
Marco Aurelio, l’imperatore filosofo
La storia dell’imperatore che amava la filosofia e la pace ma che fu costretto a fare la guerra
14min

La storia dell’imperatore che amava la filosofia e la pace ma che fu costretto a fare la guerra
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Episodi di I grandi dell'antichità
Un giovane ragazzino di 12 anni, dalla folta chioma piena di ricci, riposava disteso per terra sul pavimento. Era vestito in maniera semplice ed era avvolto in un ruvido mantello chiamato pallio, che a quel tempo erano soliti indossare i filosofi e gli studiosi di cultura greca. Aveva un aspetto intelligente e chi incrociava il suo sguardo lo trovava spesso molto più pensieroso di quello tipico dei ragazzini della sua età.
Siamo intorno al 133 d.C. e il giovane Marco Aurelio, futuro imperatore di Roma, è ormai pienamente immerso negli studi di retorica, diritto e, soprattutto, filosofia greca. Viene descritto sin da giovane come una persona riservata, riflessiva e amante della pace. Diventerà un uomo amante della filosofia e della dottrina stoica che lo accompagnerà fino alla morte, tanto da essere definito l’ultimo grande esponente di questa corrente filosofica. Considerato un sovrano illuminato, profondamente colto e raffinato, animato da un grande senso del dovere, diventerà autore di una delle opere di filosofia più note e importanti del suo tempo: i “Colloqui con sé stesso”. Marco Aurelio, però non è solo un filosofo. È anche e soprattutto un imperatore, l’ultimo dei cosiddetti “cinque buoni imperatori”, così chiamati per il periodo di prosperità che contraddistingue i loro regni. Prosperità che però sembra andare pian piano a terminare proprio durante il regno di Marco. Infatti, nonostante le numerose riforme che lo aiuteranno effettivamente a migliorare la vita di Roma, l’imperatore purtroppo sarà costretto a fronteggiare numerose e talvolta terribili sfide.
Il suo regno sarà funestato da guerre e ribellioni tanto che, talvolta, sarà costretto a scegliere su quale fronte combattere. Costretto a passare larga parte della sua vita da imperatore sui campi di battaglia, dovrà fronteggiare anche un’altra grande sfida, che purtroppo poi gli porterà la morte: un’epidemia conosciuta con il nome di peste antonina, che gli storici oggi ritengono fosse vaiolo.
La sua, quindi, è una storia contraddittoria. La storia di una persona con un’indole che, apparentemente, sembra combaciare male con i tempi a lui contemporanei. E che invece, alla fine, grazie al suo modo stoico di vedere la vita, riuscirà a diventare uno dei sovrani illuminati maggiormente ricordati di tutti i tempi.
Siamo nel 121 d.C. e, a Roma, il 26 Aprile, nasce Marco Annio Catilino Severo, meglio noto poi in seguito come Marco Aurelio. Il padre Marco Annio Vero, di cui poi il giovane assume il nome, e la madre Domizia Lucilla sono di origine romana. Il padre muore presto e il piccolo Marco viene adottato dal nonno paterno, anche lui Marco Annio Vero, politico importante di Roma che è stato tre volte console e che si occuperà della sua educazione. È così che il futuro imperatore si avvicina a quegli studi che poi cambieranno profondamente il suo pensiero e il suo modo di agire. Avrà modo di studiare approfonditamente lettere latine e greche, diritto, retorica e tanto altro. Gli studi verso cui, però, mostra una grande propensione sono quelli di filosofia. I suoi stessi istitutori sono greci e Marco Aurelio viene indirizzato verso un modo di vivere di stile greco, vestendosi e comportandosi come filosofi greci e praticando un modo di vivere decisamente austero. Lo stesso imperatore Adriano decide di impegnarsi per l’educazione del giovanissimo Marco. Lo nomina cavaliere a soli 6 anni e lo fa entrare nel collegio dei Salii, uno dei collegi più importanti della città, quando ne ha appena 8. La stima che Adriano prova per lui si dimostra ancor di più quando obbliga il suo successore, Antonino Pio, ad adottarlo, in modo che a sua volta poi Marco Aurelio, ancora troppo giovane a quel tempo, possa poi diventare imperatore. Antonino Pio, che diventerà imperatore nel 138, quindi, lo adotta insieme a Lucio Vero che, come vedremo, regnerà per un certo tempo insieme al fratello d’adozione. A questo punto Marco Aurelio inizia una vera e propria scalata venendo nominato prima Questore, poi Console e in seguito Pontefice. Nel 145 sposa Faustina, figlia di Antonino Pio, con cui avrà 14 figli.
Siamo arrivati al 161 d.C. anno della morte di Antonino Pio, Marco Aurelio viene confermato come nuovo imperatore. A questo punto, però, istituisce un primato per la storia di Roma perché decide di regnare insieme al fratello adottivo Lucio Vero. È la prima volta che a Roma governano due imperatori.
