In gamba si nasce o si diventa?
Scopri come il tuo mindset può trasformare ogni sfida in un'opportunità
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Episodi di Domande per Crescere
Ah questa forse è la domanda delle domande, non trovi?
“Nasciamo già in gamba o lo possiamo diventare?”
E occhio che non ho usato volutamente la parola “successo” in questa domanda. Avrei potuto intitolare questo episodio come qualcosa tipo “si nasce persone di successo o lo si diventa?”
Però se hai fatto attenzione nelle puntate precedenti avrai notato che non sono proprio un grande fan della parola successo.
Un po’ perché è abusata, spesso usata a sproposito, ma soprattutto perché il concetto di successo è molto personale. Per qualcuno ha a che fare con i soldi, per altri con la carriera, per altri ancora con la libertà, per altri ancora con l’impatto e così via all’infinito.
E allora ho preferito parlare di persone in gamba. Anche qui ovviamente le definizioni si potrebbero sprecare, ma diciamo che ai fini del nostro ragionamento per “persona in gamba” intendo qualcuno che è competente, è abile, è capace e soprattutto ottiene dei risultati.
Ovviamente questo vale nel proprio campo.
Io posso essere in gamba nella comunicazione, ma una pippa nel suonare uno strumento musicale. E si, mi riferisco proprio a me in questo caso.
Posso essere in gamba a cucinare, ma pessimo nello sport. Ecc.
Penso che tutti prima o poi, a un certo punto della propria vita, si siano posti questa domanda. Ed è probabile che anche tu, come me, te la sia fatta più di una volta.
Personalmente, se escludo i momenti in cui me lo chiedevo da ragazzino (ed erano tanti, fidati di me), questa domanda è tornato in maniera prepotente a farsi vivo nei grandi momenti di difficoltà.
Soprattutto nelle difficoltà lavorative.
Ogni volta che le cose sono andate storte, questo punto interrogativo gigante ha iniziato a pesarmi sulla testa in maniera incredibile.
E non mi riferisco alle piccole sconfitte quotidiane come può essere un cliente che ci rifiuta un preventivo o un progetto che non va in porto.
Intendo proprio quando le cose vanno storte. Hai presente, no?
Ci sono quei periodi in cui sembra che l’universo intero ce l’abbia con te e che non ne azzecchi una da un bel po’. Quei periodi in cui si genera un assurdo effetto valanga che sembra non finire mai.
Ecco, a me è capitato. E non mi vergogno a dire che è capitato più di una volta e forse continuerà a capitare. Credo che in fin dei conti sia abbastanza normale.
In quei momenti la domanda sull’essere in gamba si è sempre fatta avanti di prepotenza.
Ho messo mille volte in dubbio il mio posto nel mondo. Se fossi veramente portato per fare l’imprenditore. Se avessi avuto le capacità per fare quello che faccio e così via all’infinito.
Ho sempre sofferto molto di sindrome dell’impostore e questo sicuramente non ha aiutato a trovare una risposta a questa annosa domanda.
Però, dall’altro lato, c’è un libro in cui mi sono imbattuto lungo la mia vita che invece ha avuto proprio questo ruolo. Un libro che ha influenzato pesantemente il mio modo di essere, di lavorare e di vedere le sfide, soprattutto quelle più grandi.
Il libro di cui sto parlando è Mindset di Carol Dweck, che come sempre puoi trovare qui su 4books.
Carol Susan Dweck è una psicologa americana che insegna in diverse università, tra cui Stanford. Negli anni si è specializzata in motivazione e mindset e questo bellissimo libro di cui ti voglio parlare è un po’ la summa di tutte le sue ricerche e dei risultati trovati.
Faccio una parentesi veloce: spesso intorno al tema del mindset c’è un sacco di fuffa e di contenuti motivazionali da quattro soldi. Questa parola viene quindi spesso vista con sospetto dai non addetti ai lavori.
Il mindset altro non è che il nostro approccio, la forma mentis, o la mentalità, se vogliamo dirla semplice.
E quel libro mi colpì particolarmente proprio perché non apparteneva alla categoria di contenuti superficiali e motivazionali, ma era un vero e proprio testo di psicologia dove ogni affermazione è supportata da esempi, ricerche e risultati provati da studi.
Dweck introduce due tipi di mindset nel suo testo, in inglese vengono chiamati Fixed Mindset e Growth Mindset e in italiano sono stati tradotti come mindset statico e mindset dinamico.
Io preferisco la versione originale perché Growth Mindset rende proprio l’idea della crescita, ma userò le due versioni in modo intercambiabile.
Le persone con mindset statico sono quelle che non credono di poter migliorare, perché sono profondamente convinte che il loro talento, la loro intelligenza e le loro caratteristiche saranno per sempre le stesse.
