Perché quei famosi 7-38-55 non spiegano la comunicazione non verbale
Smontiamo uno dei miti più diffusi nella comunicazione
9min
Smontiamo uno dei miti più diffusi nella comunicazione
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Vi è mai capitato di dire qualcosa con convinzione, ma percepire che la persona davanti a voi proprio non vi crede? Oppure di sentire qualcuno dire sono tranquillo, ma la voce è tesa, lo sguardo fugge, le mani giocherellano con la penna? Succede a tutti e spesso ci viene in mente quella frase che gira da anni, la comunicazione è solo per il 7% verbale, per il 38% paraverbale e per il 55% non verbale. Un mantra che abbiamo sentito in corsi di public speaking, in video motivazionali, nei libri di crescita personale. Peccato che non sia vero, o meglio è stato completamente frainteso.
Oggi scopriremo insieme da dove nascono quelle famose percentuali, cosa intendeva davvero Mehrabian, cioè lo psicologo che le propose, e perché non possiamo ridurre la comunicazione a una formula matematica e una logica lineare. Ma anche come in realtà il linguaggio del corpo e la voce si intrecciano con le parole per creare significato, emozione e connessione. Ma quindi, da dove viene questo 7, 38 e 55? Partiamo dai fatti. Negli anni ’60 Albert Mehrabian, psicologo dell'Università della California, condusse due piccoli esperimenti su come le persone interpretano messaggi che contengono emozioni contrastanti. Chiese a dei partecipanti di ascoltare una parola, ad esempio, maybe, forse, pronunciata con toni diversi, uno amichevole, uno neutro e uno stile. Poi mostrò fotografie di volti con espressioni differenti e chiese di valutare l'impressione generale. Risultato? Beh, quando il tono della voce e l'espressione del volto non coincidevano, le persone si evitavano più del volto e della voce che delle parole. Da lì Mehrabian formulò una proporzione. 7% dell'impatto del messaggio viene dalle parole, il 38% viene dal tono della voce e il 55% viene dall'espressione facciale. Ma, ed è qui il punto cruciale, Mehrabian stesso precisò più volte che quelle percentuali si riferivano solo a situazioni emotive, con messaggi contraddittori e solo per la comunicazione di sentimenti e atteggiamenti, non per la comunicazione in generale. Eppure nel tempo, quella piccola ricerca si è trasformata in un mito semplificato. Contano solo corpo e tono, le parole valgono pochissimo, una distorsione totale del messaggio originale. Quindi, in questo senso, la comunicazione è molto più di una percentuale, non è una formula, è una danza di segnali. Ogni volta che parliamo con qualcuno e diciamo una qualunque cosa, parole, voce e corpo si intrecciano in un unico sistema, dove ognuna influenza e completa l'altra. Il linguaggio del corpo non può essere isolato dal linguaggio verbale, perché insieme formano un'unica grammatica del comportamento umano. Pensiamoci, possiamo dire, sono felice in cento modi diversi, con un sorriso ampio e gli occhi accesi, sono felice, e allora chi ti ascolta ti crederà. Oppure con voce spenta e spalle curve, sono felice, e allora il messaggio cambia completamente. Ecco come il corpo esprime la parte emotiva implicita del messaggio.
Allo stesso tempo non può nemmeno essere isolato dal contesto. Pensiamo ad una conversazione al telefono, a quel punto le percentuali, come fanno ad essere 7 verbale, 38 paraverbale, ovvero tono della voce, e 55 non verbale. Siamo al telefono, cioè contano solo parole e voce. Immaginiamo anche di essere al lavoro e di dover fare una chiamata per comunicare solo un dato numerico ad un collega di cui non ci importa un bel niente. In questo caso il peso e il tono di voce contano ancora meno, l'importanza è tutta rispetto al dato numerico. Il contesto quindi è il vero protagonista ed è un concetto fondamentale.
Come ci ricorda Paul Watzlawick nel suo primo assioma della comunicazione umana, non si può non comunicare, ma il significato di ogni comunicazione dipende dal contesto in cui avviene. Facciamo un esempio sul lavoro. Immagini di entrare in una riunione e trovare il tuo capo con le braccia conserte. Potresti pensare, è chiuso, è rigido, oppure in disaccordo, ma se quella stanza è fredda e lui ha appena detto fa un gelo qui dentro, il gesto non ha nulla di offensivo, è solo termoregolazione. Oppure pensa a una relazione affettiva, cioè se il tuo partner evita lo sguardo mentre parla, potrebbe sembrare che stia nascondendo qualcosa. Ma magari sta solo cercando le parole giuste perché è emozionato e vulnerabile, quindi il contesto emotivo e relazionale cambia tutto.
