Enea si avvicinò al bancone della stazione di sosta, porse al barista lo scontrino che la cassiera gli aveva consegnato poco prima e ordinò un doppio espresso. Non era partito da molto, ma sentiva già il bisogno di una pausa. E già questo gli dava da pensare. Di solito, infatti, quando partiva in auto per un viaggio, Enea tendeva a macinare molti chilometri prima di fermarsi. Forse come reazione alle mille soste a cui l'aveva abituato in passato la sua famiglia. I suoi genitori erano capaci di rendere infiniti anche i tragitti più brevi.
Questa volta, però, era diverso. Qualcosa in lui lo portava a ritardare il momento dell'arrivo a Modena. Mesi prima, infatti, Mario, il suo storico amico di infanzia, lo aveva chiamato per dargli la notizia del suo matrimonio. Inizialmente aveva pensato di non andarci. Si sarebbe inventato qualche scusa convincente. Ma era stata solo una fantasia fugace. Mario non gliel'avrebbe mai perdonato. E lui stesso non poteva pensare di non presentarsi al matrimonio di uno dei suoi migliori amici. Ma l'idea di poter incontrare di nuovo…
Le sue riflessioni vennero improvvisamente interrotte da un uomo di fianco a lui. Parlava ad alta voce del suo cappuccino come se fosse la cosa più importante al mondo. Cercò di coinvolgere anche Enea, chiedendogli cosa ne pensasse della temperatura e della schiumosità del suo caffè. La cosa peggiore non era tanto il tono di voce altissimo con cui parlava, ma la sua vicinanza. Enea proprio non riusciva a tollerarla. L'uomo gli stava parlando stando a pochi centimetri dalla sua faccia. Poteva addirittura sentire il suo alito odor caffelatte. E non solo! Per sottolineare bene i concetti, l'uomo continuava a toccarlo sulla spalla. Dei leggeri picchiettì che scandivano il suo monologo. Questo non fece altro che aumentare il nervosismo e il disagio di Enea. Per questo mandò giù l'ultimo sorso di caffè e troncò la conversazione dicendo: “Ordini un succo di frutta la prossima volta”. Non gli diede nemmeno il tempo per rispondere. Si fiondò di corsa fuori dalla stazione di servizio, diretto alla sua auto.
Come mai il comportamento di quest'uomo ha dato così fastidio ad Enea? Vi siete mai chiesti perché ad alcuni la vicinanza delle persone può infastidire mentre ad altri no? Per capire meglio questa dinamica oggi parleremo del concetto di spazio personale. Immaginate il vostro spazio personale come una bolla invisibile, una zona intima che vi circonda e vi protegge dalle interazioni non desiderate. Questo spazio si chiama “spazio prossemico” e non è delimitato solo dai confini fisici ma è anche uno spazio mentale che ci fa sentire al nostro agio nelle relazioni sociali di tutti i giorni. Segna le giuste distanze tra noi e le altre persone e varia in base al grado di intimità.
Ad occuparsi di prossemica è stato l'antropologo Edward T. Hall nel 1963. Per primo ha notato come le distanze che manteniamo dagli altri riflettano in realtà il tipo di relazione che abbiamo con essi. Attraverso lo spazio che mettiamo tra noi e le altre persone, infatti, comunichiamo determinate informazioni sul nostro rapporto con loro. Siamo noi, quindi, a definire chi e quanto può avvicinarsi. Tenete conto che queste regole però possono variare in base alla cultura e alla situazione, non sono fisse. Pensiamo ad esempio a quando un nuovo dottore ci visita. Potrebbe capitare che di solito l'accorciarsi della distanza personale possa darci fastidio o metterci in imbarazzo. Nel caso del medico, però, la nostra bolla potrebbe essere flessibile e adattarsi alla circostanza in breve tempo.
Al contrario, potremmo invece infastidirci molto quando una persona sconosciuta o che conosciamo da poco tempo ci bacia e ci abbraccia incontrandoci per strada. Potremmo viverla come un'invasione dello spazio che riserviamo solo alle persone più intime. Ecco, in questi casi, non ci sono regole universali. Ognuno di noi potrebbe reagire in maniera estremamente differente e la nostra bolla potrebbe sentirsi più o meno in difficoltà.
