I pilastri dell'apprendimento efficace (Parte 1)
Impariamo ad imparare, tramite un metodo scientifico
14min
Impariamo ad imparare, tramite un metodo scientifico
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Episodi di Vince chi impara
La capacità di apprendere nuove informazioni è un requisito fondamentale tanto nella vita scolastica e universitaria quanto nel mondo del lavoro, lo abbiamo detto, ma non è qualcosa che si può improvvisare: bisogna avere un metodo. Diventa necessario “imparare ad imparare”, e per farlo la strada da seguire è una sola, quella della scienza.
Più precisamente, i meccanismi che stanno alla base dell’apprendimento sono stati studiati in maniera approfondita dalle scienze cognitive, e si tratta di un ambito che molti guru sedicenti “esperti” ignorano completamente.
Per esempio, si sente dire spesso che il metodo di studio è “soggettivo”, una frase con cui potrei anche essere d’accordo, se non fosse che viene strumentalizzata per arrivare a delle conclusioni che sono in assoluto contrasto con l’evidenza scientifica. Mi spiego meglio. È chiarissimo che ogni essere umano è unico e ha delle caratteristiche che lo distinguono da tutti gli altri, ma questo non nega il fatto che, alla radice, le nostre strutture cognitive di base sono esattamente le stesse.
Questo è vero tanto sul piano mentale quanto su quello fisico, pensa al salto in alto: a prescindere dalla tua altezza, dal tuo peso o dal colore dei tuoi capelli, se salti all’indietro (alla Fosbury, per capirci) vai più in alto, punto.
È una questione di biomeccanica del corpo, e se qualcuno viene a dirti che le persone con i capelli ricci vanno più in alto saltando in avanti evita di assumerlo come preparatore atletico, perché non sa di cosa sta parlando.
Questo ovviamente non significa che non si possano esplorare diverse tecniche, varianti e personalizzare il proprio approccio all’apprendimento, ma prima di farlo bisogna assolutamente avere chiare le basi, i pilastri che stanno alla base dell’apprendimento efficace.
C’è chi ama la matematica alla follia e a chi viene mal di pancia al solo sentirla nominare anche se non va più a scuola da decenni; chi si immerge di continuo in culture e lingue diverse e chi fatica anche solo con l’inglese: abbiamo tutti le nostre preferenze, passioni, livelli di competenza diversi, argomenti che stimolano la nostra curiosità più di altri, ma i pilastri sono sempre gli stessi, sempre uguali, a prescindere da tutto.
Quindi, prima di entrare nel merito della “personalizzazione” nello studio, è bene capire a fondo quali sono questi principi, e imparare a sfruttarli per rendere più efficace il proprio apprendimento.
Nel corso delle prossime tre puntate ne sviscereremo sei insieme, ogni puntata ospiterà due principi fondamentali con altrettante applicazioni pratiche. Oggi cominciamo con la distribuzione dell’apprendimento (spacing) e la gestione della concentrazione, il focus. Basta ciance, buttiamoci nella mischia.
Uno dei concetti più importanti da capire, anzi, forse il più importante in assoluto quando ci si approccia al mondo dell’apprendimento efficace è quello dello “spacing”, ma prima di spiegare che cosa sia voglio introdurre il suo “gemello cattivo”, il “cramming”.
Anche nel caso in cui tu sia un lavoratore, sono sicuro che nella tua vita da studente ti sarai ritrovato il giorno prima di una verifica, o addirittura la mattina stessa, a leggere e rileggere capitoli di storia o letteratura, cercando di ricordare il maggior numero di informazioni possibile sperando di trattenerle abbastanza a lungo da migliorare la performance durante la prova. Ecco, questo approccio di studio matto e disperato dell’ultimo minuto, in estrema sintesi, è il cramming.
Se sei uno studente universitario ti sarà probabilmente capitato di ritrovarti a due settimane dall’esame a ingurgitare concetti su concetti, magari prendendo anche un buon voto, ma se ti chiedessi qualcosa a distanza di un paio di mesi, molto probabilmente ricorderesti poco o nulla. Questo perché il cramming, per quanto diffuso, e per quanto presenti effettivamente qualche vantaggio nel breve termine, non è il modo più efficace di apprendere.
Arriviamo quindi al già citato “spacing”.
Sì, perché se vuoi assorbire davvero un argomento, se vuoi farlo tuo al punto di non dover continuamente ripescare le informazioni dalle pagine dei libri e averlo bello solido nella memoria a lungo termine, devi rendere lo “spacing” la tua modalità principale di studio.
Che cosa significa? Significa che se invece di concentrare 10 ore di studio di diritto civile o di fisiopatologia nella stessa giornata le distribuisci 5 oggi e 5 domani, i tuoi livelli di comprensione e la tua capacità di ricordare informazioni aumenteranno notevolmente.
