
Organizzarsi per vivere meglio: gestire le attività per guadagnare tempo
Regole e tecniche da applicare nella vita privata e professionale
16min

Regole e tecniche da applicare nella vita privata e professionale
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Episodi di Il tempo che manca
È il bene non rinnovabile per eccellenza, eppure tendiamo a ignorare questa sua caratteristica: nella cultura occidentale, il valore del tempo è un concetto frainteso, in gran parte orientato al detto “il tempo è denaro”, che offre un angolo davvero troppo stretto rispetto a quanto il tempo valga davvero. Il denaro non compra il tempo, e il problema è che ce ne accorgiamo sempre troppo tardi: quando ci scontriamo con l’impossibilità di fare “in tempo” qualcosa, perché la scadenza è arrivata, o quando le nostre scelte ci hanno portato a trascurare cose e persone che non possiamo far tornare indietro.
Una delle prime cose da fare per non sprecare il tempo la suggerisce Valorie Burton nel suo libro It’s About Time: The Art of Choosing the Meaningful Over the Urgent: è fondamentale imparare a distinguere le cose urgenti da quelle significative. A queste ultime è legata la nostra felicità, e non dedicare ad esse tutto il tempo necessario equivale a correre un rischio molto pericoloso. La definizione di “significativo”, come la offre qualunque dizionario, è illuminante: essere significativo significa essere rilevante, importante, utile. Per questo, fare cose significative significa dare valore al nostro tempo.
Un trucco per imparare a trattare il tempo con rispetto è applicare una semplice equivalenza euro/minuti. Pensare di avere davanti a sé non una giornata di 60x8 = 4800 minuti di potenziale lavoro, ma 4.800 euro da “spendere”. Se un compito “costa”, siamo automaticamente orientati a dedicargli il tempo giusto, senza sprecare nemmeno un “euro” più del necessario.
It's About Time Riappropriarsi del proprio tempo facendo cose significative 21 minIt's About Time
C’è un’azione sorprendentemente semplice da fare: “prendere atto” della situazione, strumento fondamentale per riappropriarci del nostro tempo. Vi rimproverano di avere sempre il cellulare in mano, anche nei momenti più sbagliati. Ma è proprio così? Controllare se stiamo davvero sprecando minuti preziosi in chat mentre dovremmo parlare con i propri cari durante la cena, è molto facile.
Il primo passo è verificare la percezione. Bisogna preparare una tabella con la stima dei tempi dedicati alle varie attività: quanto tempo al giorno dedico alla posta elettronica? ai videogiochi? allo studio? durante la settimana quante volte incontro gli amici? per quanto tempo mi alleno? quanto sto in chat?
Una volta costruita questa griglia ipotetica, la dobbiamo confrontare con la realtà. Serve quindi tenere, per qualche giorno, un diario minuzioso dell’uso del tempo. Lo stesso che viene richiesto dai dietisti ai loro pazienti. Dal momento in cui suona la sveglia fino a quello in cui si appoggia la testa sul cuscino per dormire, che cosa ne facciamo del tempo? Più si è maniacali in questa indagine, più la mappatura sarà attendibile e - soprattutto - illuminante. Si potrebbe scoprire, per esempio, di passare ore a gestire la posta elettronica e le chat di messaggistica anche fuori dall’orario d’ufficio. Questo non è un comportamento sbagliato di per sé: nella fase della mappatura, bisogna evitare in tutti i modi di giudicare. L’aspetto importante infatti è capire quanto la nostra percezione sia giusta. Quante ore crediamo di spendere sui social? quante ore alla settimana crediamo di usare per passeggiare o allenarci?
Soltanto dopo aver messo nero su bianco le informazioni e averle confrontate con la prima stesura, possiamo capire la nostra reale situazione, far emergere certi comportamenti e porvi rimedio.
In inglese è nota come Fear of missing opportunities, da cui l’acronimo FOMO: la paura di lasciarci sfuggire occasioni importanti è un disagio molto diffuso che spinge le persone ad accettare impegni che non desidera davvero e che, spesso, non può gestire.