Per questo motivo che si occupa seriamente di linguaggio del corpo, psicologi, terapeuti e ricercatori, e non lo fa solo per business, non interpretano mai un gesto isolato, ma sequenze di comportamenti coerenti e caratteristiche personali, osservati nel tempo e soprattutto nella situazione. Corpo, voce e parole sono un sistema unico. Dobbiamo capire che la comunicazione umana è multicanale, ogni messaggio viaggia su più piani contemporaneamente. Che vuol dire? Vuol dire che le parole danno il contenuto, la voce trasmette l'intensità emotiva, il corpo ne mostra la direzione e la verità fisiologica che riflette il piano emozionale interno. Ancora un esempio nel lavoro, un collega dice no ma tranquillo a quel progetto ci penso io, però la voce è rigida, il respiro è corto e non ti guarda negli occhi, cosa capti? Che probabilmente non è poi così tranquillo. In una relazione invece puoi dire ti voglio bene, con un tono caldo e un contatto visivo sincero o con una voce distante e sguardo altrove, ti voglio bene. Il significato non cambia per le parole, ma per la coerenza tra i canali. Non verbale quindi, alla fine della fiera, non vuol dire più importante, ma complementare. La ricerca contemporanea da Paul Ekman a Daniel Goleman, fino a Lisa Feldman Barrett, ha chiarito che non esiste una gerarchia fissa tra canali comunicativi, ma una interdipendenza. Che vuol dire? Significa che quando le parole e il corpo sono allineati, l'altro percepisce coerenza, autenticità e fiducia. Quando invece sono disallineati, nasce confusione o sospetto. E questo vale tanto in una riunione quanto in una relazione intima. Non c'è un canale più vero o più potente, c'è un equilibrio dinamico che riflette lo stato emotivo e cognitivo del momento. Anche le neuroscienze ci aiutano a capire perché il corpo ha un peso così forte nella comunicazione. Il nostro cervello, infatti, elabora i segnali non verbali in modo automatico e rapidissimo, cioè prima ancora che le parole vengano comprese. Questo significa che percepiamo il come prima del cosa. È una questione anche un po' evolutiva. Per milioni di anni abbiamo comunicato senza parole, attraverso gesti, posture e toni vocali. Le parole sono arrivate molto dopo e il nostro cervello continua a funzionare così. Decodifica prima le emozioni e poi i concetti. Allora, cosa dobbiamo imparare? Non a leggere il linguaggio del corpo come un codice segreto, ma a riconoscere la coerenza o l'incoerenza tra diversi canali. E quindi a chiederci, le parole che sento risuonano con ciò che vedo e sento dentro? Il mio corpo sta dicendo la stessa cosa che penso? E come reagisce il corpo dell'altro quando io parlo? Ecco, questo tipo di attenzione non serve per scoprire le bugie, ma per migliorare la qualità delle relazioni professionali, amicali, affettive, e migliorare anche il rapporto con se stessi e con il proprio corpo, perché la coerenza comunica sicurezza e autenticità. Ricordiamocelo sempre.
Bene, abbiamo smontato un mito, quello del 7, 38 e 55, e scoperto che la comunicazione non è una formula, ma un ecosistema complesso di parole, voce e corpo. Abbiamo capito che il contesto è fondamentale e che la coerenza è ciò che costruisce fiducia, ma questo è solo l'inizio. Nella prossima lezione, osserveremo come il corpo parla attraverso la postura, lo sguardo, i gesti e la distanza. Capiremo come quei segnali raccontano emozioni, intenzioni e stati mentali, anche quando non ce ne rendiamo conto.Ma prima, vi lascio un esercizietto di consapevolezza. Durante la settimana, scegli una conversazione al giorno, può essere con un collega, un amico o con un partner. Ascolta non solo cosa viene detto, ma come. Il tono, il ritmo, le pause, lo sguardo, la postura, il respiro. E chiediti, quello che vedo e sento corrisponde alle parole? Quello che io ho espresso, com'è uscito fuori da me? Tutto questo per allenare lo sguardo alla coerenza. Più alleni questa osservazione, più diventi capace di ascoltare davvero, con le orecchie, con gli occhi e col cuore. Io sono Olga Armento, su Instagram mi trovi come Temperamente, e questo è Oltre le parole. Ci sentiamo alla prossima lezione, dove parleremo di come il corpo comunica anche quando non dice nulla.