Se lo studio è spalmato nel tempo, intervallato da pause, il cervello riesce a metabolizzare i concetti con maggior efficacia, perché avrà modo di creare collegamenti con altre informazioni, acquisire familiarità con i nuovi argomenti, consolidare la memoria durante il sonno (che è fondamentale!), tutta una serie di processi che non possono avvenire se si ammassa tutto lo studio in poche sessioni di durata indefinita.
Quindi meglio mezz’ora al giorno per una settimana che 3 ore e mezza tutte in una volta, chiaro il concetto? Lo stesso vale per il ripasso, che in realtà va inteso come parte integrante dell’apprendimento.
Ci tengo a sottolinearlo, perché anche se si tratta di un’attività che porta via poco tempo può davvero fare la differenza nel consolidamento della memoria a lungo termine.
Facciamo un esempio pratico, sei un adulto che ha deciso di imparare l’inglese perché vuole cominciare a viaggiare più spesso e esplorare il mondo, e ti ritrovi a studiare la tabella dei verbi irregolari, uno strumento che è essenziale padroneggiare completamente se si vuole costruire una base solida nell’apprendimento della lingua.
Ecco, oltre ad evitare di studiare l’intera tabella in un giorno, ma distribuirla nel tempo, è bene stabilire anche dei ripassi programmati – o “spaced repetitions”.
Oggi hai imparato 5 nuovi verbi? Benissimo, prima di andare a dormire ripassali velocemente. Il giorno successivo, prima di continuare con la tabella, ripassa nuovamente quei 5 verbi, e stabilisci degli intervalli fissi per rinfrescarti la memoria. Inizialmente potrebbe essere una volta a settimana, poi magari una volta al mese giusto per controllare di averli ancora ben chiari.
Lo stesso può valere per un brano che stai imparando alla chitarra, al pianoforte o qualsiasi altro strumento di cui ti sei appassionato: devi dare il tempo al cervello di interiorizzare i movimenti, le posizioni delle mani e così via, quindi lo “spacing” è davvero centrale.
Tra l’altro studiare per troppe ore di fila può essere controproducente perché la nostra capacità d’attenzione è limitata ai cosiddetti “ritmi ultradiani”, dei cicli di circa un’ora e mezza oltre i quali mantenere la concentrazione diventa praticamente impossibile.
Ed è proprio la gestione della concentrazione il secondo pilastro dell’apprendimento, dobbiamo capire come funziona e come sfruttarla per rendere efficiente il nostro studio.
Attenzione e concentrazione vanno a braccetto, e sui principi che stanno alla base del funzionamento di questi fenomeni si potrebbe discutere per ore, ma c’è un concetto che è assolutamente imprescindibile: il coinvolgimento attivo.
Se ti capita di pensare a cosa mangerai per pranzo mentre il professore spiega in classe o stai seguendo un corso di formazione online, probabilmente è perché stai avendo un approccio passivo.
Magari scrivi una parola ogni tanto sul foglio per dare l’impressione di star seguendo, ma in realtà non stai ponendo la minima attenzione ai concetti spiegati, non ti stai facendo domande, non stai cercando di stimolare la tua stessa curiosità.
Lo so, lo so che a volte i professori sono noiosi e chi tiene corsi non è sempre efficace nel presentare gli argomenti in modo interessante, ma dobbiamo essere noi i primi a cercare di portare tutte le nostre risorse verso ciò che stiamo cercando di apprendere, dobbiamo concentrare le nostre energie ed essere focalizzati.
Attenzione però, essere focalizzati in ciò che si studia è un processo che non va confuso con il fantomatico “stato di flow”, che probabilmente avrai già sentito nominare: quella condizione di “imperturbabilità assoluta” in cui tutto ci viene naturale e niente e nessuno è in grado di distrarci.
Mi dispiace fare il guastafeste, ma quando impariamo qualcosa di nuovo è inevitabile sentire un certo grado di fatica, di “attrito”, perché a livello cerebrale viene prodotto un neurotrasmettitore chiamato “epinefrina”.
Quindi l’obiettivo non è diventare monaci zen con un autocontrollo totale, ma semplicemente avere un atteggiamento attivo, andare a fondo quando si studia un concetto, provare a fare degli esempi per renderlo più concreto e reale … Insomma, non dovete accontentarvi di arrivare alla fine di un capitolo per mettervi la coscienza a posto e illudervi di aver effettivamente imparato qualcosa.
Oltre ad avere una partecipazione attiva, argomento che approfondiremo nella prossima puntata insieme al testing, per aumentare la concentrazione bisogna assolutamente rimuovere dal proprio ambiente di studio qualsiasi fonte di distrazione. Immagina di essere tutto concentrato ad imparare come funziona Adobe Premiere perché hai deciso di interessarti al video-making, stai iniziando a capire qualcosina sulle basi del montaggio e … tac, notifica di Instagram.