La povertà di tempo deriva dalla necessità continua di spostare in avanti, nel futuro, le cose che sappiamo di voler fare per gestire quelle che dobbiamo fare. Schiacciati dalle scadenze, rimandiamo, ed è come se prendessimo in prestito del tempo dalla nostra vita, fingendo che quel tempo possa essere reintegrato: ma il tempo non è un bene rinnovabile!
Non a caso, una delle prime regole per guadagnare tempo è imparare a dire “no”. Allenarsi al rifiuto è fondamentale: il primo passo è come sempre, partire dalle cose facili, come non andare a vedere un film che non ci interessa, non accettare l’invito per un aperitivo quando si è stanchi, non partecipare a una cena sapendo che il giorno dopo si ha un appuntamento di lavoro importante. Presa confidenza con la capacità di rifiutare (in pratica, avendo verificato che il mondo non crolla), sarà più semplice dire “no” al collega che vuole rifilarci un compito per il quale non abbiamo tempo o evitare di partecipare a un meeting dove si sa di non portare (né ricevere) valore.
A volte usiamo il tempo per fare cose che non sono importanti o urgenti. Spostare a un fantomatico “dopo” quello che sappiamo bene di dover fare “adesso” si chiama procrastinazione, ed è un retaggio che ci viene dai nostri antenati preistorici.
Indecisione e tendenza a procrastinare hanno molte facce, ma una stessa ragione: si tratta di una reazione alla percezione di una minaccia. Procrastinare è infatti un metodo che ci permette di prendere le distanze da situazioni difficili e anche di proteggere energie necessarie alla sopravvivenza. Questo meccanismo automatico ci arriva dall’Homo Sapiens, che secondo gli scienziati fu il primo in grado di attuare una “pianificazione complessa”, cioè ad avere la capacità di concepire il futuro come risultato di una serie di azioni. Invece di attaccare un mammut “alla cieca”, questi nostri antenati cominciarono a radunarsi in gruppo, stabilire una tattica, prendere decisioni prima di agire.
Oggi che il nostro problema è rappresentato da un documento da completare e non da una tigre dai denti a sciabola, siamo lo stesso “prigionieri” della volontà di rimandare l’azione. Per vincere questa tendenza, l’arma vincente secondo Rob Moore, autore di Start Now. Get Perfect Later è pianificare per poi rispettare alla lettera quello che si è stabilito di fare. Richiede più energia cominciare a fare qualcosa che continuare a farlo: come ben sappiamo, vincere l’inerzia costa, un corpo in movimento tende a restare in movimento, e uno fermo a restare fermo. Esistono metodi semplici per combattere la tendenza a procrastinare, uno è la regola dei 5 secondi.
Secondo l’esperto di produttività personale Mel Robbins, per evitare che il cervello primitivo interferisca con la determinazione a compiere un'attività basta agire entro 5 secondi: nel momento in cui ci si rende conto che si dovrebbe fare una cosa, si deve far scattare un conto alla rovescia partendo da 5 e ci si deve impegnare a entrare in azione quando il tempo scade. La tecnica di contare dà alla mente qualcosa su cui concentrarsi, evitando di far partire la lotta interiore che potrebbe portare a procrastinare.
Attenzione però a non “muoversi a caso”. La pre-crastinazione è la tendenza a fare per rimandare, dandosi per di più l’alibi di essere impegnato, un esempio classico è quello di mettersi a leggere le e-mail o a fare ulteriori controlli o ricerche invece di cominciare a lavorare alla presentazione che si ha davanti; pre-crastinare offre una buona scusa per non fare quello che sappiamo di dover fare, dà l’illusione di essere oberati, permette di arrivare a fine giornata con la sensazione di essere stati attivi.
