Mi devo specializzare per forza?
Specializzarsi non è l'unica via per la realizzazione professionale
8min
Specializzarsi non è l'unica via per la realizzazione professionale
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Episodi di Domande per Crescere
La mia generazione è cresciuta con una frase costante che gli ripetevano gli adulti: se sai fare un po’ di tutto non sai fare niente.
A me lo dicevano tutti in famiglia e a scuola.
Per anni, la specializzazione era l’unica prospettiva che mi era stata mostrata. E in fondo lo capisco, per i miei genitori e i miei nonni se studiavi medicina eri un dottore a vita, se studiavi ingegneria eri un ingegnere a vita, se studiavi legge eri un avvocato a vita e così via.
In questo scenario c’era però un problema, anche molto grosso dal mio punto di vista.
Io non avevo mai avuto un’unica vocazione. Non avevo una grande passione. Non avevo deciso cosa fare da grande a cinque anni.
E quindi quando da piccolo mi facevano la domanda “cosa vuoi fare da grande?” andavo in seria difficoltà.
Anzi, più crescevo e più mi rendevo conto che mi appassionavano tante cose (anche molto diverse tra di loro), che i miei interessi erano variegati e sempre nuovi, e che mi piaceva infilarmi in progetti nuovi e sfidanti.
Ma allo stesso tempo mi rendevo conto che mi annoiavo molto facilmente.
Insomma sono sempre stata una persona che aveva bisogno di stimoli nuovi e continui.
Infatti col tempo è cambiata la domanda, ma non la mia difficoltà a rispondere. Sono passati dal “cosa vuoi fare da grande” a “tu di preciso di cosa ti occupi”?
E io, come sempre, non riuscivo a dare un’unica risposta.
Per un paio di decenni (e forse qualcosa in più) ho vissuto malissimo questa mia propensione. Pensavo di essere sbagliato. Di avere qualcosa di diverso. Lo vivevo come una sorta di handicap.
Ero terrorizzato all’idea di affrontare questo mondo lavorativo dove c’era spazio solo per gli specialisti. Mi tuonava di continuo nella testa la frase “se sai fare un po’ di tutto non sai fare niente”.
E con il passare del tempo le cose non sono di certo migliorate.
Ho deciso di iscrivermi a informatica all’università, ma non mi sono mai visto a fare il programmatore per tutta la vita e infatti ho iniziato subito a fare impresa.
E proprio durante quei primi anni mi rendevo conto che mi servivano competenze che non avevo e da autodidatta mi sono messo a studiare il mondo del marketing e del business.
Poi più approfondivo questi temi e più scoprivo che c’era altro di interessante da studiare: e così i libri di psicologia, di persuasione, di comportamento umano, di abitudini e così via.
Insomma, una volta entrato nella tana del bianconiglio mi sono reso conto che era molto più profonda di quello che pensavo e, soprattutto, che il percorso mi piaceva più della destinazione.
Oggi, a quasi 40 anni, è ancora così.
Ho ancora mille passioni e interessi, mi butto ancora in un progetto dietro l’altro e ho ancora bisogno di tanti stimoli per sentirmi vivo.
Cosa è cambiato in questi anni?
Ho scoperto che la frase “se sai fare un po’ di tutto non sai fare niente” era una fesseria!
Eh sì, oggi possiamo dirlo senza paura e senza vergogna: la specializzazione non è l’unica strada possibile e non c’è niente di male nell’avere tante passioni e interessi.
Ma facciamo un passo alla volta e torniamo un attimo indietro perché voglio raccontarti come sono arrivato a questa consapevolezza e come il mio percorso può essere utile anche a te.
Un giorno, per caso, su YouTube becco un video di un TED talk di Emilie Wapnick dal titolo “perché alcuni di noi non hanno una sola grande vocazione”.
Emilie in questo intervento racconta la sua esperienza e man mano che va avanti col racconto rivedo tutte le caratteristiche che ti ho elencato prima: tante passioni diverse, assenza di un’unica vocazione, ricerca costante di stimoli, voglia di iniziare nuovi progetti e così via.
Cavolo, ero io! Mi sono rivisto al 100% in quel racconto.
E poi verso la fine dell’intervento Emilie dice che persone del genere sono “multipotenziali”. Il multipotenziale è una persona che ha tanti interessi, ha svolto tanti lavori e che, grazie a questo intreccio di conoscenze e passioni, sviluppa un incredibile potenziale multidisciplinare che riesce ad applicare, con ottimi risultati, in qualsiasi lavoro o sfida quotidiana.
Potenziale multidisciplinare qui è la parola chiave.
