Mi fabbrico - Industria sostenibile
Scopri come le tue scelte quotidiane possono allentare la pressione sulle risorse del nostro pianeta
15min
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Episodi di Guida all’eco-crisi
"Universe 25" era un luogo perfetto.
C’era sempre cibo fresco e disponibile, acqua, riparo, degli spazi comodi per potersi riposare. Cos’altro potevano desiderare? Vi era spazio per 3.000 di loro. Eppure all’inizio il ricercatore vi posizionò solamente 4 coppie. Di topolini. Per osservare come si sarebbero sviluppati e accresciuti in questa particolare “società dei topi”.
Questa è la storia vera di un esperimento finito male. Perché all’inizio, come uno si aspetta, i topi stanno bene e si riproducono come soltanto i roditori sanno fare. Stabilisono gerarchie, e gruppi, fino a formare una loro bella società. Ma quando arrivano a circa 600 individui, considerato poi il punto critico di questo esperimento, iniziano i primi segni di cedimento sociale.
Aggressività, violenze, alcuni topi diventano apatici, se ne stanno sempre fermi in un punto della gabbia “dorata”, mentre il mondo attorno a loro si sgretola pezzo dopo pezzo. Tutti i topi continuano ad avere cibo e acqua ma l’accesso alle risorse iniziare ad essere limitato. Con la sovrappopolazione si diffondono malattie, e stranamente, alcune femmine smettono di prendersi cura della propria prole, cosa che non accade di regola fra i topi.
La società dei topi dell’etologo di mezz’età John Calhoun riesca a superare i 2000 esemplari dopodiché decade inesorabilmente e infine collassa. I topini continuano a morire e intanto smettono riprodursi. La struttura sociale si sgretola del tutto, si diffondono malattie fisiche ma anche mentali come ansia e stress. Dopo quattro anni, l’etologo di mezz’età John Calhoun interrompel’esperimento, quando i pochi topi rimasti smettono del tutto di avere piccoli e la popolazione dei topolini un tempo numerosa si è ormai decimata. Prima domanda: siamo noi i topolini?
È chiaro che ascoltando questa storia a tutti noi venga il magone pensando a noi e al nostro destino sul pianeta terra. Anche noi ci troviamo in uno spazio confinato, da quando lo abbiamo scoperto tutto, dove le risorse sono sempre più limitate. Ci sono, ma limitate. Sappiamo anche che il numero degli umani, secondo diversi studi, dovrebbe arrivare a circa 10 miliardi su questo pianeta. E poi collassiamo pure noi?
Eh… e poi gli esperimenti ci dicono tante cose interessanti ma non rispecchiano la realtà perché la realtà invece è più complessa. È vero che anche noi ci facciamo la guerra e che ci sono episodi di violenza inspiegabile, che i casi di depressione sono in aumento, e i comportamenti sociali disfunzionali e tutto il resto! Però consideriamo che i topolini erano all’interno di una gabbia, per quanto grande, con uno scienziato che portava loro da mangiare e gestiva tutto da fuori. E poi con l’aumentare della popolazione la gabbia non era tenuta sempre pulita come lo era fin all’inizio, il cibo diventava un po’ meno disponibile per ciascun topo e quindi entravano in competizione.Non solo. Pensare che la terra sia la nostra gabbia è un po’ egocentrico da parte nostra con tutte le altre specie viventi che esistono. Non c’è nessun etologo di mezz’età là fuori che gestisce il pianeta. In certo senso noi siamo i topini e il ricercatore assieme. La gabbia ce la costruiamo da soli.
La nostra gabbia ce la costruiamo con l'industria, altro non è che il risultato della nostra necessità di generare cose per noi, non sto parlando soltanto oggetti come auto, case, aerei, navette spaziali e sottomarini oceanici, tecnologie mediche ma anche esperienze, spostamenti, intrattenimenti, per non parlare tutto ciò che ruota attorno al cibo. Tutte queste cose vanno fabbricate. Perché le vogliamo, perché ci fanno sembrare di essere più felici.
Ed ecco perché il pianeta rischia di diventare una gabbia stretta mano a mano che noi causiamo il restringimento di quei luoghi vivibili e quelli con accesso alle risorse. È un po’ come quando riempiamo casa nostra di oggetti. Li abbiamo voluti, li abbiamo scelti proprio noi, comprati con i nostri soldi, portati dentro casa e adesso ci soffocano metre noi vorremmo soltanto vivere in una appartamento minimal giapponese.
Ma quali sono i settori industriali che emettono più gas climalteranti e che, in un certo senso, rendono la nostra gabbia-mondo meno abitabile?
Qui la risposta si fa sempre un poco complicata come abbiamo visto negli argomenti precedenti. Vediamo se riesco a semplificare.