Pur essendo annoverato tra i cinque buoni imperatori, nell’età prospera di Roma, Marco Aurelio sarà costretto a fronteggiare continue e numerose difficoltà. Prime fra tutte le guerre e le rivolte su più fronti. Come si capisce dai suoi stessi scritti, l’imperatore filosofo è amante della pace e ritiene le battaglie e le guerre insensate. Nonostante ciò sarà costretto a fronteggiarle. Fra la varie ricordiamo quelle mosse dalle popolazione germaniche, in particolare i Marcomanni, i Quadi e i Sarmati, che Marco Aurelio deve affrontare a più riprese nel corso del suo regno, tra il 167 e il 180, per riuscire a mantenere sicuri i confini dell’Impero. Durante uno di questi scontri le popolazioni germaniche metteranno in seria difficoltà i romani spingendosi fin dentro il confine italico. Non solo i germani, Marco Aurelio dovrà affrontare anche i Pitti in Bretagna e più a Oriente i Parti che invadono l’Armenia e la Siria. Quest’ultima guerra viene affidata a Lucio Vero e, nonostante ne risulti vittorioso, morirà poco dopo il termine delle ostilità nel 169 d.C. lasciando Marco Aurelio come unico imperatore. Non è solo la guerra a mettere in difficoltà e ad occupare i pensieri dell’imperatore perché anche altre catastrofi si abbattono sull’impero, prima fra tutti un’epidemia. Nota come peste antonina, gli storici sono concordi nel dire che probabilmente si trattava di vaiolo, contratta dai soldati durante la guerra, viene poi portata fino a Roma imperversando per decenni, decimando non solo la popolazione, ma mettendo in grave difficoltà l’esercito e l’impero che così si trova ulteriormente indebolito, sia militarmente che economicamente.
Tuttavia l’attenzione dell’imperatore non è tutta orientata solo sul fronte esterno. Essendo notevolmente rispettoso delle istituzioni, decide di governare d’accordo con il Senato, non mancando, però, di dare un’impronta personale decisiva alla sua maniera di governare, promuovendo vari provvedimenti importanti, alcuni dei quali hanno portato i posteri a definirlo un vero e proprio sovrano illuminato. Fra questi, ad esempio, da la possibilità ai gladiatori di essere arruolati nell’esercito, in modo che non vengano più venduti come schiavi. Diminuisce gli spettacoli gladiatori. Decide di promuovere una serie di riforme per migliorare la vita degli schiavi. Fra queste, ad esempio, proibisce che vengano venduti per i combattimenti contro le belve e si mostra favorevole al loro affrancamento in determinate occasioni. Cerca di ridurre il numero di reati punibili con la pena di morte. È il primo imperatore ad istituire l’anagrafe, che obbliga i cittadini a registrare i figli entro trenta giorni dalla nascita. Tenta di stabilizzare l’enorme e complesso apparato burocratico e tutta una serie di numerose altre riforme importanti.
Marco Aurelio, però, come detto è anche un filosofo e già i suoi contemporanei lo consideravano tale. Proprio la filosofia, in particolare la dottrina stoica, lo accompagnerà per tutta la vita e lui tenterà, dove possibile, di applicare quei principi che fin da piccolo ha imparato.
Secondo lo stoicismo, fondato dall’antico filosofo greco Zenone di Cizio, per raggiungere la felicità e la saggezza bisogna saper dominare le passioni e affidarsi alla razionalità. Il tutto va pensato in un universo razionale perfetto, un destino a cui gli esseri umani non possono sottrarsi e che devono accettare con coraggio, forza d’animo e senso del dovere. Secondo gli stoici anche nei momenti peggiori c’è la possibilità di essere felici, se siamo consapevoli di aver fatto quanto in nostro potere per cambiare le cose. Marco Aurelio risente chiaramente di questa dottrina e lo si può vedere chiaramente in questo passaggio tratto dalla sua opera “Colloqui con sé stesso”:
“Sii come il promontorio, contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile, e intorno ad esso si placa il ribollire delle acque. «Me sventurato, mi è capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo resisto senza provare dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna?”
Marco Aurelio, quindi, tenta di affrontare il suo compito con la rassegnazione, il coraggio e il senso del dovere che la filosofia stoica gli ha insegnato. Nonostante questo, però, i suoi scritti sono animati da una profonda malinconia. Egli infatti, pur accettando stoicamente il suo destino e i suoi compiti di imperatore, pensa che l’umanità sia folle e irrazionale, che qualsiasi azione risulta inutile e senza senso e che, quindi, ai saggi non resta che cercare la verità in se stessi.
Dopo 19 anni di regno il vecchio imperatore, malato ormai da tempo, sentiva che la sua ora stava per giungere. L’accampamento di Vindobona brulicava di soldati ma lui era chiuso nella sua tenda da ormai quasi una settimana, aspettando. Fedele alla sua dottrina, conscio di aver compiuto i suoi doveri come meglio poteva, aveva deciso di accettare la morte e di aspettarla senza mangiare e senza bere. Allo scadere del settimo giorno, si congedò brevemente dal figlio, si coprì il capo e durante la notte morì.
Siamo nel 180 d.C. e durante l’ennesima spedizione contro i popoli germanici Marco Aurelio, probabilmente colto dalla stessa malattia che aveva decimato il popolo e le truppe, muore a Vindobona.
Con lui muore uno dei sovrani che gli studiosi considerano tutt’oggi fra i più illuminati di tutti i tempi. Un uomo che, prima che imperatore, si sentiva filosofo e che affrontò molte sfide accettando il suo compito sempre con un profondo senso del dovere, da ultimo stoico qual era, senza sottrarvisi. Un amante della pace che però fu costretto a passare larga parte della sua vita da imperatore sui campi di battaglia e proprio lì alla fine morì, probabilmente sereno, come dimostrano anche le parole finali della sua opera letteraria:
Uomo, sei stato cittadino in questa grande città: che ti importa, se per cinque anni o per cento? Quel che è, secondo le leggi, ha per ognuno pari valore. Che c'è di grave, allora, se dalla città ti espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva introdotto? […] A stabilire che il dramma è completo, infatti, è chi allora fu responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei responsabile né dell'una né dell'altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda è sereno.
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