Certo, puoi sempre ignorarla, ma la tua attenzione ora non è più focalizzata, e ci vorrà un po’ prima che possa tornare ad esserlo. Quindi niente smartphone nella stanza dove si studia, ci vuole ordine e gli unici oggetti presenti sulla scrivania devono essere funzionali allo studio.
La tua mente deve divagare il meno possibile, le tue energie devono essere tutte rivolte alla comprensione del testo che hai davanti o del software che stai imparando ad utilizzare … e quindi niente multitasking, mi sembra chiaro: una cosa alla volta e fatta bene! Inoltre, dicevamo prima che mantenere una concentrazione assoluta per periodi indicativamente più lunghi di un’ora e mezza diventa controproducente, e rischia di compromettere l’efficacia del nostro studio.
Questo perché per apprendere al meglio sono altrettanto importanti i momenti di riposo per il cervello, che così ha il tempo di metabolizzare per bene le informazioni, è lo stesso principio che sta alla base dello “spacing”. In particolare, la famosa professoressa Barbara Oakley, esperta di apprendimento nonché creatrice dell’utilissimo videocorso “Learning how to learn” (“Imparare ad imparare”) distingue tra due tipi fondamentali di attenzione: quella diffusa e quella focalizzata.
L’attenzione focalizzata è appunto quella modalità di concentrazione estrema in cui ci scervelliamo per comprendere a fondo un argomento particolarmente difficile, o quando per esempio siamo alle prese con un esercizio di algebra più complesso del solito e stiamo impiegando ogni cellula della nostra materia grigia per trovarne la soluzione. L’attenzione diffusa entra in gioco quando invece la mente è rilassata, viene lasciata libera di vagare e creare connessioni, letteralmente, anche sul piano neuronale.
Ti è mai capitato di avere un’idea geniale quando sei sotto la doccia a massaggiarti la testa per fare uno shampoo? Ecco, è merito dell’attenzione diffusa! Entrambe sono importantissime: una serve a capire i dettagli, l’altra a creare un quadro generale della situazione, una impiega tutte le risorse a nostra disposizione, l’altra ci permette di ricaricare le energie, sono due facce della stessa medaglia.
Proprio sulla base di questo principio nasce il concetto di “interleaving”, un effetto per cui alternare argomenti diversi, che appartengano però allo stesso “macro-tema”, diciamo, migliora l’efficacia dell’apprendimento.
Per esempio, riprendendo l’ambito dell’apprendimento linguistico, potete alternare gli esercizi di grammatica a quelli di lessico, così da unire l’efficacia sia dell’attenzione diffusa che di quella focalizzata. A mio avviso, però, il miglior modo per organizzare le proprie “sessioni di apprendimento” è la cosiddetta “Tecnica del Pomodoro”, uno strumento tanto semplice quanto efficace. In cosa consiste?
Fondamentalmente nell’alternare a 25 minuti di attenzione focalizzata 5 minuti di attenzione diffusa, o, detto in parole semplici, 25 minuti di studio o lavoro a 5 minuti di pausa, in cui puoi rilassarti andandoti a bere un bicchiere d’acqua, stiracchiandoti o sciogliendoti inesorabilmente sulla poltrona, decidi tu.
Per metterla in pratica basta un semplicissimo timer da cucina o una delle tante applicazioni per smartphone, e un altro punto di forza di questa tecnica è la sua versatilità: non si tratta infatti di tempi assoluti, ma adattabili alle necessità e preferenze personali di ciascuno. Esiste il “pomodoro doppio” (50 minuti di studio, 10 di pausa), il “pomodoro intermedio (35 e 7) … insomma, sperimenta e scopri lo stile con cui ti trovi meglio!
Ovviamente, dopo 3 o 4 “pomodori” fai una pausa più lunga, di mezz’ora o addirittura un’ora se la sessione di studio è stata particolarmente intensa. Infine, come ultima “chicca neuroscientifica” prima di salutarci, vi voglio parlare di una cosa chiamata “flusso ottico”. “Flusso ottico? Ma cosa diavolo c’entra la vista con l’apprendimento”?!
C’entra invece, le due cose sono estremamente collegate, e infatti riposare la vista è un ottimo modo per riposare il cervello in generale e prepararlo a tornare a studiare. E come si fa a riposare la vista?
Beh, semplicemente andando a fare una passeggiata e lasciando che il paesaggio “scorra sulla nostra retina” invece di stare con gli occhi fissi sul cellulare a scrollare la bacheca di Instagram … o per dirla in maniera più “scientifica”, entrando in flusso ottico.
Eh sì, tutto questo pippone per dirti di andare a camminare per imparare meglio. Bene, di informazioni in questa puntata credo di averne date abbastanza … continueremo con gli altri “pilastri dell’apprendimento efficace” nella prossima! A presto!
di 3