Altro nemico comune a molte persone, il perfezionismo. Considerato in genere una qualità, questo atteggiamento può trasformarsi in ostacolo se usato - anche inconsciamente - come una scusa per non chiudere un’attività. Capita, infatti che venga anche attivato per proteggere dalla paura del fallimento. La spinta verso il “non è mai abbastanza”, invece di aiutare a fare meglio, crea un grave ostacolo a chi non riesce a considerare una cosa finita finché non raggiunge un improbabile stato di perfezione, così il tempo che un perfezionista investe su una attività è spesso molto superiore a quello che sarebbe ragionevole impiegare.
Ma il problema più insospettabile è quello che deriva dall'ottimismo, un atteggiamento mentale che porta a sottostimare il costo di una attività e, di conseguenza, spinge le persone a trovarsi spesso in ritardo. Tidsoptimism è una parola di origine svedese, la cui traduzione letterale è "ottimismo temporale", che descrive chi pensa di avere più tempo di quello che realmente ha a disposizione. Gli ottimisti sono molto bravi a stabilire traguardi, perché nutrono una grande fiducia nelle potenzialità personali e in quelle della loro squadra, ma sono, purtroppo, molto meno bravi a raggiungerli. Un modo semplice per tenere sotto controllo il proprio ottimismo è quello di affidarsi a una valutazione esterna quando si deve stimare un impegno. Chiedere a un collega o a un amico di verificare la stima permette di confrontare le proprie percezione e aiuta così a creare un sistema di valutazione più affidabile per il futuro.
Come vincere la lotta contro la procrastinazione 24 min
Start Now. Get Perfect Later
C’è inoltre un ulteriore nemico da sconfiggere, il tristemente celebre multitasking. Come è stato ampiamente - e scientificamente - dimostrato, si tratta di una cosa che semplicemente non esiste, ma è frutto di un equivoco ben raccontato in Time Chunking: Work Smarter, Achieve Your Goals and Enjoy More Freedom.
Il concetto del multitasking, cioè dell’abilità a fare più cose contemporaneamente, nasce negli anni Novanta: le prestazioni dei processori si erano evolute in modo da consentire ai computer di raggiungere una velocità di calcolo - per quei tempi - incredibile. In pratica, i computer potevano passare da un'attività all'altra senza che l'occhio umano fosse in grado di seguire questo passaggio, facendole così percepire come fossero svolte in contemporanea. In realtà, il computer lavora in modalità multishifting (spostamenti multipli), e il nostro cervello funziona esattamente nello stesso modo, come ha confermato recentemente Nick Chater, professore di scienza del comportamento alla Warwick Business School: pensiamo di essere multitasking, ma in realtà passiamo da un compito all'altro velocemente.
Chater lo ha dimostrato in maniera illuminante con un semplice esperimento nella sua trasmissione alla Bbc The Human Zoo, chiedendo all’ospite che stava camminando con lui "qual è la capitale della Tanzania". All’uomo, così come a molti altre persone sottoposte al test prima di lui, viene spontaneo fermarsi per rispondere. “Quando ci sforziamo di ricordare una cosa - spiega Chater - dobbiamo smettere di fare altro. L'energia mentale e fisica sono più connesse di quanto immaginiamo”. Basta pensare a come ci si comporta da passeggero in auto: finché la strada è libera e conosciuta, si può anche fare conversazione con chi guida, ma quando si avvicina un momento difficile, per esempio c’è un tir da sorpassare, automaticamente si tace per lasciare che la concentrazione di chi è al volante si sposti sulla manovra.
Il salto di contesto è un esercizio costoso: uno studio condotto dalla Irvine University, in California, arriva a quantificarlo al minuto, e afferma che tornare a concentrarsi su un compito interrotto ne costa ben 23. Provate a calcolare cosa significa nella pratica delle nostre giornate, tra notifiche che ci interrompono e scadenze che ci spingono a portare avanti più cose contemporaneamente. La tecnologia, in questo caso, non aiuta: secondo uno studio dell'Università del Sussex, l’abitudine a sovrapporre l’uso di cellulare e computer danneggia il nostro cervello a livello fisiologico, alterandone le prestazioni. E questo vale anche per il tempo libero, visto che i ricercatori hanno scoperto che se si usa il cellulare mentre si guarda la tv si subisce un abbassamento della densità nella corteccia cingolata anteriore, area deputata all'empatia, alle emozioni e all’apprendimento.
