Bentornati a The Bull for 4books. Oh, rieccoci qua, dopo aver parlato nell'ultimo episodio di cosa sono gli ETF e del fatto che saranno gli elementi di base del nostro portafoglio, ora cerchiamo di capire come metterli insieme in maniera sensata. Per capire come impostare un portafoglio di investimento che abbia un senso per la maggior parte degli investitori individuali, che poi può essere adattato in base alle specifiche esigenze di ciascuno, bisogna intanto comprendere due concetti che sono quelli di diversificazione e di correlazione. Dopo l'ultimo episodio dovreste aver capito che investire in ETF è una buona idea per eliminare il rischio specifico, diversificando il mio investimento su un elevato numero di titoli che fanno parte di un certo mercato, così da evitare sia che il fallimento di un singolo titolo abbia un impatto massivo sul capitale investito, sia che possa perdermi il grande exploit di un altro.
Questo è un tipo di diversificazione. Poi c'è la diversificazione tra diverse asset class, che serve per bilanciare il rapporto tra rischio e rendimento del mio portafoglio. Mentre il rischio che deriva dall'investire per esempio in una singola azione, in una singola obbligazione, si chiama appunto il rischio specifico e si può eliminare con la diversificazione, il rischio proprio di una certa asset class, ossia il fatto di investire in azioni, in obbligazioni o in qualcos'altro, si chiama rischio sistematico. Mentre assumersi un maggiore rischio specifico non implica un maggior rendimento atteso, un investimento con un rischio sistematico maggiore ha per definizione un rendimento atteso superiore. Questa cosa è molto importante da capire.
L'obiettivo nella costruzione del nostro portafoglio sarà quindi quello di ottimizzarne la composizione così da ottenere ciò che viene chiamato portafoglio efficiente, cioè che massimizza il rendimento atteso per un certo livello di rischio sistematico che mi voglio prendere. Per ottenere questo risultato imposteremo allora il nostro portafoglio diversificandolo tra diverse asset class, con l'obiettivo di bilanciare i rischi sistematici propri di ciascuna di esse e di raggiungere il rendimento atteso desiderato. Adesso vediamo come, ma prima introduciamo l'altro concetto che è quello di correlazione. Per comprendere se l'inserimento di due asset class nel nostro portafoglio fornisca un'effettiva diversificazione dobbiamo capire il loro livello di correlazione, si dice appunto, cioè quanto questi due asset si muovono in maniera fine, in maniera neutra l'uno rispetto all'altro o in maniera completamente divergente. Per esempio le azioni delle grandi società americane sono molto correlate alle azioni dei paesi europei, mentre sono poco correlate con i titoli di stato, con le materie prime e con i fondi monetari. Sapere questa cosa ci permette di capire che un portafoglio composto unicamente da azioni americane e azioni europee non è particolarmente diversificato, perché probabilmente in un momento positivo entrambi andranno bene, mentre in un momento negativo soffriranno entrambe. Invece costruire un portafoglio composto da azioni di diverse aree del mondo, titoli di stato ed eventualmente materie prime significa impostare un portafoglio realmente diversificato attraverso asset class tra loro poco correlate.
È però importante fare una precisazione, più un portafoglio è diversificato, meno sarà rischioso, almeno in linea di principio, e questo succede perché ciascun asset class a turno, come dire, darà il proprio contributo mentre le altre si troveranno magari in un momento di debolezza. Allo stesso tempo però, più diversifichiamo il portafoglio con l'obiettivo di ridurre al minimo la sua componente di rischio, minore sarà il rendimento atteso, e qui subentra l'aspetto soggettivo della costruzione del portafoglio, ossia l'idea di impostarlo in maniera tale da armonizzare il rapporto tra rischio e rendimento con le mie specifiche esigenze. Ora, per capire come mescolare insieme gli ingredienti per cucinare il nostro portafoglio cominciamo facendoci un'idea di quale sia stato il rendimento storico delle principali asset class e il relativo livello di rischio.Diciamo che i rendimenti storici dei principali mercati azionari globali si attestano in un ordine di grandezza compreso tra l'8 e il 10% medio all'anno e sono piuttosto volatili, che significa che alcuni anni vanno benissimo e altri malissimo, e in finanza rischio e volatilità sono spesso usati come sinonimi. I titoli di Stato o di livello investment grade hanno invece riportato mediamente dei rendimenti nell'ordine del 3-4% all'anno, con un basso livello di volatilità perché sono molto più stabili. L'oro invece, che forse è la materia prima più usata negli investimenti finanziari, ha un rendimento storico mediamente superiore ai titoli di Stato, ma con un'alta volatilità e un comportamento fondamentalmente indipendente dalle altre asset class.