Adesso andiamo più nel dettaglio per provare a capire meglio. Hall ha delineato quattro zone che chiama zone interpersonali e che utilizziamo per definire la giusta distanza umana da chi ci circonda. Proviamo a immaginarcele come dei cerchi concentrici attorno a noi e noi siamo il centro. Il cerchio più piccolo, quello più vicino al nostro corpo, si chiama “zona intima” e va da 0 a 50 centimetri. È la zona che permette di toccarsi, parlarsi a bassa voce, baciarsi. È la distanza tipica dei rapporti stretti ed intimi, come ad esempio tra partner, tra fratelli e sorelle e anche tra genitori e figli.
La “zona personale” è compresa tra 50 centimetri e un metro. È il nostro spazio personale, quello destinato generalmente alle relazioni più informali. Possono oltrepassarlo gli amici o i membri della famiglia ed è quello spazio che non vogliamo venga violato, ad esempio in ascensore o sull'autobus. Fa sì che non gradiamo sentirci invasi e toccati da estranei, proprio come è successo ad Enea.
La “zona sociale”, la terza, è quella che va da un metro a 4 metri ed è invece destinata alle relazioni più formali. È utilizzata per la comunicazione tra conoscenti, ad esempio come nel rapporto insegnante-allievo oppure tra colleghi.
Infine, il cerchio più ampio prende il nome di “zona pubblica”. Va oltre i 4 metri ed è la zona istituzionale dove normalmente i movimenti sono più accentuati e il livello di voce più alto. In questo caso la relazione che si viene a creare non è tanto con il singolo, con la singola persona, ma con tutte le persone presenti nello spazio pubblico. È la zona che di solito viene riservata alle interazioni formali, come ad esempio le conferenze e le riunioni.
In base a questi cerchi abbiamo quindi delle aspettative su come le altre persone dovrebbero comportarsi. Se non vengono rispettate possiamo sentirci minacciati oppure imbarazzati o ancora, come il nostro protagonista Enea, potremmo sentirci estremamente infastiditi. Questo succede quando una persona si avvicina troppo a noi ma anche quando qualcuno si allontana eccessivamente da noi. Potrebbe farci sentire come non graditi.
A questo punto ha senso domandarsi in che modo possiamo imparare a rispettare le bolle altrui e come facciamo a delineare, a definire dei confini chiari e far sì che le altre persone li rispettino. Vediamolo insieme. Per prima cosa prestiamo attenzione ai segnali che il nostro corpo ci invia quando qualcuno è vicino a noi. Di solito i principali segnali di disagio sono l'irrigidimento dei muscoli e della postura, la tentazione di fare un passo indietro oppure il guardare in basso o addirittura evitare completamente il contatto visivo con l'altro. Questi elementi potrebbero indicare che i nostri confini sono stati superati. Allo stesso modo però è importante fare questo esercizio attentivo nei confronti delle altre persone. Se vediamo che l'altro cerca di allontanarsi e mostra questi segnali vuol dire che stiamo invadendo il suo spazio. Allontaniamoci!
Un altro consiglio è quello di stabilire confini chiari ed equilibrati. Più i confini relazionali sono deboli, più tenderemo ad essere accondiscendenti e a sopportare una situazione che in realtà ci crea fastidio. Ricordiamoci invece che è possibile parlare apertamente del disagio che la vicinanza ci può far provare. Questo perché è un elemento molto soggettivo. Non dobbiamo dare per scontato che l'altro abbia la nostra stessa tolleranza della vicinanza e che provi le nostre stesse sensazioni. Parlarne insieme permette di comprendersi meglio ed è anche un ottimo modo per stabilire dei confini chiari che ci facciano sentire a nostro agio.
Per finire, proviamo a esplorare, a sperimentare e troviamo il nostro equilibrio prossemico. I confini relazionali sono soggettivi e possono anche variare nel tempo. Per questo motivo riconoscerli e sperimentare sempre nuove dinamiche è fondamentale per avere delle relazioni sane e durature.
In conclusione, prestiamo attenzione e prendiamoci cura del nostro spazio personale, dei nostri confini e della nostra bolla perché ci protegge dal mondo esterno ed è il punto di contatto e di incontro con gli altri. Per questo motivo merita di essere ascoltata e rispettata.