I pilastri dell'apprendimento efficace (Parte 3)
Imparare è cambiare per sempre se stessi
12min
Imparare è cambiare per sempre se stessi
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Episodi di Vince chi impara
Te lo ricordi cosa abbiamo detto nella primissima puntata di questo podcast? Abbiamo parlato del fatto che quando impariamo qualcosa non solo cambiamo noi in relazione a quello che impariamo, ma imprimiamo anche un cambiamento nella materia stessa.
Questo perché il rapporto tra noi e le nostre fonti di informazione non è (o almeno, non dovrebbe essere) sterile, ma un rapporto di dialogo, di scambio, di interazione. Dobbiamo sporcarci le mani ed immergerci a pieno nei concetti che incontriamo, entrare in relazione con le materie di studio in modo dinamico e produttivo.
Non è una via a senso unico, non è un’accettazione passiva di nozioni ma uno scambio in cui il nostro atteggiamento deve essere il più proattivo possibile, ho sottolineato spesso l’importanza di questo concetto, soprattutto nella scorsa puntata.
Dei sei pilastri dell’apprendimento efficace ne abbiamo visti quattro finora, oggi ti parlerò degli ultimi due, che hanno come punto centrale proprio la “relazione” tra noi e ciò che studiamo, ovvero la “curiosità” e la “rielaborazione”.
Non solo dobbiamo imparare a stimolare il nostro interesse verso nuovi argomenti, ma è fondamentale abituarsi a farli propri, rendere il processo di apprendimento una scoperta anche di sé stessi, se vogliamo vederla in chiave più filosofica. Scopriremo come trasformarci da semplici fruitori di informazioni a produttori, divoratori, ricercatori, investigatori di informazioni. E vedremo perché questa trasformazione ci renderà tutto più facile, efficace e rapido.
Cominciamo.
Ormai avrete capito quanto per me sia essenziale che i principi del proprio apprendimento siano ben radicati nella scienza, e allora oggi iniziamo parlando proprio di uno studio scientifico fatto alla Stanford University … su dei bambini dell’asilo!
Questi bambini, come chiunque alla loro età, amavano disegnare. Disegnavano per il semplice gusto di farlo, senza che nessuno dicesse loro nulla o li ricompensasse regalandogli dei giocattoli o qualche dolcetto. Ma, ahimè, dei ricercatori brutti e cattivi decisero di consegnare ai bambini una stellina d’oro in cambio dei loro disegni, o qualche tipo di premio. Lo fecero per un po’ di tempo e poi … tac, niente più stelline!
E secondo voi quale fu l’effetto di tutto ciò? Beh, che i bambini passavano meno tempo a disegnare, non trovavano più la stessa soddisfazione perché avevano cominciato ad associare quello che prima era un piacere intrinseco ad una ricompensa esterna.
Per essere ancora più “scientifici” potremmo dire che questa soddisfazione è collegata alla produzione di un particolare neurotrasmettitore chiamato “dopamina”, ma penso che il concetto sia comunque chiaro: una motivazione che arriva esclusivamente da cause esterne è estremamente fragile, quindi bisogna allenarsi a trovare la propria “motivazione intrinseca”. Uno studente che decide di iscriversi a medicina per compiacere il padre che è primario in un ospedale difficilmente riuscirà ad affrontare con successo sei anni di studio, e in ogni caso è improbabile che viva l’università come un’esperienza positiva.
Ti ricordi la definizione che abbiamo dato di apprendimento alla fine della prima puntata? Ti do una rinfrescata alla memoria:
Imparare è l’atto di applicare strategie, tecniche, atteggiamenti per acquisire, modificare o sviluppare conoscenze e competenze in risposta a un obiettivo (interno o esterno) e per cambiare in relazione ad esso.
Interno o ESTERNO, per l’appunto.
Spesso la motivazione per imparare qualcosa viene da un qualche tipo di obbligo, che siano le verifiche a scuola, un esame da superare o qualche corso di aggiornamento che siamo costretti a seguire dall’azienda per cui lavoriamo. Ed è ovvio che sia impossibile studiare esclusivamente per piacere personale, come è ovvio che tutti noi abbiamo delle inclinazioni verso alcune discipline rispetto ad altre, questo è un dato di fatto e non è assolutamente mia intenzione negarlo.
Ma è possibile farci piacere qualcosa che proprio non ci va a genio o che siamo costretti a imparare per cause esterne a noi? Beh, se hai ascoltato la scorsa puntata ricorderai che persino io che consideravo il calcio lo sport più noioso al mondo sono riuscito a cominciare ad apprezzarlo almeno un po’, quindi sì, è possibile stimolare la propria curiosità e quindi la propria motivazione intrinseca.