Una volta che abbiamo compreso queste informazioni di carattere generale sull'andamento storico di azioni, obbligazioni e soprattutto dell'oro tra le varie materie prime, e una volta che abbiamo capito il loro livello di rischio sistematico, possiamo tirare le seguenti conclusioni. Maggiore è la componente azionaria del mio portafoglio, maggiore sarà la sua volatilità e maggiore il rendimento atteso, mentre maggiore la componente obbligazionaria, minore sarà la sua volatilità e quindi minore il rendimento atteso. Per quanto riguarda l'oro invece, lo lasciamo momentaneamente da parte e lo riprenderemo più avanti per spiegare il ruolo particolare che può avere.
Il cuore della stragrande maggioranza dei portafogli di investimento è infatti costituito da prodotti azionari e obbligazionari, con un mix variabile in base al livello di rischio e rendimento atteso che si vuole ottenere. L'idea di base è che le azioni producano storicamente un rendimento maggiore, ma al prezzo di dover sopportare anche lunghi periodi di crisi. Per questa ragione si cerca tipicamente di bilanciare la volatilità delle azioni con l'inserimento nel portafoglio di strumenti obbligazionari, che rendono in media di meno, ma allo stesso tempo dovrebbero rendere il valore del portafoglio più stabile nel tempo.
Ciò che potreste chiedervi a questo punto è, ma perché dovrei rinunciare al rendimento supplementare delle azioni solo per avere una minore volatilità, dato che nel lungo termine le azioni sono l'asset class più redditizia di tutte? Ottima domanda, vecchia come la finanza e ciclicamente ricorrente nei dibattiti sull'argomento. Direi che ci sono almeno due buone motivazioni. La prima è di natura psicologica. Affrontare momenti di crisi che periodicamente si ripresentano non è semplice. A meno che tu abbia molta consapevolezza e sangue freddo, inevitabilmente vedere il valore del tuo portafoglio che scende brutalmente anche per lunghi periodi può essere molto stressante e portare a prendere decisioni sbagliate. La seconda è di natura concettuale. In teoria le azioni hanno sempre reso più delle obbligazioni, ma per definizione il futuro è incerto e il premio a rischio dell'investimento azionario si basa proprio sul fatto che un rischio ci deve essere, cioè se fosse zero il rischio, non ci sarebbe neanche un rendimento ulteriore. Le probabilità sono in favore dell'investitore paziente, ma non si può mai sapere per quanto tempo il mercato azionario andrà male o come cambieranno le esigenze nella tua vita, magari obbligandoti a mettere mano al tuo portafoglio in momenti inattesi. Quindi inserire obbligazioni è un modo per contenere il rischio di dover improvvisamente liquidare i tuoi investimenti mentre sono in una fase negativa.
E allora potreste chiedermi, ma perché le obbligazioni riducono la volatilità del portafoglio? Grazie per la domanda. Tra le varie motivazioni, anche qui due sono quelle principali. La prima è che le obbligazioni, in particolare quelle governative di paesi con alto rating, sono considerate investimenti sicuri, cioè hanno un rendimento relativamente prevedibile legato alle cedole che pagano e poi sono un tipo di asset in cui gli investitori si rifugiano quando c'è una crisi finanziaria. La seconda è che quando si presenta una grave crisi economica, come per esempio la grande recessione del 2008-2009 o anche durante il recente lockdown dovuto al covid, le banche centrali cercano di stimolare la ripresa abbassando i tassi di interesse, così da agevolare i prestiti, gli investimenti, l'acquisto delle case e via dicendo. Come sappiamo già, quando i tassi di interesse vengono abbassati, il valore delle obbligazioni sale. Nelle fasi di recessione economica le azioni tenderanno quindi a perdere valore, mentre le obbligazioni aumenteranno di valore, riducendo quindi l'impatto negativo di una crisi dei mercati azionari.
