Filosofia orientale in una Business Strategy
Spunti per migliorare il tuo Project Management e la relazione con un utente
16min
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Episodi di Exit: toolbox per startup
All’interno di qualunque dinamica relazionale è importante condividere una Vision comune. Sembra banale, eppure spesso il dare per scontato che si sia sulla stessa lunghezza d’onda può portare a danni enormi, soprattutto nelle fasi più avanzate di un progetto di business. Quando si crea un team o si costruisce un progetto insieme ai propri dipendenti è necessario dedicare del tempo alla definizione di un contesto comunicativo all’interno del quale tutti si muovano allo stesso modo.
Perché questa premessa che sembra essere distante dal contenuto dell’articolo? Semplice: uno dei problemi più grandi dell’Occidente è una tendenza al considerarsi separati dagli altri.
In mancanza di una Vision precisa, stabilita a monte di un progetto, è facile che i componenti del team inizino ad agire da soli, ciascuno secondo le proprie caratteristiche e competenze, rischiando di sprecare tempo e risorse.
È un problema che può cogliere anche chi lavora da solo, magari il professionista che sta costruendo il suo brand e non sa definire chiaramente gli elementi cardine della sua Visione, che sempre deve guidarlo al momento di scegliere. È qui che entra in gioco dunque la differenza tra il modo occidentale di vedere le cose e quello orientale.
Se il primo è teso all’individualità sopra ogni cosa, il secondo cerca invece l’incontro e la comunità, secondo l’idea che niente è mai davvero separato dal resto. Con molte conseguenze che si rivelano utili nel business.
Come dicevamo, in Oriente si tende a osservare ogni cosa come connessa a tutte le altre. Ogni persona, ogni oggetto, ogni idea… Niente è mai separato in sé, ma è sempre presente una connessione con ciò che viene prima, ciò che viene dopo, ciò che ci circonda in un dato momento.
Una delle conseguenze di questo principio è l’idea di coesione sociale ed il benessere della comunità al di sopra dei propri interessi.
Se in alcuni casi questo principio si rivela un problema, è anche il segreto che ha portato ad esempio i paesi orientali ad affrontare il Covid in modo molto più efficiente di quanto abbiamo fatto noi.
Nel lavoro questo principio lo ritroviamo nella dedizione che un dipendente o un leader mostrano verso la propria azienda o verso il proprio progetto. Un’altra conseguenza importante è il concetto di Via, per cui quando una persona sviluppa una passione o è mossa da un obiettivo preciso farà tutto ciò che occorre per raggiungerla, a costo persino di sacrificarsi.
Perché se niente è mai separato dal resto, allora essere eccellenti è solo una questione di pratica: a separarmi dal Risultato non è dunque la condizione di eccellenza, ma solo l’esercizio costante.
Questo trasforma il concetto dell’errore, o del fallimento, in qualcosa di diverso: sbagliare significa aver percorso la strada verso il successo, verso la felicità, verso la realizzazione professionale. Le declinazioni possibili di questi principi sono innumerevoli. Vediamone alcune.
Ikigai è un termine giapponese che significa “qualcosa per cui vivere”.Nella loro cultura un Ikigai è ciò che deve guidare le tue azioni, le tue decisioni, che ti fa svegliare al mattino. Tutti ne abbiamo uno, anzi, dovremmo averne uno, e la qualità della nostra vita dipende da quanto in accordo essa sia con il nostro Ikigai. Quale può essere l’utilità di questo principio in un contesto lavorativo? Sicuramente, se ciò per cui ci impegniamo è vicino all’Ikigai, ci impegneremo di più e lo faremo volontariamente. L’Ikigai non è un concetto a caso, ma è il risultato dell’incontro di 4 aree da sviluppare:
Luca Mazzucchelli spiega questo principio nel suo “L’era del cuore”, in cui dimostra come avere il giusto mindset dipenda in larga parte dalla nostra capacità di ascoltarci e dominare i nostri istinti. Può rivelarsi un ottimo strumento di gestione di un team, aiutando i membri a riconoscere i propri punti di forza e scegliere le proprie mansioni o il modo di lavorare. La libertà guadagnata in questo modo si trasformerà in un grandiosa motivazione personale.
Come cambiare il proprio mindset per essere felici 27 minL'era del cuore
Quando pensiamo al Buddismo immaginiamo più o meno tutti le stesse cose: monaci vestiti di arancione, che magari sorridono; oppure, monaci che creano opere d’arte con la sabbia, per poi cancellare tutto alla fine; o magari l’immagine del Buddha, magari nella sua versione grassottella.