Un po’ di sforzo va fatto, questo è certo, ma l’abbiamo già detto innumerevoli volte: non esiste apprendimento reale senza sforzo. Il primo consiglio pratico che ti do, e che non mi stancherò mai di ripetere, è quello di approfondire! Sì, perché quando si conosce qualcosa solo superficialmente è difficile poterne davvero cogliere i dettagli interessanti, le sfumature che potrebbero invece farci appassionare o quantomeno incuriosire un pochino.
Questo non vale solo nel mondo dello studio scolastico e universitario, ma anche in quello del lavoro.
Puoi essere un cameriere che si limita a fare la lista dei piatti del giorno in modo automatico e robotico o puoi cercare di descrivere ogni singola pietanza facendo venire l’acquolina in bocca al cliente al solo sentirti parlare della pasta allo scoglio che mangerà di lì a poco. Se lavori in un negozio che vende prodotti per animali, potresti studiarti per filo e per segno le esigenze delle particolari razze di cane o di gatto e trovare così più soddisfazione nella semplice “vendita di merci”.
Poi certo, niente può sostituire un innato e profondo amore per una certa materia o argomento, ma fidati che conoscere meglio qualcosa spesso ha delle conseguenze positive sulla propria percezione: ti dà la possibilità di scoprire nuove chiavi di lettura! La seconda dritta, molto collegata alla prima, è di ritrovare quello spirito di “piacere della scoperta” che da bambini faceva andare fuori di testa i nostri genitori a furia di domande su qualsiasi cosa: “ma perché il cielo è azzurro?”, “e perché il fuoco è caldo?”, “che cos’è la teoria della relatività di Einstein?” … No ok, magari a quel livello non ci arrivavamo a cinque anni, ma avete capito il concetto.
Non pensare di sapere già tutto, ma prova comunque a stimolare la tua capacità di osservazione e di ragionamento formulando delle ipotesi. Stai imparando a suonare la chitarra? Guarda i movimenti delle tue mani, chiediti perché si tengono in una certa posizione, senti come cambiano i suoni pizzicando le corde con le dita invece che con le unghie, scopri nuovi modi di fare la stessa cosa e cerca di capire quando è più utile uno e quando è più utile un altro… Insomma, non dare nulla per scontato: è difficile annoiarsi quando stai continuamente sviluppando nuove strategie e soluzioni!
Questo processo può essere reso ancora più interessante se vengono coinvolti amici o persone che condividono la stessa passione (o lo stesso fardello, a seconda della situazione), aggiungendo così occasioni di confronto e magari anche di sfida; a patto però che la presenza degli altri non diventi una condizione necessaria, perché in quel caso si torna al discorso della motivazione intrinseca e rischia di diventare controproducente. Un altro stratagemma che si può adottare per darsi una piccola scarica di motivazione è sfruttare l’enorme vastità di contenuti presente su internet.
Video su YouTube, articoli, divulgatori di ogni tipo che incarnano a pieno il concetto di “infotainment”, ovvero l’intrattenimento unito al passaggio di informazioni. Puoi essere un ragazzo delle superiori che si affaccia per la prima volta alla chimica organica o un pasticciere che vuole aumentare il proprio livello di competenza, sicuramente troverai qualcosa che ti renderà meno pesanti le difficoltà della disciplina che devi affrontare. Attenzione a non passarci ore però, altrimenti ci si ferma a quello e non sarà servito a nulla: dev’essere un trampolino di lancio per portarti al secondo pilastro dell’apprendimento di oggi: la rielaborazione.
Ora che abbiamo capito come scatenare curiosità e motivazione, come cambiare la nostra prospettiva, le nostre reazioni e noi stessi in relazione a quello che vogliamo o dobbiamo imparare, vediamo come e perché sia il caso di trasformare e cambiare anche quello che stiamo imparando.
Sì, perché essere motivati non basta, e per un apprendimento efficace bisogna sfruttare il principio di “encoding”, che possiamo sintetizzare come la codifica profonda delle informazioni frutto di rielaborazione personale, ragionamento e integrazione con conoscenze pregresse, contrapposta alla semplice memorizzazione “a pappagallo”.
Tutti ci siamo ritrovati nel corso della nostra carriera scolastica a dover imparare qualcosa a memoria, per esempio una poesia o una formula matematica. È ovvio che se imparo delle frasi o sequenze numeriche senza capirne a fondo il significato o la loro applicazione pratica, la traccia che rimarrà nella memoria sarà molto debole.