Quando si parla di emissioni il settore industriale che fa più danni è l’energetico. Perché tutto ciò che facciamo è energia. Parlando di industria, circa ¼ delle emissioni mondiali è energia che alimenta il settore industriale, una bella sventola. Tanta energia si usa per produrre ferro e acciaio. Ci sono modi più o meno inquinanti di produrre ferro e acciaio. Ad esempio l’acciaio cinese costa meno ma viene solitamente prodotto bruciando carbone, mentre quello che fabbrichiamo in Europa deve sottostare a limiti di emissioni per legge e quindi costa di più. Sembrerebbe un giusto prezzo da pagare e invece viene fuori che è anche peggio. E ti spiego: l’acciaio europeo costa, il mercato, comprese le aziende europee, compra quello più economico quindi l’effetto finale è tutti compriamo acciaio emissivo, noi europei indirettamente inquiniamo e perdiamo anche la competizione globale. Si dice: cornuti e mazziati. Come dice John Kerry, l’inviato per il clima degli stati uniti, “senza la Cina non si va da nessuna parte nella lotta al cambiamento climatico”.
Andiamo avanti con la lista dei settori industriali più emissivi. Tante di queste emissioni energetiche arrivano dall’estrazione, trasformazione e trasporto del settore petrolchimico. Poi ci sono la produzione di cibo (piccola nota a margine, il trasporto di cibo incide relativamente poco. Ve l’ho spiegato.Per finire il discorso sui settori più impattanti ci sono industrie che emettono tanta CO2 oltre che usando energia da fossili, emettono perché è il processo in se che è emittivo. E sono la creazione di cemento, 3% e il settore chimico 2%.
Ora, ti pongo una delle mie domanda. Secondo te, la crescita economica fa aumentare le emissioni?
E questa è una domanda che nessuno vuole ma che dobbiamo assolutamente farci. Il rispostone è sì, però. Nel senso che produrre cose inquina e se cerchiamo un’economia davvero circolare ci tocca tornare al medioevo. Quando l’unica cosa che si bruciava era la legna, che è una risorsa rinnovabile, per il resto si riciclava tutto e non c’era inquinamento chimico, dell’aria o di plastiche.
Però se noi investiamo in economia green le cose cambiano. Con qualche incidente di percorso certo, ma cambiano. È come comprarsi la macchina elettrica, all’inizio inquina costruirla ma poi se la usi con elettricità da rinnovabili e se a fine vita riesci a riciclarla quasi quasi chiudi il cerchio. Quindi passiamo tutti all’auto elettrica? Nemmeno per sogno. Se sostituiamo 1 miliardo 200 milioni di auto private presenti oggi su questo martoriato pianetino con auto elettriche non ce la faremo mai. Gli investimenti devono andare nella giusta direzione, ma il pianeta è fisicamente limitato per ospitare miliardi di persone che vogliono vivere come vivono oggi gli americani. Punto. Come dicono gli americani “as simple as that”
Ciambella
Di solito i partiti conservatori e i gruppi di potere legati ai settori più emissivi come aziende energetiche, costruttrici, agroalimentari, tecnologiche si difendono dicendo che soltanto grazie a carbone e petrolio siamo riusciti a portare condizioni di vita migliori, cibo e lavoro, quindi non possiamo farne a meno.
Ma questo argomento è debole. Il fatto che bruciare petrolio, carbone e gas ci abbia permesso di avere abbondanza di energia, cibo e risorse non significa che sia la cosa migliore da fare e che dobbiamo continuare a farla.
I report dell’IPCC e dell’IEA non ci dicono che dobbiamo tornare a vivere nei boschi questo lo dice la propaganda conservatrice. Anche perché nel frattempo stanno bruciando.
Noi 10 miliardi, quando saremo, potremo, in teoria, una vita sicura, sana e piena, senza la necessità di doverci fare la vacanza in Thailandia e avere un SUV di una tonnellata e mezzo per andare a comprare il latte di mucca dal supermercato. Questo concetto è stato teorizzato nell’ “economia della ciambella”, cioè un’economia che dovrebbe muoversi entro un set di limiti sociali ed ecologici rappresentati dai limiti della forma di una ciambella. Un grafico ideato da Kate Raworth dell’università di Oxford. I limiti sociali sono accesso a cibo, acqua, cure, educazione… quelli ecologici sono: crisi climatica, perdita della biodiversità, plastiche negli ecosistemi e altri impatti ecologici.
L’economia a ciambella si muove fra i due set di confini grazie a collaborazione, cooperazione fra settori diversi per raggiungere obiettivi comuni. Quest’ultimo punto è più importante di quello che sembra. Calhoum, l’etologo, alla fine del suo esperimento fu shockato dal fatto che mancava la cura fra esemplari che vissero durante la fase di decadimento della sua colonia di topi. Infatti gli esemplari che erano nati nel caos non avevano imparato le regole sociali che permettevano loro di tenere assieme la società.
La terra non è come Universe 25, perché nessuno è lì fuori che provvede a rimettere cibo e fare delle pulizie (anche se nell’esperimento di Calhoun anche quelle erano venute un po meno) ma soprattutto siamo noi che scegliamo di essere topolini o meno. I topolini sono quelli che pensando di trovare la felicità si fanno mettere nella gabbia del consumismo. Taratataaaaa!