Tutto vero, ma pochi sanno che in realtà il Buddismo è soprattutto uno straordinario strumento di gestione delle Informazioni per l’apprendimento di competenze. Il Buddismo è una disciplina molto pratica, strutturata, in cui tutto si basa su “rigidi protocolli di lavoro”, per così dire.
Ad esempio, uno degli elementi essenziali di questa filosofia è il Nobile Ottuplice Sentiero, ovvero le 8 aree che una persona deve migliorare per raggiungere l’Illuminazione. Queste aree sono, in ordine, la Retta Comprensione, il Retto Pensiero, la Retta Parola, la Retta Azione, il Retto Comportamento, il Retto Sforzo, la Retta Presenza Mentale e la Retta Concentrazione.
Curare ciascuna di queste aree significa migliorare la propria vita, e ciascun principio è sempre connesso al precedente ed influenza il successivo.
Ad esempio, la Retta comunicazione dipende dalla chiarezza dei nostri pensieri ed influenza le nostre azioni. È possibile applicare questi 8 principi nel Project Management, ad esempio esaminando un problema e cercando di capire a quale di queste aree è associato e come risolverlo.
Magari possiamo vivere una situazione di crunch estrema (associata al Retto Sforzo), che impedisce ai membri del team di concentrarsi a dovere e la causa può essere l’adozione di comportamenti non efficaci.
Non solo. Il Buddismo è stata la fonte principale da cui è nata la Mindfulness, una delle più efficaci strategie di gestione di un ambiente lavorativo. Oggi sappiamo che le emozioni giocano un ruolo determinante nella produttività di una persona e la Mindfulness può creare un contesto lavorativo migliore in cui favorire le relazioni, la collaborazione, e la gestione positiva di ansia e stress.
La Mindfulness nasce alla fine degli anni ‘70 per opera di Jon Kabat-Zinn, biologo molecolare statunitense. Si tratta di una versione occidentalizzata della Meditazione Buddista, che spinge a concentrarsi sul presente in modo attivo per ridurre lo stress e migliorare la qualità della propria vita.
Ad oggi si tratta di una strategia di comprovata efficacia, testata in molti ambienti, tra cui la scuola e, appunto, le aziende.
Puoi scoprirne di più nel libro “The Resilience Project” di Hugh van Cuylenburg, in cui vengono descritti i risultati di un percorso di Mindfulness provato su diverse classi di alunni e dei benefici che ne hanno tratto.
Non solo: in questo studio viene descritto come pur essendo un’attività puramente volontaria, il tasso di partecipazione è stato altissimo. Il motivo? Il benessere provato durante la mezz’ora quotidiana di Mindfulness era tale che persino dei bambini potevano rendersene conto. Applicata ad un contesto lavorativo la Mindfulness può rivelarsi uno strumento di un’efficacia estrema.
Uno dei principi base della Mindfulness è il collegamento tra i nostri stati emotivi e il nostro Respiro.
Ciò che proviamo si manifesta infatti nel modo in cui respiriamo, ad esempio quando siamo in ansia respiriamo velocemente, quando siamo tristi rallentiamo.
Questa manifestazione esterna è conseguenza di precise reazioni chimiche all’interno del nostro corpo, che influenzano la percezione che abbiamo di noi e di ciò che viviamo.
Le nostre performance sono influenzate da questi stati emotivi e grazie alla Mindfulness possiamo sviluppare la capacità di governarli per trasformarli in energia e determinazione.
Il vantaggio di questa tecnica è il suo essere di facile applicazione. Bastano poche settimane di applicazione, anche pochi minuti al giorno, per garantire risultati concreti, come una più capace gestione dello stress, un ambiente lavorativo più sano e collaborativo, un miglior rapporto con se stessi
Come aumentare il proprio benessere mentale ed emozionale 18 minThe Resilience Project
Con Sangha ci si riferisce ad uno dei tre doni che Siddharta ha ricevuto dopo l’Illuminazione. Il primo, è stato il diventare un Buddha, ovvero un essere illuminato.
Il secondo, il Dharma, ovvero gli insegnamenti che compongono il canone buddista.
Il terzo, è stato appunto il Sangha, ovvero l’idea della Comunità.
Quando una persona vuole sperimentare la vita buddista o diventare un monaco deve entrare in un Sangha e seguirne le regole in modo ferreo. Siddharta aveva infatti capito una lezione importante: è più facile che tu ottenga risultati se ti trovi in mezzo a persone che seguono il tuo stesso percorso e dove ci sono mentori a cui ispirarti. Si tratta di una lezione che al giorno d’oggi stiamo riscoprendo, come suggerito da Bruce Daisley nel suo “The Joy of Work”, in cui uno dei segreti per vivere al meglio il proprio lavoro è la creazione di una cultura aziendale viva e positiva.