Bisogna quindi “filtrare” i concetti attraverso il nostro modo di pensare, collegarli ad altri che già conosciamo, sintetizzare, riorganizzare e riutilizzare le informazioni per produrre qualcosa di nostro. Quando ascolti una canzone che ti emoziona e ti fa venire in mente un evento particolare della tua vita è probabile che il testo ti rimanga impresso, questo per la forte correlazione che esiste tra il ricordo e il coinvolgimento attivo, in prima persona. Ora, mi rendo conto che difficilmente un’equazione di secondo grado avrà lo stesso effetto, ma non è quello il punto.
Ciò che è cruciale è che durante il processo di apprendimento si “facciano propri” gli argomenti studiati, possibilmente sfruttando diversi canali e modalità, questo per il principio di “dual coding”.
Che cosa significa, in parole povere? Significa che quando le informazioni vengono rappresentate sia in forma verbale che visuale le ricordiamo e comprendiamo più facilmente.
Quindi un consiglio pratico per rendere più efficace il tuo studio è quello di preferire gli schemi ai riassunti, proprio per questo motivo. Gli schemi hanno anche il vantaggio di poter essere un supporto migliore al ripasso, sono più immediati e sfruttano bene il dual coding. Esistono migliaia di tipi di schemi: mappe mentali, mappe concettuali, schemi lineari, schemi complementari, diagrammi … bisogna conoscere lo stile giusto di schema per ogni tipologia di argomenti.
È chiaro che insegnarti a schematizzare tramite un podcast non è proprio semplicissimo, quindi per quello ti rimando ai miei video su YouTube e ai miei videocorsi, posso però insegnarti una modalità di rielaborazione famosissima ed efficacissima: la “Tecnica di Feynman”. Questa tecnica viene descritta per la prima volta dal biografo di Feynman, che durante le sue ricerche rimane impressionato dal modo in cui il famoso fisico preparava i suoi esami all’università di Princeton.
Quello che Feynman si era creato era più di un metodo, si trattava di un vero e proprio “modello mentale”: voleva imparare a un livello quasi ossessivo, decostruiva i problemi che stava affrontando, riorganizzava le sue conoscenze, faceva schemi e, soprattutto, immaginava di insegnare ad altri le conoscenze che stava consolidando. Gli step da seguire per applicarla sono fondamentalmente 4, ma c’è una specie di “step zero” che consiste nell’approcciare ciò che si deve imparare come una sfida, in modo attivo e coinvolto come ho enfatizzato più volte nel corso di queste puntate. Dopodiché bisogna prendere un foglio e identificare chiaramente l’argomento centrale del proprio studio, scrivendo un titolo preciso. Può sembrare un passaggio banale da quanto è semplice, ma quando si schematizza non è così insolito perdersi nei dettagli, quindi è necessario concentrare la propria attenzione solo sulle cose importanti. Se in un test la domanda è “quando è stata scoperta l’America” non puoi rispondere raccontando la storia di Colombo e le caravelle, devi scrivere semplicemente “1492”, chiaro il concetto?
Ed ecco che arriviamo allo step 2, il cuore vero e proprio della “Tecnica di Feynman”: una volta individuato l’argomento esplicitamente devi immaginare di spiegarlo a qualcuno che non ne sa assolutamente nulla, e non solo, qualcuno che per di più non ha ancora sviluppato a pieno le proprie risorse cognitive ed ha una soglia dell’attenzione estremamente bassa: un bambino.
Sarai quindi costretto ad utilizzare un linguaggio semplice, immediato, con metafore ed esempi che siano in grado di rendere tutto estremamente facile da comprendere e mantenere l’attenzione del bambino. Il terzo passaggio consiste nel rileggere ciò che si è scritto per individuare eventuali lacune ed errori, sistemandoli riguardando il materiale e integrando le informazioni finché la spiegazione non è perfezionata in ogni suo aspetto. Infine, con lo step 4 si passa all’azione e si impersonifica il professore sviluppando una vera e propria narrazione.
Lo si può fare da soli o esercitarsi davvero spiegando l’argomento ad amici o familiari; in questo modo si ripassa, si testano le proprie conoscenze e si cementa il ricordo. A mio modo di vedere, la tecnica di Feynman è il singolo strumento più potente ed efficace di comprensione e rielaborazione mai pensato.
Non ha paragoni in termini di efficacia, non si discute. L’unico problema è la sua lentezza, che la rende difficile da applicare regolarmente nel proprio metodo di studio, ma rimane un’arma importantissima da avere nel proprio “arsenale”, su questo non c’è dubbio.
Così siamo arrivati alla fine del viaggio all’interno dei sei pilastri dell’apprendimento efficace. Mi raccomando, non limitarti ad ascoltare le mie parole ma sperimenta, prova sulla tua pelle e divertiti mettendo in pratica le informazioni che ti ho dato … Noi ci sentiamo nella prossima puntata!
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