo.
Fu proprio questa la sua debolezza e, forse, il più grande insegnamento tramandato al suo successore. Tutto ciò, infatti aprirà la strada ad uno dei più importanti e scaltri personaggi della storia di Roma. Suo nipote Ottaviano, conosciuto poi con il nome di Augusto, primo imperatore, infatti, trasformerà Roma in capitale scintillante di un territorio vastissimo che, dall’Europa, si estenderà fino all’Africa e all’Asia.
Di fatto, la vita e la morte di Cesare sono state un ponte storico e un mezzo fondamentale fra due delle epoche più importanti della storia di Roma Antica.
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