Un’indagine della Microsoft Corporation (sì, quella dei software per i computer), ha provato a verificare di quanto sia diminuito lo span attentivo di noi umani. Lo span attentivo sarebbe il periodo di tempo continuativo entro cui riusciamo a mantenere l’attenzione focalizzata su un singolo stimolo.
I risultati sono stati abbastanza sorprendenti: a quanto pare, lo span dell’homo sapiens del XXI secolo, cioè noi, equivale a quello di un pesce rosso, ovvero 8 secondi circa.
Mah… sentite questa puzza di fake news? Eh già.
Ci sono due assunti errati in questa scoperta: prima di tutto diciamo che potenzialmente possiamo mantenere l’attenzione su un singolo stimolo per 10, 20 o anche 30 minuti filati. In secondo luogo, i pesci non hanno per niente cattive abilità di concentrazione, anzi; pensate che riescono anche a fare le addizioni e le sottrazioni!
Mi sa che è meglio che la Microsoft torni a fare programmi per PC…
Fatto sta che la nostra attenzione è sempre uguale. Ciò che è cambiato, e anche tanto, è il contesto.
Quanto tempo passate dentro casa? Ovviamente non mi aspetto che mi forniate un numero di ore preciso, però più o meno dovreste saper dire se passate più tempo all’aperto o dentro un qualche posto, che sia casa, uno studio, un ufficio e via dicendo.
Intanto che ci pensate, posso aiutarvi a fare una stima prendendo come riferimento ciò che ci dice la scienza.
In un’indagine del 2001 viene indagato quello che viene definito “time budget”, ovvero un report che cerca di raccogliere più dati possibili rispetto a cosa una persona ha fatto durante un certo periodo di tempo. Di solito si misura in periodi di 24 ore o in multipli di 24 ore. Quindi in giornate.
In questo report vengono indicate le attività, specificando non solo il preciso ammontare di tempo speso, ma anche la tipologia (ad esempio lavorativa, di svago, sportiva, eccetera), le persone presenti nel mentre e il luogo in cui è stata svolta.
Insomma, lo studio del “time budget” serve a comprendere varie sfaccettature del modo in cui le persone utilizzano il proprio tempo.
Da quest’indagine, poi ripresa da tante altre, ne è emerso un dato molto interessante: spendiamo circa l’80-90% del nostro tempo indoor, cioè in spazi chiusi; non all’aperto.
Quindi viviamo in delle scatole di cemento per la maggior parte del tempo, e fin qui bene, ma non benissimo. Se ci aggiungiamo anche il fatto che quelle scatole di cemento sono comprese in altre scatole di cemento, la situazione diventa un po’ più pesante.
In un report del World Bank, un’organizzazione mondiale di sviluppo che comprende 187 paesi, è stato verificato che circa il 56% della popolazione vive in aree urbanizzate.
Siamo diventati praticamente l’ultima bambola in delle matriosche fatte di mattoni!
Nel corso del tempo ci siamo sempre più costruiti attorno, fino a tagliare in maniera drastica i ponti con ambienti naturali all’aperto.
E la psicologia ci ha dimostrato, con una quantità di ricerche (che, soprattutto negli ultimi anni, stanno aumentando tantissimo) che il contatto con la natura è una delle cose più importanti che possiamo sfruttare per curare e coltivare la nostra attenzione.
Molti esperimenti si svolgono misurando le performance degli individui prima e dopo essere entrati in contatto con spazi aperti, e i risultati dimostrano senza ormai tanti dubbi che, nello scenario post-natura, sono nettamente migliori.
In questa lezione cerchiamo di capire per quale motivo ci è così difficile concentrarci. Ebbene, lo stare sempre in ambienti chiusi rappresenta una delle ragioni più rilevanti per spiegare questa difficoltà, ed è ancor più importante dato che ancora molte persone prendono sotto gamba questo aspetto.
Ci sono poi altri infiniti motivi, ma qui cerchiamo di vedere quelli più rilevanti, e soprattutto quelli su cui possiamo lavorare e migliorarci nel quotidiano.
Il primo, l’abbiamo appena detto, è l’ambiente.
Ora, invece, dirò una parolina magica che farà saltare il cervelletto a un po’ di voi. La parola è: Multitasking. Suona familiare eh? Forse fin troppo… familiare.
Fare multitasking significa provare, e ripeto, PROVARE, a fare due o più task insieme. E questa cosa porta tipicamente a uno switch continuo tra i vari compiti, lasciandoli spesso incompleti e lasciando indietro delle informazioni.
Ogni switch tra questi task ha un costo, un costo che una ricca quantità di ricerche hanno dimostrato essere, come direbbe Thanos, “ineluttabile”. Questo costo c’è, e ci sarà sempre. Non si sfugge.
Se siamo molto concentrati nel fare una cosa e ci distraiamo, di media ci mettiamo circa 15 minuti per riprendere la stessa intensità di concentrazione di prima. Vengono chiamati Attentional Blink, traducibili in italiano (ovviamente male) come “lampi attenzionali”, cioè quei brevissimi momenti che ci distolgono dal compito che stiamo svolgendo.
Durano qualche millisecondo ma bastano a farci perdere del tutto il focus.
Il multitasking ormai pare essere la norma, dato che la maggior parte dei contesti in cui ci troviamo a operare, presentano tendenzialmente più di una fonte di input e stimoli. E anzi, fare più cose contemporaneamente pare addirittura essere diffuso come una moda, una cosa di cui andare fieri.
E perché siamo costantemente in multitasking? Perché è presente in continuazione quella che gli scienziati definiscono “stimulus competition”, una competizione tra stimoli.
Tra rumori urbani, scrivanie disordinate, puzza di smog, notifiche di qua e lucine di là, tutti i nostri sensi sono costantemente presi in causa da tantissimi input, per cui si innesca questa incredibile guerra tra stimoli, e vince quello che riesce ad arrivare meglio al nostro centro di elaborazione.
Questa cosa ricorda molto una guerra che ci fu nel 1334, che gli storici hanno deciso di chiamare Battaglia della Merda. Dico solo che c’era un castello che fu bombardato da un bel po’ di feci. Evito di andare oltre che mi sembra abbastanza autoesplicativa come battaglia…
Potremmo dire che noi siamo il castello assediato, mentre quelli che lanciano la propria cacca sono tutti gli stimoli che ci arrivano ogni secondo.
Ora, la differenza sta nel fatto che noi possiamo trasformare quella merda che ci arriva in diamanti.
In che modo? Selezionandola!
Se riuscissimo a selezionare quelle cose su cui focalizzarci, saremmo sicuramente avvantaggiati nella vita quotidiana. Il problema è che abbiamo tantissime cose che vanno a infilarsi nei nostri canali sensoriali. L’abbiamo detto: stimulus competition.
La difficoltà, spesso, sta proprio nel riuscire a essere efficaci in questa prima azione di selezione.
Gli scienziati, nel corso di questi secoli di studio della nostra mente, sono arrivati a una conclusione più o meno accettata all’unisono: l’attenzione è una facoltà composta. Cioè è fatta da più parti.
Ci sono tantissime suddivisioni: alcuni scienziati preferiscono dividerla in 3, altri in 4, altri addirittura in 2.
Nei prossimi episodi, incontreremo alcune di queste suddivisioni. Questo ci aiuterà a comprendere meglio come siamo fatti, come funzioniamo e, soprattutto, come funzionare meglio.