Personal Branding per imprenditori
CEO e manager dovrebbero costruire la propria reputazione online
20min
CEO e manager dovrebbero costruire la propria reputazione online
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Raramente si associa il personal branding, ossia il considerare se stessi come un brand con tutto quello che comporta, a imprenditori, CEO, amministratori delegati, manager. E questo perché si crede che chi è a capo di un’azienda oppure occupa un ruolo di spicco non ne abbia particolare bisogno perché è una persona particolarmente in vista e che si sposta tantissimo o perché si affianca a un ufficio stampa e/o un’agenzia di comunicazione che fanno sì che l’imprenditore o il manager in questione sia lì dove dovrebbe essere.
Eppure, nel mondo attuale, in cui conta diffondere la cultura aziendale, in cui c’è un gran confrontarsi su determinate tematiche legate alla leadership e ai vari stili di leadership, al modo di far collaborare le proprie persone così come al gestire il lavoro, l’imprenditore può e deve avere un ruolo chiave, anche nel modo di farsi trovare e conoscere in Rete. E questo perché a lui è legata l’immagine aziendale e quello che si riflette all’esterno, ma anche quanto si riesce a comunicare all’interno.
Non curare i propri canali di comunicazione - LinkedIn in primis, ma non solo questo e non solo online - vuol dire, per chi fa impresa, non far conoscere la propria attività di imprenditore e il proprio modo di condurre gli affari così come non condividere valori e proposta di valore della propria azienda. E, a cascata, vuol dire non approfittare di occasioni importanti per far conoscere la propria impresa stessa.
Prima di vedere come un imprenditore o un manager possano agire al meglio per costruire il proprio brand personale, è comunque doveroso fare un passo indietro e soffermarsi su cosa vogliano dire davvero queste due parole al giorno d’oggi.
Anche a chi mastica poco l’inglese, è evidente come il personal branding sia un concetto che va molto oltre la traduzione letterale, di “marca personale”.
Volendo dare una definizione ampia e dettagliata, non possiamo che rifarci a Luigi Centenaro, specialista del Personal Branding in Italia e ideatore del Personal Branding Canvas, oltre che autore di diversi libri in merito:
“Il personal branding è l’arte di costruirsi un nome nel proprio settore, è il modo con cui potete promuovervi partendo da ciò che vi rende unici e degni di nota. Consiste nel mettere a punto e nel comunicare la ragione per cui un cliente o un datore di lavoro dovrebbero scegliere proprio voi: un passo decisivo, quindi, per attivare delle opportunità professionali importanti”.
Connessa al personal branding è sicuramente la parola reputazione, online e non, come cioè gli altri ci percepiscono e l’immagine che si sono creati di noi. Percezione che, come sappiamo, a volte è anche più importante della realtà.
Ecco perché bisogna lavorare in modo che come ci vedono gli altri non sia differente da chi siamo e cosa facciamo. Oltre al come lo facciamo.
Fare personal branding, infatti, non vuol dire limitarsi a postare sui social media, farsi fare una recommendation su LinkedIn (quando, cioè, qualcuno con cui abbiamo lavorato dice come si è trovato, in cosa siamo particolarmente bravi e quali progetti abbiamo portato avanti). Vuol dire avere una strategia definita prima di affacciarsi alla Rete, e che vale anche offline. Solo dopo averla delineata si può decidere che tipo di canali presidiare e anche il modo in cui farlo.
E da che parte iniziare? Per iniziare a pianificare, bisogna avere chiaro chi si è, quali sono le proprie caratteristiche, in che modo si è già conosciuti, il proprio network ma anche il proprio tipo di clientela.
L’Analisi SWOT
In questa direzione va uno strumento mutuato dal marketing che si chiama Analisi SWOT dove la S sta per strenghts (forza), la W per weakness (debolezza), la O per opportunities (opportunità) e la T per Threats (minacce).
Cosa vuol dire? Che rispetto a un obiettivo fissato - come può essere diventare il punto di riferimento per un determinato settore, autorevole per un campo specifico ecc. - si può partire con il prendere un foglio di carta da suddividere in 4 quadranti (o rifarsi alla versione online dello strumento) e dire quali sono i propri:
Per fare un esempio, un punto di forza potrebbe essere la capacità di gestire team particolarmente numerosi, di contro un punto di debolezza non essere particolarmente costante nell’aggiornare i profili social media. Questo porta già a un’azione: usare uno strumento come il calendario editoriale per far sì che il proprio modo di comunicare avvenga con una certa frequenza.
