Come posso essere più creativo?
La creatività non riguarda solo alcuni tipi di lavoro, possiamo essere creativi in tutto ciò che facciamo
8min
La creatività non riguarda solo alcuni tipi di lavoro, possiamo essere creativi in tutto ciò che facciamo
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Episodi di Domande per Crescere
Dopo aver parlato di originalità non si può non parlare di creatività. Sono due argomenti strettamente legati tra di loro, anche se diversi.
Nell’episodio precedente abbiamo risposto alla domanda “Come faccio a essere originale?” capendo che l’originalità è sopravvalutata e che in fondo nessuno è veramente originale.
Non so se ti ricordi, ma sempre nel corso di quell’episodio ho detto che questa è una domanda che prima o poi si pone chi fa un lavoro creativo.
Ho parlato di lavoro creativo e non di persona creativa volutamente. Perché credo profondamente che tutte le persone siano creative, o meglio possano esserlo. E che tutti i lavori possono essere fatti con o senza creatività.
Ma come sempre facciamo un passo indietro. Voglio raccontarti il mio percorso con la creatività, come questa domanda è entrata prepotentemente nella mia vita e dove ho trovato la risposta.
Iniziamo col dire che sono cresciuto pensando, un po’ come tutti, che al mondo ci fossero persone creative e persone non creative.
La classificazione per me era quasi evidente, sotto gli occhi di tutti. La cantante è una creativa, il pittore è un creativo, la scrittrice è una creativa, lo scultore è un creativo e così via.
Dall’altro lato vedevo poco o niente di creativo in lavori come l’insegnante, il panettiere, il fruttivendolo, l’autista e così via.
Immagino che grossomodo, con qualche piccola variazione, un po’ tutti crescono con questa immagine in testa di una divisione netta in persone creative e persone non creative.
Il percorso scolastico a tal proposito non ha sicuramente contribuito a farmi cambiare idea. Professori e professoresse che incrociavo negli anni non ci pensavano due volte a etichettare qualcuno come creativo e a destinare qualcun altro a lavori non creativi.
Se ci ripenso oggi questa cosa mi fa rabbrividire. Chi gli dava l’autorità per appiccicare etichette e incasellare persone?
Ma rimaniamo in tema e torniamo a noi.
Quindi la scuola non aiutava e la situazione in famiglia era più o meno la stessa.
Sai come vanno queste cose, no? Se crescendo senti ripetere una cosa all’infinito dopo un po’ ci credi, manco ti sforzi di cercare più in dettaglio o di mettere in dubbio quello che ti hanno detto.
E quindi anche quando mi son ritrovato poco più che ventenne a fare l’imprenditore con un gruppo di amici squattrinati mi ricordo che ci eravamo divisi i ruoli in maniera ben precisa. C’erano i creativi e i tecnici. E io, con la mia laurea in informatica all’orizzonte, ero ovviamente nella seconda categoria.
Potrà sembrarti strano, ma è stato proprio il mio percorso universitario a iniziare a far scricchiolare le mie certezze in termini di creatività.
Io avevo iniziato quell’avventura con un’immagine in testa molto chiara: un ragazzino col cappuccio in testa che di notte scrive codice in una stanza per nulla illuminata.
Lo so è un cliché vecchio come il mondo, ma sono cresciuto con i film sugli hacker degli anni 80 e 90.
Per me in questo scenario c’era poco di creativo. Ero uno smanettone. Una figura tecnica.
E invece più o meno a metà della triennale, becco un professore che inizia a citare spesso la questione della creatività. Il professor Scarano fu uno dei primi a dire che c’erano modi e modi di scrivere codice e che lo si poteva fare con un approccio creativo o con un approccio non creativo.
L’approccio non creativo era quello da esecutore. Da chi fa il minimo indispensabile. Da chi si accontenta di portare a casa il task che gli è stato assegnato.
L’approccio creativo invece era quello di chi pensava con la propria testa. Di chi voleva capire cosa c’era dietro a quel codice e se c’era un modo diverso di scriverlo. Un modo più efficiente, più veloce o semplicemente più elegante.
Era fatta. Il dubbio si era insinuato nella mia testa e come un tarlo iniziava a scavare sempre più in profondità.
Ricordi l’episodio sul pensiero critico? Abbiamo detto che il dubbio è la chiave per avviare quel bellissimo circolo virtuoso che ci porta a nuove scoperte.
Ed è esattamente quello che è successo a me. Mi sono detto “aspetta un attimo, ma se il programmatore può essere fatto in modo creativo, allora chi dice che non si può avere un approccio creativo in tutti gli altri lavori, compresi quelli che consideravo non creativi?”.