Il mio spirito nerd mi ha spinto, ovviamente, ad approfondire l’argomento. E nelle mie ricerche ho scoperto che il concetto di persona multipotenziale è ben noto in psicologia. Ci sono una valanga di articoli che ne parlano e in realtà il termine è in giro da un bel po’, anche se con nomi diversi.
Qualcuno lo definisce scanner, qualcun’altro polymath, qualcun’altro ancora uomo rinascimentale. Ma l’idea di persone con un approccio multidisciplinare è in giro da un bel po’.
Personaggi molto famosi come Leonardo Da Vinci, Benjamin Franklin, Steve Jobs, Richard Branson e Tim Ferriss sono stati definiti multipotenziali.
Ovviamente, anche in questa ricerca non potevo non tuffarmi in una serie di libri dedicati all’argomento. E anche in questo caso ce ne sono una valanga, ma quello che ritengo fondamentale nel mio percorso di scoperta della multipotenzialità è stato scritto proprio da Emilie Wapnick dopo il successo del suo TED talk.
Il titolo è Diventa chi sei: una pratica guida per persone creative che hanno molteplici passioni e interessi. Che trovi anche qui su 4books.
Emilie descrive tre punti di forza che sono tipici dei multipotenziali:
Andiamo con ordine.
La sintesi di idee è quella capacità di combinare due o più campi e di creare qualcosa di nuovo dalla loro intersezione. È da li che vengono fuori nuove idee e i multipotenziali con tutti i loro bagagli sono capaci di accedere a molti di questi punti di intersezione.
L’apprendimento rapido è un po’ quello che ti raccontavo anche nella mia esperienza personale prima. Quando noi multipotenziali ci interessiamo a qualcosa, ci diamo sotto. Osserviamo tutto quello su cui possiamo mettere le mani.
Siamo anche abituati a essere principianti, perché siamo stati principianti molte volte in passato, e questo significa che siamo meno timorosi di provare nuove cose e di uscire dalla nostra zona di comfort.
Inoltre, molte capacità sono trasferibili tra le diverse discipline, e portiamo tutto ciò che abbiamo imparato in ogni nuova area a cui ci dedichiamo, quindi raramente iniziamo da zero.
E infine, il terzo punto, è l’adattabilità. Cioè, la capacità di trasformarsi in qualsiasi cosa bisogna essere in una data situazione. E questo elemento, dal punto di vista lavorativo, è forse il più importante in assoluto.
Negli ultimi anni, soprattutto nel mercato anglosassone, c’è parecchia richiesta di figure orizzontali, nei settori più disparati.
Dopo un’abbuffata di specializzazione selvaggia ci si è finalmente resi conto che il mondo economico sta cambiando in maniera così veloce e imprevedibile che sono gli individui e le organizzazioni che devono adattarsi per soddisfare i bisogni del mercato.
E i multipotenziali sono perfetti per questo tipo di scenario. Alcuni articoli definiscono queste figure come “bridge”, ossia ponti, proprio per la loro capacità di fare da ponte tra reparti diversi e competenze diverse.
Questo ovviamente non significa che non servano gli specialisti e che la specializzazione sia sbagliata a prescindere. Ma abbiamo finalmente compreso che servono entrambe le figure: quelle verticali e quelle più orizzontali.
Perché, spesso, il problema degli specialisti è l’incapacità di comunicare fuori dal loro verticale. I pregiudizi e i bias cognitivi la fanno da padrone e in scenari del genere una figura ponte diventa fondamentale.
Il lavoro di Emilie Wapnick mi ha aiutato a capire che quello che io consideravo come un handicap era in realtà un super potere.
E non esagero se uso la parola super potere. Perché da quel giorno ho fatto mia questa consapevolezza e l’ho trasformata in un punto di forza. Invece di nascondere questo mio lato l’ho esplicitato ovunque: sul mio sito, sul mio linkedin, nel rapporto con i miei clienti e i miei studenti, e così via.
Se ti rivedi in questa descrizione, non nasconderti, raccontati e fai capire il tuo valore ai tuoi interlocutori. Hai sviluppato una conoscenza multidisciplinare che è una risorsa incredibile per te e soprattutto per chi ti sta intorno.
In fondo, proprio come dice Emilie Wapnick, “l’innovazione nasce nelle intersezioni”.
Hai ascoltato un episodio di Domande per crescere. Io sono Raffaele Gaito, fondatore del Growth Program, l'academy che ti aiuta a far crescere il tuo business e il tuo mindset. Ti do appuntamento nel prossimo episodio nel quale parleremo di pensiero critico. In un mondo sempre più polarizzato dove è diventato impossibile discutere, come si può sviluppare un pensiero critico. Metti in play l’episodio 5 per scoprirlo.