Non sono rari i casi in cui si inizia a curare la propria presenza online pubblicando in maniera assidua 2-3 post a settimana su LinkedIn e su Facebook per poi arrivare a uno al mese.
Una soluzione alternativa che prendono in considerazione molti manager è di affidare la gestione della presenza online a qualcun altro. Cosa ovviamente consigliabile ma qui ci rivolgiamo a un imprenditore che voglia presidiare i suoi canali e che, se e quando non possa agire in modo operativo, possa almeno contribuire a delineare la propria strategia.
Tornando all’analisi SWOT e agli esempi, nel quadrante delle opportunità potrebbe essere inserito l’aumento dell’interesse da parte della gente verso un determinato aspetto del proprio business (per esempio le scarpe da ginnastica su misura). Oppure il fatto che c’è sempre più interesse da parte delle persone nei confronti di una leadership diversa da quella tradizionale. Un imprenditore che voglia portare avanti un altro modo di guidare le persone, magari puntando sul condividere una visione, può cogliere questo interesse ravvivato come un’opportunità da far incrociare con quello che è un suo punto di forza, magari proprio la leadership di cui parlavamo.
Quanto alle minacce, tornando all’esempio delle scarpe, può non essere sicuramente positivo il fatto che ci siano diverse aziende che riescono a produrle a costi più bassi. Tornando all’esempio della leadership, tra le minacce, ci può essere il fatto che in un periodo come quello che stiamo vivendo, per le persone può essere più attraente lo stipendio o la garanzia di un contratto che il modo in cui l’azienda viene guidata (cosa con cui, comunque, dovranno avere a che fare successivamente, ma che magari in questo momento non percepiscono).
Come si può ben vedere, tutti i quadranti dell’analisi SWOT sono collegati tra di loro e consentono, rispetto a un obiettivo prefissato - come costruire il proprio personal branding riguardo a determinati temi - di fare un’analisi a tutto tondo.
Va da sé che per arrivare lì dove si vuole bisogna avere bene in mente il proprio pubblico di riferimento e ricordare che un buon leader può essere tale se punta tutto sulla relazione. E sul costruire una relazione che sia valida, autentica. Come ricordano Nick Cowley e Nigel Purse nel libro “5 Conversations” basare una relazione sulla conversazione vuol dire gettare le basi per il successo delle future interazioni. E questo con i membri del proprio team, ma anche, guardando all’esterno, con colleghi e stakeholders con cui successivamente si può arrivare, visto che si conversa, a parlare di argomenti che non sono strettamente legati alla propria professionalità.
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Molto importante per delineare la strategia è anche il Personal Branding Canvas, inventato da Luigi Centenaro che a sua volta è basato sull’approccio Business Model You®, sviluppato da Tim Clark. Si tratta di un modello che racchiude in diversi blocchi il processo di branding da attuare per individuare quella che è la propria promessa di valore (il valore che offri ai tuoi clienti ma anche chi lavora con te) e come svilupparla per ottenere visibilità, rispetto e autorevolezza.
Andando ancora più nello specifico, è un template in cui sono previsti diversi blocchi che bisogna compilare per avere una rappresentazione di punti cruciali che aiutano a individuare il modo in cui un brand, e in questo caso una persona, può rivolgersi al proprio pubblico. Ed è dal pubblico che, come accennavamo, bisogna iniziare il processo di costruzione del branding per poi proseguire ragionando su: competenze, identità e così via.
Fatto questo, il Personal Branding Canvas presuppone che pensi a come ti differenzi e come comunichi la tua “promessa” (di valore, si intende) pensando al posizionamento e ai concorrenti. L’ultima parte riguarda il “ROI”, ritorno sull’investimento che risponde alla domanda: sei efficace o stai sprecando risorse? Obiettivo puntato dunque sui risultati e sugli investimenti.
L’analisi SWOT e il Personal Branding Canvas servono a fare avere le idee più chiare e a capire come e che tipo di contenuti comunicare.
Se i propri valori sono chiari e guidano le proprie azioni, per esempio si possono anche condividere articoli di altri e commentarli in modo che sia evidente il proprio punto di vista ed evitare di essere troppo autoreferenziali. Una buona soluzione per fornire un contenuto interessante senza puntare troppo l’obiettivo su se stessi, ma facendo capire perché lo reputi importante per le persone che ti seguono.