A questo punto si tratta di capire in che proporzione inserire ETF azionari ed ETF obbligazionari nel portafoglio. Una regola classica di asset allocation, nota almeno dagli anni ‘60, suggerisce di inserire nel portafoglio una percentuale di azioni equivalente a 100 o meno i propri anni. L'idea naturalmente è che più tempo si ha a disposizione, più ci si potrà permettere di sopportare l'ampia volatilità dei rendimenti azionari, sapendo che nel lungo termine tenderanno a convergere verso valori medi superiori a quelli delle altre asset class. Man mano che invece il tempo passa, sarebbe opportuno ridurre la quota azionaria a favore di un più stabile, anche se meno redditizio, portafoglio obbligazionario. In linea di principio questo approccio si basa sul buon senso e conserva la sua dignità anche oggi. Ci sono però tre problemi. Il primo è che non tiene conto della variabilità degli obiettivi che una persona può avere nella vita e che il portafoglio di investimento deve aiutare a conseguire, ma si basa unicamente sull'idea che investire serva a costruire un patrimonio da utilizzare lontano nel tempo una volta che si è in pensione. Il secondo è che non considera come un portafoglio fortemente obbligazionario diventi molto rischioso quando ci si imbatte in un lungo periodo di alta inflazione, che può comportare una fase protratta di rialzo dei tassi di interesse, richiedendo anche diversi anni prima che il valore del portafoglio recuperi. Il terzo è che questa formula non si adatta a una delle variabili macroeconomiche più importanti per il mercato, ossia i tassi di interesse delle banche centrali. Un conto è infatti avere una certa quantità di obbligazioni in portafoglio con tassi di interesse relativamente elevati. Un altro è averne quando ci sono tassi di interesse prossimi allo zero, come è successo per esempio dal 2009 al 2021. Quando i tassi sono molto bassi, l'economia a un certo punto si surriscalda, l'inflazione aumenta e le banche centrali devono per forza alzare i tassi di interesse, facendo sprofondare il valore delle obbligazioni. E così viene meno il beneficio offerto dall'avere obbligazioni in portafoglio per proteggerlo quando le azioni vanno male.
Negli anni, studiando decine di testi di finanza personale, ho notato che i suggerimenti che venivano dati in materia di asset allocation variavano a seconda della situazione dei tassi di interesse vigenti nel momento in cui ciascun testo veniva scritto. Il più delle volte ho visto asset allocation conservative in epoche con tassi di interesse relativamente alti, ad esempio tra gli anni ‘70 e ‘80, e invece versioni più aggressive in periodi con tassi molto bassi, come dal 2009 in poi. Per tutte queste ragioni propongo una variazione della formula originaria e una relativa procedura di adattamento del portafoglio. La prima cosa da fare è capire appunto questo adattamento della formula. La formula propone di investire in strumenti azionari una percentuale del portafoglio equivalente a 125, meno i tuoi anni, meno i tassi di interesse della Federal Reserve o della Banca Centrale Europea, moltiplicati per 5. Dato che i tassi delle due banche centrali sono spesso allineati e che questa formula serve solo per dare un'indicazione di massima, una vale l'altra. Per esempio se oggi i tassi della Banca Centrale Europea sono al 4% e io ho 38 anni, la formula direbbe che dovrei considerare di investire in azioni una percentuale del mio capitale uguale a 125-38-20 uguale 67%, così che il restante 33% vada in obbligazioni. Questa regoletta dovrebbe aiutare a impostare il portafoglio in base a principi di buon senso, tra cui adattare la componente azionaria all'orizzonte temporale di riferimento, evitare di sovrappesare la componente obbligazionaria in un periodo di tassi molto bassi e infine avere una linea guida di riferimento a cui attenersi man mano che nel tempo le percentuali dell'asset allocation si modificheranno seguendo ciò che accadrà sui mercati, così da poter ribilanciare il portafoglio di conseguenza. Una volta individuata l'asset allocation si tratta di adattare la formula alla specifica situazione di ciascuno. Il consiglio generale che mi sento di dare è di fare un double check e di concentrarsi soprattutto sul valore della parte obbligazionaria che viene fuori da questo calcolo. Considerate che almeno nel momento in cui sto registrando un ETF sui titoli di stati europei rende circa il 3% lordo all'anno. Valutate quindi se la quota obbligazionaria che in base alla formula vi ritroverete tra 2, 3, 5 anni e così via, vi fa stare sufficientemente tranquilli, considerando il risparmio medio che mensilmente verserete nel portafoglio e questo rendimento più o meno del 3% all'anno, altrimenti la formula va adattata di conseguenza.
L'adattamento si basa sull'idea di avere in obbligazioni la quantità minima di patrimonio che si ritiene idonea per affrontare eventuali esigenze finanziarie di medio periodo, degli imprevisti non gestibili con il fondo di emergenza e più in generale per garantire serenità. Se ci si dovesse rendere conto che la parte obbligazionaria sia quella meno volatile del portafoglio e troppo contenuta e si teme che possa non garantire un sufficiente margine di sicurezza, allora si può valutare di avere fin dall'inizio un asset allocation meno esposta verso l'azionario. Se invece si dovesse pensare il contrario, ossia che il fondo di emergenza, il reddito e la situazione debitoria personale siano tali da permettere di avere un portafoglio dal profilo potenzialmente più rischioso, allora si può valutare di ridurre la parte obbligazionaria a favore di quell'azionario. Bisogna però fare attenzione a una cosa molto importante. Siccome il rendimento azionario è in media superiore a quell'obbligazionario, normalmente un portafoglio tende nel medio-lungo termine a far aumentare la componente azionaria rispetto a quell'obbligazionaria. Mentre invece ci saranno situazioni di crisi intense, come nel 2008, in cui molto velocemente il valore della parte azionaria crollerà nettamente e quell'obbligazionario assalirà. Questi sono i due motivi principali per cui serve un'importante attività di manutenzione del portafoglio, che viene chiamata ribilanciamento. Ribilanciare significa modificare l'asset allocation per riportarla al bilanciamento desiderato. Molto banalmente, una volta che uno ha definito che per la propria vita e per la propria situazione finanziaria in generale è opportuno una certa asset allocation, allora di tanto in tanto è opportuno sistemare il portafoglio.