Un Sangha non è dunque solo un gruppo di persone che condividono uno spazio, e neanche è una famiglia, in cui non scegliamo di capitare.
Si tratta di un legame basato sulla volontarietà, in cui si cammina gli uni accanto agli altri con un solo scopo nel cuore: la crescita di tutti.
In un ambiente lavorativo questo principio può rivelarsi utile nel costruire dinamiche relazionali più efficaci, in cui far sentire i dipendenti o i membri del team non solo come ingranaggi di una macchina, ma come organismi di un ecosistema vivo e in continua crescita. Un Sangha è un contesto in cui ci sono regole che spesso sono dure, ma anche momenti di condivisione e libertà.
Sappiamo infatti che in un gruppo è importante trovare il giusto equilibrio tra rigidità e libertà, e questo si può raggiungere più facilmente definendo una Vision (come scritto all’inizio di questo articolo) e strutturando poi un contesto che di questa Vision ne mostri i benefici, i vantaggi e le applicazioni concrete.
L’idea è dunque concepire lo spazio del lavoro come qualcosa di più. Non solo un luogo di produzione, ma un luogo di vita, in cui le responsabilità non siano un peso, ma una condizione volontaria per il benessere personale.
Come trasformare positivamente il proprio lavoro 18 minThe Joy of Work
Una delle più antiche filosofie orientali è quella del Tao, termine che significa “Via”.
È un simbolo che tutti abbiamo visto almeno una volta, ovvero il cerchio bianco e nero con i due puntini dello stesso colore all’interno.
Questo simbolo rappresenta l’esistenza simultanea di bene e male, torna dunque l’idea di una connessione globale ed un’assenza di separazione tra le cose di questo universo. Uno dei principi più affascinanti (e fraintesi) di questa filosofia è il “Wu Wei”, termine che significa “Non Agire” e rappresenta il fine ultimo del Tao.
Il Wu Wei indica l’aspirazione massima del trovarsi in un equilibrio talmente elevato con la realtà, dal non dover più sforzarsi per ottenere ciò che si desidera.
Un principio che può rivelarsi utile nella costruzione di un’Interfaccia, per gestire le relazioni interne di un team o l’efficacia di un funnel.Uno degli obiettivi più importanti di un qualunque progetto è infatti rendere il tutto il più scorrevole possibile, facendo compiere il minimo numero di azioni possibili agli utenti ad esempio, o diminuendo la burocrazia che può rendere lento un processo decisionale. In questa ottica diventa importante infatti allestire degli Usability Test per raccogliere feedback su come un utente si muove all’interno di un Funnel o di una Web Page. Lo scopo di questi test è quello di osservare quali sono i punti in cui una persona si blocca, quali sono i momenti più scorrevoli di un’esperienza e come rimediare.
Il funnel perfetto è sempre e solo quello che mette meno ostacoli tra un utente e l’obiettivo di conversione che abbiamo stabilito, facendo in modo che abbia la sensazione di muoversi talmente liberamente da non sforzarsi. Come nel Wu Wei taoista.
Il Kaizen, termine giapponese che significa “Miglioramento Continuo”, è una delle filosofie di Business più famose al mondo.Nata in Giapponese in seno alla Toyota, intorno agli anni ‘80, si è velocemente imposta ovunque, grazie ad una prospettiva radicalmente diversa da quella occidentale e molto flessibile. Gli elementi cardine di questa filosofia sono soprattutto due:
Uno dei termini più importanti nel Kaizen è “Gemba”, che significa “Luogo dove avviene l’azione”.
Il Gemba indica i luoghi di produzione, in genere tra i più lontani rispetto ai “piani alti”. Eppure è qui che il CEO e l’operaio si incontrano, perché come anticipato, ogni elemento di un’azienda influenza tutti gli altri e niente è mai separato dal resto, in Oriente.
Un’azienda non può funzionare se tutti i membri che ne fanno parte non sono in perfetto equilibrio tra loro. Equilibrio però che si può raggiungere solamente tramite un processo a step, in questo caso 5, ovvero le 5 S del Kaizen:
Lo scopo dunque non è punire i colpevoli, ma eliminare la colpa. Un punto di vista radicalmente diverso dal nostro, che può aiutarti ad osservare la tua realtà lavorativa da una prospettiva più ampia.
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