Time Chunking Lavorare in maniera intelligente ed essere felici 14 minTime Chunking
La Tecnica del Pomodoro è il più famoso dei metodi di organizzazione del lavoro basato sulla frammentazione del lavoro. Inventato da Francesco Cirillo alla fine degli anni Ottanta, prende il nome dalla forma del timer usato per suddividere il lavoro in intervalli, un timer da cucina fatto appunto a pomodoro.
La tecnica si basa sull’alternanza di periodi di lavoro, lunghi tradizionalmente 25 minuti, a pause di un paio di minuti. Prima di cominciare un compito lo si stima usando “il pomodoro” come unità di misura e poi si parte lavorando per gruppi di 4 pomodori (sempre intervallati tra loro dalla brevissima pausa). Poi ci si ferma per un quarto d’ora prima di avviare un altro ciclo. Il metodo serve soprattutto a restare focalizzati su quello che si è deciso di portare avanti, ma ha anche il vantaggio di sostituire il senso di passare del tempo, che può provocare ansia, con un’idea di progresso misurabile del lavoro.
La frammentazione guida anche il metodo del Time Chunking, che si ispira all’attività compiuta normalmente dal nostro cervello per memorizzare. Pensiamo, per esempio, a come si impara a memoria un numero di telefono: in genere organizzando le cifre per gruppi, non certo imparando la sequenza numero per numero. Secondo gli esperti, i migliori risultati di apprendimento si hanno dividendo le informazioni in gruppi di 3, che è considerata la dimensione ideale del chunking. Trasformando le informazioni e le attività in pezzi le rendiamo più gestibili, col risultato di affrontarle senza stress e quindi usando le nostre energie in modo efficace.
Parlando di efficacia, bisogna tener presente che siamo tutti diversi e che i metodi che spingono a cominciare a lavorare alle 5 del mattino sono utili per chi ha il suo “picco energetico” molto presto. La suddivisione in “allodole” e “gufi” ha basi scientifiche ben accreditate, ed è importante fare le cose giuste al momento giusto, cioè quando il nostro corpo lavora meglio, cosa che non necessariamente coincide con le prime ore del mattino. Impostare dei confini è una buona tattica, per fare time chunking con successo è necessario definire non soltanto per quanto ma anche quando si devono fare le cose. Lasciare all’ultimo “blocco di tempo” della giornata l’attività che ci piace di meno, ma che sappiamo richiedere tutta la nostra attenzione, non è una buona idea...
Uno dei gesti più naturali, quando si hanno molte cose da tenere sotto controllo, è fare una lista. Si tratti di fare la spesa o di invitare parenti e amici a un evento, il metodo è sempre quello, elencare “gli oggetti” uno dopo l’altro. Quando si tratta di organizzazione del lavoro, purtroppo questo modo è assolutamente sbagliato, perché senza le informazioni di priorità, valore e stima si rischia soltanto di aumentare il senso di confusione e l’ansia per l’enorme numero di cose da fare.
Una to do list (lista delle cose da fare) davvero utile è breve, omogenea (che non mischia impegni personali e professionali), organizzata sulla linea del tempo (che non mette insieme cose da fare entro la settimana con impegni a lunga scadenza) e soprattutto ordinata per priorità. Quest’ultima indicazione si può ricavare applicando la "matrice di Eisenhower" che classifica le cose in 4 tipologie:
Conoscere le priorità permette di filtrare gli elementi su cui concentrarsi ed eliminare quelli che non meritano la nostra attenzione. In questo modo la lista resta scarna e non ci si sente sopraffatti dalle cose da fare, perché come spiega David Allen, ideatore del metodo GTD - Getting Things Done®, le checklist servono soprattutto a capire di che cosa non è necessario preoccuparsi.
Il metodo GTD per imparare a fare bene le cose 18 min
Getting Things Done
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