È importante sottolineare che il ribilanciamento non è un'attività volta a migliorare le performance del portafoglio, quanto piuttosto a bilanciarne i rischi. Ad esempio potresti aver valutato che il tuo portafoglio ideale, perlomeno nel medio termine, non dovrebbe avere più del 50% in azioni, ma ad un certo punto quella quota potrebbe aumentare, così per evitare di assumerti più rischio di quanto vorresti, andrebbe ridotta in uno dei seguenti modi. O investendo per un certo periodo solo in obbligazioni, finché non viene ristabilita la proporzione desiderata, oppure vendendo una quota di strumenti azionari e comprando una quota corrispondente di strumenti obbligazionari. Chiaramente la seconda soluzione potrebbe non essere quella ottimale, perché la vendita di un asset finanziario implica il pagamento dell'imposta sul capital gain, mentre la prima non prevede il pagamento di alcuna imposta. Al contrario può accadere di dover ribilanciare il proprio portafoglio durante shock e crisi di mercato. In questo genere di situazioni è più tipico che avvenga il processo inverso, ossia che si vada a incrementare la parte azionaria a discapito di quella obbligazionaria.
Durante tre degli ultimi quattro grandi shock del mercato, le banche centrali sono intervenute tagliando i tassi di interesse per dare stimolo all'economia. In quelle fasi, mentre i mercati azionari erano crollati, le obbligazioni hanno tendenzialmente acquistato valore, per via del principio secondo cui quando i tassi di interesse scendono, i prezzi delle obbligazioni in circolazione salgono. In situazioni di questo tipo la quota azionaria del tuo portafoglio probabilmente scenderà mentre quella obbligazionaria salirà. Teoricamente i momenti migliori per investire in azioni sono proprio le fasi peggiori delle crisi finanziarie, quando i prezzi scendono notevolmente e quindi i rendimenti attesi futuri aumentano. Per fare un esempio, il momento migliore in assoluto degli ultimi decenni per investire in azioni sarebbe stato il marzo 2009, quando i mercati toccarono il loro minimo a seguito della crisi finanziaria innescata nei due anni prima dalla grave crisi immobiliare esplosa negli Stati Uniti. Ovviamente più facile a dirsi che a farsi eh. In primo luogo perché è molto difficile intuire quando il mercato ha effettivamente toccato il fondo. Durante una crisi in corso non è possibile sapere se il crollo si arresterà a meno 10, a meno 20 o a meno 40% o anche peggio come è successo in quel caso. E non è semplice nemmeno capire quando il mercato ricomincerà davvero a recuperare o se un certo recupero sia solo un fuoco di paglia temporaneo. Indovinare il timing corretto per fare determinate operazioni di investimento è molto complicato e il più delle volte non riesce nemmeno gli investitori professionali. Così come è quasi impossibile sapere in anticipo quando sia il momento di vendere prima di una crisi, allo stesso modo è molto difficile intuire quale sia il momento giusto per aumentare i propri investimenti in vista di una futura ripresa. Il miglior consiglio che si può dare è probabilmente quello di attenersi al proprio piano, ragionare su orizzonti lunghi, mettere al sicuro le risorse finanziarie per gli obiettivi di breve-medio termine e quindi ribilanciare il portafoglio senza troppa paura quando i mercati vanno giù e allo stesso tempo senza troppa euforia quando i mercati vanno su. Per quanto controintuitivo possa sembrare, può essere costoso cercare di prevedere l'andamento del mercato azionario e prendere decisioni di investimento sperando di indovinare il timing giusto per comprare e vendere. È un fatto noto ad esempio che se facendo dentro e fuori dal mercato negli ultimi 20 anni mi fossi perso anche solo i 10 giorni più positivi, ciò mi sarebbe costato metà dell'intero patrimonio perché il mercato non ha un andamento costante ma tende a fare degli strappi molto intensi in periodi di tempo molto concentrati.
Per come la vedo, un investitore non professionista non deve fare scommesse sull'andamento dei mercati né in realtà ha un reale interesse a farlo. La cosa più importante è invece scegliere un asset allocation coerente con i nostri obiettivi orizzonti temporali e che in ultima istanza ci faccia dormire bene la notte. Per questo episodio è tutto e ci ritroviamo nel prossimo in cui vedremo qualche esempio di portafoglio famoso e dei criteri per scegliere una banca o un broker per investire. A presto!