
Paura di avere paura
Impara ad accettare la paura come parte della vita
9min

Impara ad accettare la paura come parte della vita
9min
Episodi di Paura di avere paura
La puntata di oggi dà il titolo alla serie: paura di avere paura. Il titolo è nato così, da un brainstorming con Alessandro Ossola, fondatore e presidente di Bionic People, che aveva in mente di proporre il tema della paura. Abbiamo iniziato a mettere in fila diverse paure: da quelle più profonde ad alcune maggiormente legate alla quotidianità dell’essere una persona con disabilità motoria.
Eppure ce n’era una che le collegava tutte. Sì perché oggi la paura più grande è palesare il fatto di avere paura. In un mondo estremamente prestazionale, è difficile avere paura condividendolo serenamente.
Se hai paura, un po’ te ne devi vergognare.
Raccontiamo noi stessi attraverso il mondo digitale inseguendo un successo dopo l’altro. Io la chiamo l’era della GoPro, la telecamerina che si mette sopra il casco: se fai un salto di 40 metri con doppio avvitamento pubblichi il video ma se cadi, no. Peggio: se vai a fare una passeggiata nel bosco, la telecamera in testa non te la metti proprio perché quella non è una roba che merita di essere raccontata, troppo banale, poco distintiva.
In questa continua escalation di ricerca di effetti wow e hype, diventa veramente difficile essere pienamente noi stessi e quando ci capita di doverci confrontare con qualcosa che ci mette in difficoltà, meglio non raccontarlo per non dare l’impressione di essere deboli. Quando forse, l’unica impressione che daremmo è quella di essere normali.
Sempre più spesso capita che alcuni atleti di grido raccontino di aver avuto episodi di depressione, attacchi di panico, di dipendere da specialisti che non solo lavorano rinforzando le capacità mentali ma in alcuni casi operano sul disagio, sullo stress accumulato da un mondo che è difficile sopportare: gli sponsor, i risultati, il team, la nazionale, il mondo che guarda, i giornali che scrivono, gli hater che scrivono le peggio cose e via discorrendo.
La magia dell’essere inseriti in un contesto privilegiato finisce in tempo zero e non c’è nulla che possa ripagare quello stesso sforzo. Nel piccolo capita anche a noi: attanagliati dal tutto, immersi nella dimensione del fare, perdiamo l’essere e a volte anche il saper essere.
Qualche anno fa, il campione di basket dei Milwaukee Bucks della NBA, Giannis Antetokounmpo, in una conferenza stampa che ha fatto il giro del mondo ha detto che il fallimento non esiste.
Lo ha detto dopo che la sua squadra, campione in carica, un team costruito per ripetersi anno dopo anno, è uscita dai playoff al primo turno contro una squadra con meno mezzi per poter raggiungere l’obiettivo finale di diventare detentrice dell’anello.
Ha detto che il fallimento non esiste ma che quello era solo uno step.
Che la sconfitta possa rappresentare un elemento utile per il risultato successivo, è una grande verità, ma dobbiamo sfatare diversi miti. Il primo è che la sconfitta sia una maestra ogni volta che si palesa. Non è così.
Cadi sette volte rialzati otto, dicono i saggi. Vero. Ma se da terra non prendi qualcosa che ti può essere utile, cadrai ancora e ancora e questo non è migliorare ma perseverare nell’errore. La sconfitta è tale, va accettata per quello che è: una battuta d’arresto. Va studiata, sviscerata, capita e deve rappresentare la base per una nuova ripartenza: per farlo devo raccogliere quanti elementi possibile, devo capire cosa è andato storto, lavorando su quell’elemento. Altrimenti, mi ritroverò da capo.
Il fallimento esiste, esiste eccome e quell’episodio ce lo racconta con chiarezza: negare l’esistenza del fallimento non eviterà il fallimento in futuro. Ci regalerà, invece, un concetto ben più forte: la coincidenza tra l’aver fallito ed essere dei falliti, cosa che assolutamente non dobbiamo fare.
Negare a noi stessi l’esistenza stessa della paura di fallire, è un fallimento dichiarato. Non possiamo controllare tutto, possiamo provare a controllare il massimo numero di elementi possibile ma c’è e ci sarà sempre un margine di imprevedibilità in tutto quello che accade a noi e a chi sta intorno a noi, amici, parenti, colleghi e avversari.
La paura di avere paura è l’avamposto perfetto per il fallimento, per la sconfitta. Essere consapevoli non significa infatti non avere paura, significa sapere che possiamo viverla e andiamo bene lo stesso: il paradosso è che più siamo consapevoli della possibilità di vivere la paura e meno questa si paleserà. Se lo farà, sapremo di poterla gestire e questa impatterà nella misura giusta nelle nostre vite.
La paura di avere paura cresce a dismisura nel nostro tempo. Anticipa i tempi. Il disagio giovanile arriva sempre prima, sempre più rapidamente, in età sempre più anticipata: prima arriva e meno strumenti abbiamo per poterla gestire, sia da un punto di vista delle competenze sia da un punto di vista emotivo.
Avere paura di avere paura ci racconta diversi disagi. Non saper navigare tra le emozioni, ad esempio, perché se temiamo di raccontarci per quello che siamo non solo non diamo a ciò che proviamo il giusto nome ma, pur consapevoli di ciò che proviamo, evitiamo di dirlo a noi stessi e agli altri, pensando che questo ci protegga. In realtà il disagio scava e affonda il dito nella marmellata dell’emozione, facendola affiorare più e più volte.
Gli studi delle aziende che si occupano di formazione e certificazione sulle competenze emotive, ci dicono che il dato del quoziente emotivo, l’equivalente del quoziente intellettivo ma per le emozioni, sono in continuo calo. Le competenze emotive sono scarse, in diminuzione soprattutto nei maschi rispetto che nelle femmine, a livello globale. Una certa povertà emotiva può causare danni incalcolabili, anche peggio di un calo dell’intelligenza cognitiva: serve una maggiore alfabetizzazione e soprattutto serve sempre di più un lavoro di diffusione di consapevolezza sui limiti.
Non abbiamo bisogno di supereroi, non abbiamo bisogno di vittime. I limiti e le paure non sono illusioni ma grandi realtà: dobbiamo viverle per quello che sono, attraversarle e ascoltare storie che ci dicono che siamo così diversi e anche così uguali. Che lo stesso limite lo viviamo in milioni, che la stessa paura la condividiamo e quindi pesa meno, che non dobbiamo avere paura di avere paura: possiamo avere paura e da lì possiamo partire per un viaggio allo scoperta dell’essere umano che più di tutti può capitalizzare quell’emozione e renderla utile, non bella, funzionale, non superata.