Realizza la tua idea ragionando come una startup
Non rinunciare alla tua idea innovativa perché non sai come iniziare
12min
Non rinunciare alla tua idea innovativa perché non sai come iniziare
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Episodi di Exit: toolbox per startup
La mitologia dei garage sparsi nella Silicon Valley, ma anche la stessa auto-narrazione di chi ce l’ha fatta, ci fanno pensare come la nascita di idee dalla portata dirompente siano state tutte questioni di un attimo, di un’illuminazione. Ma è davvero così? Davvero, se le nostre idee fossero minimamente valide, dovremmo già averle confezionate nello spazio di un’intuizione? Certo che no.
Ce lo conferma anche Marc Randolph, co-fondatore di Netflix, che nel libro "Non funzionerà mai" ci dice: “La verità è che per ogni buona idea, ce ne sono almeno mille pessime. E a volte può essere difficile dire quale sia la differenza”.
Anche nel caso di Netflix, infatti, come l’autore racconta, «l’idea non è venuta tutta in una volta, in un momento di ispirazione divina, non è arrivata bella pronta, perfetta da realizzare, come una visione chiara e precisa. Meglio diffidare di chi parla di “illuminazione”: le migliori idee non nascono all’improvviso, si insinuano lentamente, gradualmente, complice il tempo. E infatti, spesso capisci che hai avuto una buona idea dopo mesi che ha bussato alla porta della tua immaginazione».
Insomma, uno degli ingredienti fondamentali per far uscire un sogno dal cassetto in cui lo abbiamo riposto è il tempo, il secondo è la perseveranza. Ogni volta che le nostre idee falliscono, infatti, possiamo fare una scelta: possiamo arrenderci, tornando allo status quo che abbiamo lasciato, oppure rifiutarci di farlo ed inseguire fino in fondo i nostri sogni. Certo, il conformismo sociale è un luogo caldo e accogliente e – per contro – un’idea interessante non porta nessuna garanzia di successo, ma se non siamo noi i primi a crederci, non funzionerà mai.
Netflix: un'idea che si trasforma in un successo 21 minNon funzionerà mai
È molto facile che accada che l’idea di cui ci siamo innamorati e abbiamo sviluppato con dedizione, una volta sul mercato o applicata nella propria azienda oppure messa in pratica da noi stessi, non abbia il successo che pensavamo avrebbe avuto: questo accade perché, come una startup, il modello di business non può essere stabilito a priori, ma deve adattarsi al cliente e le sue esigenze reali.
Possiamo allora adottare il modello customer development proposto da Steve Blank e Bob Dorf nel libro "The Startup Owner's Manual": i due, esperti di Lean Development, sostengono che il modo migliore per procedere per una startup (e quindi un’innovazione) sia quello di testare rapidamente le idee e apportare correzioni quasi in tempo reale. Nella pratica, dobbiamo andare oltre la perfezione ideale del nostro progetto e metterla alla “prova del consumatore”: se – ad esempio – vogliamo riorganizzare il processo produttivo aziendale, dobbiamo proporre l’adozione di nuovi comportamenti da parte dei nostri dipendenti e poi osservare il cambiamento indotto, chiedendo dei feedback. Una nuova idea non può esimersi dal confronto per avere successo; questo ci porta al prossimo punto.
Trasformare una startup in una grande impresa 12 minThe Startup Owner's Manual
Sempre Blank e Dorf ci aiutano a comprendere un altro punto fondamentale: «un passo indietro non è un fallimento, ma l'unico modo per continuare a imparare».
Non ci sono certezze per chi sviluppa un’idea nuova perché, semplicemente, questa non era mai stata realizzata prima: nessun business plan teorico né alcuna gestione già stabilita può reggere il confronto con la realtà; per questo i feedback devono essere sollecitati continuamente, la prova sul campo dev’essere immediata e ripetuta.
«L'abilità di imparare dai passi falsi è ciò che contraddistingue una startup di successo» Questo dovrà essere il vostro mantra, ma non solo a parole: la vostra idea dovrà essere riadattata e rivista tutte le volte che sarà necessario, pena il fallimento. Spesso, infatti, in molti sbandierano questo motto e – a parole, appunto – siamo tutti concordi nell’affermare che il fallimento è il miglior maestro; altra faccenda è poi affrontarlo nella realtà e reagire nel modo giusto.
Dal gestire la critica di un dipendente fino allo scoprire che la propria grande idea imprenditoriale non è così grande, reagire nella direzione giusta non è semplice: dobbiamo ricordarci allora di tornare “al via”, proponendo una seconda versione della nostra idea e sottoponendola nuovamente alla “prova del consumatore”. Raccogliere dati, insuccessi e critiche è realmente l’unico modo valido per arrivare a configurare un’idea nella sua resa pratica migliore: non è facile, ma ne vale la pena.
Attenzione, però, a non mettere troppa carne al fuoco: ancora una volta Blank e Dorf ci danno le giuste indicazioni. «Ovviamente l'ottimizzazione si ottiene per tentativi, ma attenzione: anche se fare test online è estremamente facile, non bisogna mettere alla prova più di due modifiche alla volta, per evitare di confondere i visitatori e per poter capire quale variazione abbia determinato il miglioramento».
Un altro aspetto fortemente sottovalutato dalla narrazione dell’uomo geniale al comando di imprese è l’importanza di lavorare in un team coeso, fatto da persone che godono della nostra completa fiducia. Il processo creativo non è forse migliore quando passa per il confronto con un’altra mente brillante? E, più semplicemente, in tutte le aziende del mondo, non si fanno forse continui brainstorming per trovare soluzioni a ogni tipo di problema?