E ormai dovresti aver già capito cosa ho fatto. Mi sono fiondato sui libri.
Ho scoperto una letteratura vastissima sulla creatività che mi ha affascinato come poche altre cose nella mia vità.
E tutti gli autori, dal primo all’ultimo, sottolineavano un concetto fondamentale: la creatività è una scelta.
Non si nasce creativi, lo si diventa.
Dobbiamo iniziare a pensare alla creatività come a un muscolo. Ce l’abbiamo tutti, solo che alcuni di noi lo allenano quotidianamente e altri invece se ne dimenticano completamente. Lo lasciano atrofizzare senza usarlo mai.
Appena mi sono messo in quest’ottica è cambiato tutto. Letteralmente tutto.
E anche in questo caso, non posso non citare un libro che ha avuto un ruolo fondamentale. La pratica di Seth Godin, che trovi anche qui su 4books.
Seth Godin è un esperto di marketing americano. Un guru riconosciuto a livello internazionale con alle spalle una valanga di libri bestseller.
Ogni tanto Godin si concede di scrivere libri su temi non strettamente legati al marketing, ma comunque collegati in qualche modo.
E La pratica rientra proprio in questa categoria.
È un piccolo capolavoro che raccoglie 219 consigli e riflessioni sul tema della creatività e tutto ciò che ci gira intorno.
Secondo me ci sono quattro aspetti fondamentali del libro che bisogna portarsi a casa:
Come sempre andiamo con ordine.
Il primo punto è proprio sulla questione dell’allenamento che dicevo anche io poco fa. In tutti i testi sulla creatività ho sempre ritrovato il suggerimento di allenarsi, allenarsi e allenarsi ancora. E per farlo bisogna avere fiducia in se stessi, nel proprio pubblico e nel proprio lavoro.
La qualità si raggiunge con la quantità.
Il secondo punto riguarda la costanza, uno dei miei argomenti preferiti. Seth Godin dice, quasi provocatoriamente, che il blocco dello scrittore è una sciocchezza, non esiste. Sono scuse per procrastinare.
L’ispirazione non arriva mai. O almeno non arriva come ce la immaginiamo noi, seduti su una roccia in montagna, con il sole che splende in cielo e la nostra tazza di caffè bollente in mano.
No. È la costanza a fare la differenza. Faccio oggi, faccio domani, faccio dopodomani fino a che quella attività non diventa una parte importante della mia routine. Così si supera il blocco dello scrittore.
Il terzo punto è sulla famosa sindrome dell’impostore. È quella situazione nella quale ci convinciamo di non meritare il successo che stiamo avendo. Di non essere all’altezza delle sfide che affrontiamo e che prima o poi qualcuno ci smaschererà per un impostore.
Il fenomeno è vero e anche molto frequente. Anche io ne ho sofferto tantissimo in passato e spesso mi ritrovo nel loop. Ma l’autore ci ricorda che se ci sentiamo così è un ottimo segno! Perché significa che stiamo facendo qualcosa di sfidante, qualcosa di importante e che stiamo allargando la zona di comfort.
Quindi la sindrome dell’impostore deve indicarci che siamo sulla giusta strada.
E infine l’importanza del processo piuttosto che del risultato. Spesso siamo ossessionati dai risultati. Dal famoso successo, qualsiasi cosa significhi poi questa parola. Godin ci ricorda che se facciamo le cose solo con il risultato in testa non andremo molto lontano.
Dobbiamo focalizzarci sul processo. È il famoso “ama ciò che fai” che ho citato già in questo podcast.
È il processo che ci fa andare avanti anche nei momenti di difficoltà, quando non abbiamo voglia, non ci sentiamo ispirati o pensiamo di essere degli impostori.
Per me tutto questo è stato liberatorio e illuminante.
Ho capito che definirmi creativo o non creativo era una mia scelta. E che ero io a decidere volta per volta di affrontare un lavoro, un progetto o un task in maniera creativa.
E per farlo dovevo avere fiducia. Perché in fondo, come ha detto una volta il fumettista e scrittore Scott Adams, “la creatività sta nel concedersi di commettere errori”.
Hai ascoltato un episodio di Domande per crescere. Io sono Raffaele Gaito, fondatore del Growth Program, l'academy che ti aiuta a far crescere il tuo business e il tuo mindset. Ti do appuntamento nel prossimo e ultimo episodio nel quale parleremo di ispirazione. In che modo possiamo ispirare gli altri? Metti in play l’episodio 8 per scoprirlo.