È possibile fare questo tramite i social media, come LinkedIn, la pagina Facebook oppure tramite Twitter. Tenendo a mente un aspetto molto importante che emerge da una ricerca condotta da BrandFog nel 2016 - ma tuttora valida - sui CEO: chi non fa engagement, quindi non coinvolge il proprio pubblico tramite i social media, stando al 68% degli intervistati diventa meno rilevante in un mondo digitale.
In tutto questo c’è da ricordare un altro aspetto di cui parla Simon Sinek nel suo libro “Start with why”: il perché è il nostro credo che si deve affiancare al come, ossia alle azioni che facciamo per realizzarlo mentre il cosa è il risultato di queste azioni. Il perché dovrebbe essere sempre alla base e un imprenditore che vuole costruire il suo personal branding dovrebbe ragionarci sempre prima di produrre un qualsiasi contenuto online e offline. Quando, infatti, il perché, il come e il cosa sono allineati, ci ricorda Sinek, riusciamo a guadagnare fiducia.
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Se abbiamo chiaro tutto questo, possiamo decidere contenuto e contenitori di quello che vogliamo condividere con gli altri in modo che siano in primo luogo utili e che ci aiutino a rafforzare la nostra reputazione online. Come imprenditore, ma anche manager puoi per esempio aprire un blog all’interno del tuo sito aziendale, magari facendoti aiutare da un copywriter, in modo che tu riesca ad aggiornarlo costantemente.
Un'altra soluzione è puntare sui guest post, ossia un contenuto da ospite, su un blog altrui di un partner con cui collabori, di un’azienda che fa parte del tuo network o anche di un blogger che tratta temi affini al tuo settore. O ancora scrivere un articolo che venga pubblicato su un giornale online, tenere costantemente una rubrica che può essere appunto scritta o magari all’interno di un podcast, di una radio o di una TV.
O tornando a LinkedIn, sfruttare LinkedIn publishing, che è il blog di LinkedIn. Ti basta, quando sei sul tuo spazio bianco della homepage, cliccare su “scrivi un articolo” ed entrare nell’editor di LinkedIn che permette di inserire immagini, mettere grassetti, corsivi, fare citazioni come quote e altro ancora, come se fosse un blog. E ha anche una particolarità: qualsiasi articolo scritto su LinkedIn viene indicizzato su Google oltre a essere visibile sul proprio profilo. Inoltre, si possono vedere quante persone l’hanno letto, di quali aziende e con quale ruolo. Un ottimo modo per costruire quella relazione di cui parlavamo e “fare conversazione”.
Ma i contenuti non devono per forza essere scritti: se hai una propensione per le immagini e i video brevi, potresti optare per Instagram e scegliere di fare delle Stories con una cadenza una volta a settimana su un determinato tema.
Per chi pensa che Instagram non sia il canale adatto per gli imprenditori, un esempio che smentisce questa considerazione è dato da Renzo Rosso, sì, il fondatore di Diesel, il cosiddetto “genio del jeans”. Nel momento in cui scriviamo, il suo account ha 175 mila follower e il CEO di una delle aziende italiane più famosa al mondo usa il social per raccontare il suo lavoro, anche la sua vita privata, ma anche condividere riflessioni sulla situazione attuale con video su IGTV.
Un altro canale interessante è Twitter, l’information network per eccellenza. Chi punta sul personal branding per essere sempre presente e fornire contenuti di attualità, ma anche in tempo reale e per creare conversazioni, deve sicuramente tenerlo in considerazione. Tra i CEO che lo utilizzano ampiamente c’è Richard Branson, il fondatore di Virgin Group che parla delle sue imprese, fornisce consigli e che proprio sul social, nell’aprile scorso, ha pubblicato una lettera aperta ai suoi dipendenti. Come fare employer branding oltre al personal branding.
Quello che emerge, come vedi, è che il contenuto serve a dare informazione, non a vendere direttamente e che tu abbia chiaro prima a chi ti rivolgi e poi decida che strumenti usare. Inoltre, cerca di mantenere un tuo stile personale: se hai chiaro chi sei e cosa fai, come imprenditore, anche se stai muovendo i primi passi in quello che viene chiamato content marketing, hai sicuramente una tua unicità. Cerca di farla arrivare anche agli altri.
In parte l’abbiamo detto sopra: grazie al blog di LinkedIn puoi dire la tua opinione e “fare informazione” senza che tu debba comprare un dominio, aprire un sito e così via.