In un certo senso queste persone si convincono del fatto che siano condannate a vivere con ciò con cui sono nate.
Dall’altro lato, invece, le persone con mindset dinamico pensano di poter migliorare di continuo, perché credono che il loro successo dipenda dal lavoro duro, dall’allenamento e dalla formazione continua.
In un certo senso potremmo dire che chi ha un mindset statico spesso si ritrova a pensare “i miei risultati non dipendono da me”. Hanno sempre una scusa pronta, sempre qualcuno o qualcosa su cui scaricare la responsabilità se le cose vanno male.
Hai presente chi se la prende con la sfortuna? O con lo stato? O con la politica? Ecco, quello è un perfetto esempio di mindset statico.
Sia chiaro, io sono il primo ad aver usato queste espressioni in un sacco di contesti.
Se non crescevo sui social dicevo che era colpa dell’algoritmo. Se non riuscivo a realizzare le mie idee me la prendevo con l’Italia che era sempre indietro. E così via.
Dal lato opposto dello spettro invece c’è il Growth Mindset, quello dinamico.
Chi ha un mindset dinamico invece ragiona nel mondo opposto, ossia “i miei risultati dipendono da me”.
Tradotto concretamente significa chiedersi costantemente cose tipo “ma io che posso fare di concreto per cambiare questa situazione?”, “quanto di tutto questo è sotto il mio controllo?”, “qual è il primo passo concreto che posso compiere oggi?”.
Invece di dare la colpa all’esterno eliminando qualsiasi responsabilità, chi ha un mindset dinamico cerca di capire il proprio spazio di manovra e di mettersi all’opera per il cambiare la situazione che non gli piace.
Io, ad esempio, ho smesso di incolpare il famoso algoritmo e ho iniziato a sperimentare molto di più con i miei contenuti. A osare per allargare la mia zona di comfort.
Quando mi sono accorto che l’Italia mi stava stretta per i suoi modi, la sua mentalità e le sue limitazioni, ho fatto la valigia e mi son spostato a Londra.
Insomma, quello che cerca di dirci la psicologa Carol Dweck è che il talento è sopravvalutato e che nel lungo periodo l’impegno e la pratica fanno sempre la differenza, negli ambiti più disparati.
Questo vale nel lavoro, ma anche in tantissimi aspetti della vita privata. Essere un partner migliore, un genitore migliore, un amico migliore e così via. Gli esempi che ci porta Dweck sono veramente tantissimi.
Ci sono delle eccezioni a questo ragionamento?
Ovviamente sì.
Innanzitutto a volte ci sono dei fattori esterni importanti sui quali possiamo fare molto poco e che hanno un impatto, inevitabilmente, su ciò che possiamo o non possiamo fare.
Se sono alto 1 metro e 60 difficilmente diventerò un bravo giocatore di basket, non mi basterà allenarmi tantissimo.
Però potrei puntare a diventare un grande allenatore di basket, o il manager dei migliori cestisti in circolazione.
Ecco perché non è solo una questione del “crederci fino in fondo” e del “non mollare mai”, che è poi il grande problema dei testi motivazionali che riempiono i negozi di libri.
La psicologa americana ci ribadisce più volte che avere un certo tipo di mentalità è un punto di partenza, non di arrivo. E soprattutto non tutti abbiamo sempre un mindset dinamico (o statico) tutto il tempo.
A me capita, nelle giornate no, di essere estremamente negativo, disilluso e pessimista. Mentre in altri giorni mi sento in grado di spaccare il mondo con una mano sola.
Non siamo condannati a un mindset per tutto il resto della nostra vita, ma possiamo accorgerci di quando siamo andati in modalità “statica” e dare un colpo di sterzo per rimetterci sulla giusta strada.
In che modo?
Lavorando su noi stessi da vari angoli: abbracciare l’idea che la costanza e la pazienza sono necessarie per ottenere risultati; mettersi in una modalità di apprendimento continuo nella quale non si è mai esperti (proprio come abbiamo detto nell’episodio precedente); e poi ancora ascoltare i feedback delle persone intorno a noi che con delle critiche costruttive ci possono aiutare a migliorare e crescere; e infine ci è di profondo aiuto anche condividere le nostre esperienze con gli altri, per ispirare e farci ispirare.
Quindi in gamba ci possiamo diventare, e come se ci possiamo diventare!
Anzi, per dirla con le parole di Carol Dweck, “diventare è meglio di essere”.
Hai ascoltato un episodio di Domande per crescere. Io sono Raffaele Gaito, fondatore del Growth Program, l'academy che ti aiuta a far crescere il tuo business e il tuo mindset. Ti do appuntamento nel prossimo episodio nel quale parleremo di scopo. Capiremo che avere uno scopo che ci guida nella vita è fondamentale e fa una profonda differenza. Il perché lo scoprirai nel quinto episodio.