Il corpo non mente (anche quando ci provi)
Impariamo a leggere quello che il corpo esprime
11min
Impariamo a leggere quello che il corpo esprime
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Vi è mai capitato di entrare in una stanza e sentire ancora prima che qualcuno parli che l'aria è tesa? Oppure di capire che partner è arrabbiato semplicemente guardandolo? Il nostro cervello è in grado di percepirlo in un istante, questo perché il corpo comunica in modo diretto, primordiale, silenzioso ma in modo molto chiaro. Nella lezione precedente abbiamo scoperto che la comunicazione non può essere ridotta a una formula e che parole, voce e corpo formano un unico sistema. Oggi invece entriamo nel vivo, vedremo come il corpo parla attraverso i suoi canali principali, quindi gesti, postura, sguardo e prossemica, cioè la gestione della distanza e dello spazio. Quindi, che dirti, prepara l'attenzione, da qui in poi ogni incontro, una riunione, ogni abbraccio, potrebbero raccontarti molto più di quello che immaginavi. Cominciamo. I gesti, la grammatica visibile delle intenzioni. Beh, ogni gesto può farti a sparire un determinato stato emotivo. Ray Birdwhistell, antropologo e padre della cinesica, diceva che non esistono gesti isolati ma solo gesti nel contesto. Ogni movimento del corpo, anche il più piccolo, ha un senso solo se lo osserviamo insieme a quello che succede prima e dopo e soprattutto nel luogo in cui accade.
Pensiamo a una situazione di lavoro. Se in riunione stai presentando un progetto e noti un collega che annuisce costantemente, ti rassicuri e dici, beh, ok, approva. Ma poi, durante la discussione, scopri che in realtà non era affatto d’accordo. Ma perché annuiva allora? Magari per cortesia, per darti spazio o perché voleva segnalare che ti stava ascoltando? Ecco perché nessun gesto singolo ha un significato universale. Altro esempio, in un contesto affettivo. Una persona ti parla e sfiora continuamente il viso, i capelli, il collo. Quel tocco può essere un segno di interesse, ma può anche indicare nervosismo, ansia o semplice abitudine. Solo il tono della voce, il contesto e il ritmo della conversazione possono dirti quale emozione sta passando davanti a te. Insomma, i gesti non sono un linguaggio a decifrare, ma un comportamento da ascoltare.
La postura, ovvero il corpo come metafora interiore. La postura è uno specchio straordinario del nostro stato interno. D'altronde, il corpo organizza lo spazio nello stesso modo in cui la mente organizza l’esperienza. Pensiamo ad un esempio sul lavoro. Un candidato entra a un colloquio con le spalle aperte, il mento in linea, un passo stabile, il viso mezzo sorridente e si siede sulla sedia, dritto con la schiena, le mani tengono un cv, le sue gambe non traballano, sono incrociate e il piede è poggiato completamente a terra. Il suo corpo cosa comunica? Presenza, apertura e sicurezza. Però se invece le spalle sono curve, lo sguardo basso, il busto inclinato in avanti, i muscoli del volto rigidi, le gambe che da sedute iniziano a traballare su e giù, il messaggio sarà di ritrosia, di timidezza o anche di tensione, scarsa fiducia. Però attenzione, non dobbiamo interpretare la postura come giusta o sbagliata. Ogni postura è una risposta corporea alla situazione e cambia in base a emozioni, ruoli e relazioni. In una coppia, per esempio, una postura che rimane aperta e rilassata durante una discussione segna la disponibilità all'ascolto. Una postura chiusa o rigida, invece, può indicare difensiva o addirittura fatica emotiva. La postura, in fondo, è una narrazione silenziosa di come stiamo dentro.
Ora passiamo allo sguardo, che alla fine è un filo invisibile tra due menti. Se il corpo parla, gli occhi ascoltano e rispondono, a modo loro. Lo sguardo è uno dei canali più potenti della comunicazione non verbale. Persino Paul Ekman lo definiva la finestra più diretta sulle emozioni di base. In una conversazione, il contatto visivo stabilisce connessione, presenza e anche attenzione. Troppo poco, quindi, può trasmettere un distacco o un’insicurezza. Troppo intenso può risultare invadente o aggressivo. E qui le differenze culturali sono enormi. In alcune culture asiatiche, per esempio, lo sguardo diretto o prolungato può essere percepito come mancanza di rispetto. Mentre invece, se ci pensiamo, in Europa è spesso segno di sincerità e sicurezza. Andiamo invece su un altro esempio quotidiano. Sei a cena con qualcuno che ti piace. Ti parla, ma distoglie spesso lo sguardo. Poi lo ritrova, poi lo fugge di nuovo. Quel ritmo visivo crea tensione, gioco, curiosità. Nel mondo del lavoro, invece, saper gestire il contatto visivo durante una presentazione o un colloquio significa creare fiducia e autorevolezza. Quindi non basta tutto quello che ci siamo detti. Lo sguardo non è quasi mai statico, ad eccezione di situazioni problematiche. E anche questo rappresenta un modo silenzioso di dialogare. Tutto è dialogo.