Ma non solo: il social network è uno strumento che ti permette di promuoverti partendo dai tuoi valori sì, ma facendo vedere anche le tue competenze, le passioni e tanto altro ancora. Questo a partire dalla creazione del tuo profilo. Ci sono imprenditori che pensano che questa azione non sia necessaria e non si debba prestare particolare cura nella compilazione del profilo perché tanto “non stanno cercando lavoro”. E invece questa considerazione è sbagliata.
Il profilo, a partire dal summary - che è il breve testo iniziale che tutti leggono - deve essere curato in ogni sua parte, far capire qual è stato il tuo percorso e anche come lavori. È quello che ti differenzia e che, quando vieni cercato su Google o su LinkedIn stesso, fornisce le prime informazioni a chi vuole saperne di te perché magari ti ha visto a un evento, ha letto un’intervista o è andato sul sito della tua azienda.
Ecco perché bisogna mettere subito una foto in primo piano (ci sono ancora tantissimi profili, anche business, che non ce l’hanno) e una foto di copertina che faccia capire in cosa consiste la tua attività professionale.
LinkedIn è poi utilissimo proprio come social media anche se molti pensano non sia così. È fondamentale dunque postare con una certa frequenza contenuti di valore e adatti al tuo target, comprese anche le attività strettamente collegate al tuo business (ma non esagerare per non essere autoreferenziale) ma che allo stesso tempo tu partecipi a cosa fanno gli altri. Commentando e fornendo il tuo punto di vista, dando ulteriori spunti, consigli, partecipando ai gruppi… Ci vuole tempo, lo sappiamo, ma è tutto proficuo per creare il tuo personal branding.
Più partecipi mostrando cosa sai e cosa fai, più contribuisci a diventare autorevole nel settore che ti interessa. Inoltre, hai modo, così, di comunicare a chi ti segue quali sono le cose in cui credi e come lavori con le tue persone o i partner.
In questa direzione per esempio va Luca Foresti, CEO del Centro Medico Sant’Agostino, centro medico polispecialistico con diversi sedi in Lombardia e che a breve approderà anche a Roma. Nei suoi post si leggono contenuti sulla sua attività, ovviamente, ma anche che hanno a che fare con il mondo del lavoro e dell'innovazione che sta portando avanti.
Oltre a LinkedIn e ai social media in genere, come abbiamo accennato, non trascurare il sito aziendale che è pur sempre la tua casa e puoi gestirlo come meglio desideri. Altro consiglio che ci sentiamo di darti per aumentare il tuo personal branding è di prevedere dei momenti di incontro con il tuo pubblico “diversi”.
Un esempio? I webinar. Organizzare degli appuntamenti in rete in cui tu affronti un determinato argomento può essere un ottimo modo per potenziare il tuo personal branding. Il webinar può anche durare mezz'ora ed essere gratuito: se tu sei esperto di un determinato argomento vedrai che il pubblico sicuramente parteciperà. In tal senso, per esempio, lavora HPE che insieme ai suoi partner organizza vari webinar nell’ambito di HPE Innolab: si parla di sicurezza, di cloud e altri temi che sono legati al contesto in cui opera l’azienda.
Ancora, può essere una buona idea scrivere un e-book su un argomento ben specifico e invitare, tramite una newsletter, gli iscritti a scaricarlo. O realizzare una trasmissione podcast con una certa frequenza. Sono solo alcuni degli “altri canali” che puoi utilizzare. Quel che conta è che, quando decidi di iniziare a usarne uno, venga aggiornato con costanza. Meglio cominciare con poco e farlo bene che presidiare tutto per una settimana e quella successiva annaspare.
E ancora, relativamente all’uso della voce e alla ricerca di canali alternativi, i podcast aziendali sono altrettanto importanti in ottica di personal branding per l’imprenditore. Permettono di costruire una relazione più immediata e anche più concreta, oltre a trattare tematiche che, attraverso l’ascolto, possano fare più presa di un contenuto scritto o “accompagnarlo”.
Da non dimenticare sono poi i canali offline come per esempio la partecipazione a una TED Conference, ma in generale qualsiasi evento in pubblico in cui non si parli solo della propria azienda - anzi - ma anche di tematiche che non sono a essa strettamente collegate.
Come per esempio ha fatto e fa Oscar di Montigny, Chief Innovability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum, che attraverso i suoi canali online e offline parla di innovative marketing, comunicazione, di principi della “Economia 0.0” in cui coniuga, come si legge sul suo profilo YouTube, “business e management con filosofia, arte e scienza”.
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