A darci man forte nel sostenere quest’ultimo punto arriva Taiichi Ohno, l’ingegnere che ha trasformato il sistema produttivo della Toyota: nel suo libro "Lo spirito Toyota" ci racconta la storia dell’impresa di cui è stato protagonista.
La crisi petrolifera del 1973 aveva messo in ginocchio le economie mondiali, Giappone incluso, ma solo due anni dopo – nel 1975 – la Toyota faceva parlare di sé: in controtendenza rispetto all’intero panorama industriale globale, l’azienda stava crescendo. Ecco che la tecnica di produzione “just in time” e l’idea di Lean Production, cuore del Toyota Production System, diventarono materia di studio per chiunque volesse imparare a gestire un’azienda.
«Una squadra vincente combina un buon lavoro di gruppo con le capacità e il talento dei singoli».
Ohno non evidenzia la portata della sua idea come decisiva, ma pone grande attenzione al contesto della squadra di lavoro: «Ognuno deve conoscere il funzionamento di più macchine, poter intervenire in qualsiasi momento e sentirsi sempre un pezzo indispensabile di un puzzle collettivo. Poiché il lavoro in officina viene inteso come coordinamento e coinvolgimento di tutti i singoli, è importante che coloro che insegnano le procedure sappiano farlo nel migliore dei modi».
E ancora: «i lavoratori devono collaborare tra di loro, tenendo sempre presente il fatto che il lavoro umano non potrà mai essere come quello meccanico e che dunque ogni persona ha prestazioni diverse. Attraverso il coordinamento e la collaborazione si persegue un ideale di lavoro armonico, sia nelle sequenze di movimenti e operazioni, sia nella modalità di aiuto e responsabilità di ogni individuo nel gruppo. La professionalità del singolo nel sistema Toyota trova un significato più elevato nel lavoro di squadra, per questo, se qualcuno è rimasto indietro nel lavoro, lo si aiuta e si cerca di fargli recuperare: si è tutti focalizzati sul successo del gruppo. Ognuno fa del suo meglio e, proprio come nello sport, i presupposti per vincere sono il continuo allenamento e la pratica».
Il modello giapponese di Toyota 17 minLo spirito Toyota
Molto interessante è anche l’approccio, tipico di una persona curiosa, che adotta Ohno per risolvere i problemi che di volta in volta gli si presentano: la tecnica dei “cinque perché”.
«Ogni volta che si presenta un problema, ci si chiede perché sia successo. La risposta però non è sufficiente poiché potrebbe rivelare solo un’anomalia di superficie, un sintomo di qualcosa di più grande a monte, che se non risolto continuerebbe a provocare danni e rallentamenti nella produttività. Per questo motivo, la risposta al primo perché farà scattare una nuova domanda con un nuovo perché e così via, fino a raggiungere i “cinque perché”».
A cosa serve questo approccio? Sforzarsi nel risalire la catena dei perché ci porterà inevitabilmente a far emergere la vera natura del problema che ci troviamo di fronte: solo una volta che si è arrivati all’origine del problema, infatti, sarà possibile risolverlo efficacemente ed evitare che si ripeta in futuro.
Se, per esempio, ci limitassimo a rilevare che, nell’ambito di una riorganizzazione del personale, il tal dipendente lavorasse con un profitto significativamente inferiore, potremmo inferire che non è adatto a quel lavoro, quando in realtà – se proseguissimo con la catena dei perché – scopriremmo che il suo rendimento risente del pessimo rapporto con i nuovi colleghi, che fanno ostruzionismo.
Dobbiamo sempre ricordare che dietro a ogni problema possono nascondersi cause invisibili che abbiamo la responsabilità di portare alla luce del sole per consentire la riuscita della nostra idea.
Se, veramente, la realizzazione fosse manchevole, se la nostra illuminazione non fosse compresa dalla squadra con cui lavoriamo, se il prodotto creato con tanta fatica fosse rigettato dal mercato? «Possiamo intuire che un’idea è buona e funzionerà, ma è difficile prevedere come. Quando si fa il salto e si passa da un’idea in testa alla sua realizzazione, bisogna capire da dove partire, imparare ad affrontare i fallimenti, gestire le criticità e soprattutto comprendere quando è arrivato il momento di lasciare»: di nuovo con le parole di Randolph di "Non funzionerà mai", possiamo imparare a gestire l’insuccesso.
Può sempre capitare che i nostri timori più nefasti si avverino; magari, l’idea in sé era valida, ma non ha resistito alla “prova del consumatore” o forse non ci siamo circondati dei giusti collaboratori.
Ecco allora che rinunciare diventa la scelta più giusta. Forse l’idea tornerà a fare capolino più avanti, a condizioni mutate, e potremo riproporla forti del nostro fallimento, o forse no: è il momento di passare alla prossima buona idea e vedere cosa succederà di questa.
Una buona idea spesso lo è soltanto sulla carta, ma se davvero vogliamo portarla nella realtà per mettere in atto il cambiamento che abbiamo immaginato – piccolo o grande che sia – la strada migliore è comportarsi come se fossimo una startup. Da quattro protagonisti del mondo delle aziende e dell’innovazione abbiamo allora imparato che lo scontro con la realtà non è qualcosa da posticipare al momento in cui ci si sente pronti, ma un necessario confronto per sviluppare al meglio le potenzialità della nostra idea. Ancora, che un team valido e ben composto è fondamentale per la riuscita del cambiamento auspicato.
Infine, imparare che un fallimento è soltanto un passo indietro è il mantra che ci deve accompagnare in ogni passaggio della messa a terra della nuova idea: ci sarà sempre un elemento che non abbiamo considerato oppure – ecco di nuovo la forza del team – un aspetto che può essere migliorato da qualcun altro; riconoscere gli errori e imparare da questi è la vera chiave del successo.
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