Ora parliamo invece di prossemica, ovvero dello spazio intorno a noi che ci parla. La prossemica è la scienza che studia come usiamo lo spazio nella comunicazione. E fu teorizzata da Edward T. Hall negli anni Sessanta. Secondo Hall, ogni persona ha zone di distanza personale. Intima, fino a 45 centimetri, riservata a chi amiamo o con cui ci sentiamo profondamente al nostro agio. Personale, fino a 1,2 metri circa. Amici, colleghi stretti. Sociale, da 1,2 metri a 3,5 metri. Luogo designato per incontri formali, riunioni. Pubblica oltre 3,5 metri. Conferenze o presentazioni, quindi situazioni estremamente formali. Ecco, quando qualcuno invade il nostro spazio senza permesso, il corpo reagisce immediatamente. Ci irrigidiamo, arretriamo o ci chiudiamo. Pensiamoci. Lo spazio quindi non è qualcosa di neutro. È un importantissimo segnale di relazione e di percezione di sé in relazione dell'altro.
Immaginiamo di essere in piedi, in metro o sul tram. Improvvisamente una persona che non conosciamo si avvicina molto a noi per afferrare la stessa maniglia, per evitare di cadere. È talmente vicina che possiamo sentire quasi il suo respiro addosso. Come ci fa a sentire? A disagio o in imbarazzo, giusto? Al contrario, mantenere una distanza eccessiva in un contesto intimo può comunicare freddezza o disinteresse. Nelle relazioni affettive, infatti, la distanza è un vero e proprio termometro di sintonia. Più c'è intimità emotiva, più diminuisce la distanza fisica. Ed è incredibile come il corpo si adatti spontaneamente. Due persone che si piacciono tendono a sincronizzare postura, inclinazione del busto e ritmo respiratorio. La prossemica ci parla moltissimo della nostra cultura, ma anche della nostra storia personale passata e del periodo storico che stiamo vivendo. Vi ricordate durante la pandemia Covid come tutto questo è profondamente cambiato? E quanti strascichi che ha lasciato ancora oggi?
Uno dei più grandi errori che facciamo e di cui adesso parleremo riguarda i segnali misti e l'importanza della coerenza, cioè interpretare un solo segnale come verità assoluta. Dobbiamo fare molta attenzione a questo. Un sorriso non sempre significa felicità, così come toccarsi il collo mentre si dice qualcosa non significa necessariamente menzogna. La ricerca di Argyle e Dean mostra che il comportamento non verbale è regolato da un equilibrio tra intimità e distanza. Una danza continua che bilancia prossimità, sguardo, tono e gesti. Se uno di questi aumenta, spesso un altro diminuisce, questo per mantenere il comfort reciproco. Ad esempio, se una persona ci guarda con intensità, è molto probabile che si allontani leggermente con il corpo per compensare la vicinanza visiva. È come un termostato, ma della relazione. Cosa importantissima, osservare questi equilibri senza giudizio ci aiuta a leggere la comunicazione non verbale con curiosità, non con sospetto. Il corpo alla fine rimane un campo di ascolto. Il corpo non ci parla solo degli altri, parla anche di noi stessi. Ogni volta che entriamo da qualche parte, il nostro corpo legge la situazione prima ancora che lo facciamo consapevolmente. Si tende se percepisce una minaccia, si apre se sente fiducia, si muove in sintonia quando c'è empatia. Questo accade grazie ai neuroni specchio, cellule cerebrali che si attivano sia quando compiamo un gesto, sia quando osserviamo qualcun altro farlo. È come se il nostro cervello vivesse dall'interno l'azione dell’altro. Ecco perché quando vediamo qualcuno sbadigliare, sbadigliamo anche noi. O quando assistiamo ad un abbraccio sincero, lo percepiamo fisicamente quasi sulla pelle.
Il linguaggio del corpo non è solo osservazione, è anche proprio risonanza. Siamo progettati per entrare in risonanza con gli altri, e questo dice tantissimo di noi come esseri umani. Abbiamo visto come il corpo parla in tanti modi, con i gesti che sottolineano, con la postura che ci racconta, con lo sguardo che collega, e con lo spazio che regola i gradi di fiducia ed intimità. Abbiamo capito che non esistono segnali universali, ma contesti, relazioni e coerenze. Il corpo è un linguaggio complesso, e questo si è capito. Ma soprattutto è un linguaggio vivo, cambia, reagisce, si adatta ed emoziona. Prima di svelarvi il tema centrale della prossima lezione, ecco un esercizio utile. Questa settimana, provo a osservare le tue distanze e le tue posture nelle interazioni quotidiane. A lavoro, ad esempio, nota come cambia la tua posizione del corpo quando sei in riunione con il tuo capo rispetto a quando parli con un collega. Nelle relazioni, osserva come il tuo corpo reagisce durante una conversazione importante. Che succede? Ti avvicini? Ti chiudi? Ti muovi di continuo? A fine giornata, annota 5 aggettivi che descrivono nel complesso le emozioni che pensi di aver comunicato in quei momenti, e paragonale con ciò che hai sentito. Sarà il primo passo per imparare a sentirti mentre comunichi. Vedrai!
Io sono Olga Armento, e questo è Oltre le parole. Nella prossima lezione, parleremo di una parte del corpo che spesso trascuriamo, ma che in realtà è potentissima, la voce. Scopriremo come racconta le nostre emozioni, e che in modo, nel dettaglio, il tono, il ritmo e il respiro, possano cambiare completamente il significato di un messaggio.