Esiste il talento?
Quanta importanza ha realmente il talento nel proprio percorso di realizzazione?
10min
Quanta importanza ha realmente il talento nel proprio percorso di realizzazione?
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Episodi di Domande per Crescere
Questo podcast è iniziato con una domanda provocatoria e spiazzante: esiste la fortuna?
Anche la domanda di questo secondo episodio è altrettanto provocatoria e spiazzante: esiste il talento?
È provocatoria perché all’apparenza c’è poco da discutere sul tema. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: i grandi musicisti, atleti, artisti che hanno fatto del loro talento il loro punto di forza.
Ma siamo sicuri che la questione sia veramente così facile? E che vada liquidata così velocemente?
A mio avviso l’argomento è complesso e voglio, come sempre, provare a snocciolarlo con te raccontandoti perché un giorno mi sono posto questa domanda e il percorso che ho fatto andando alla ricerca di una risposta.
C’è stata una fase della vita per cui anche per me la risposta a questa domanda è stata abbastanza ovvia e non meritava nemmeno una discussione.
Crescendo guardavo i miei calciatori preferiti e mi dicevo che loro avevano talento per poter fare quello che facevano. Ascoltavo i miei cantanti preferiti e ammiravo il talento che li aveva portati lì dove erano arrivati.
Poi un giorno mi imbatto in una citazione di Einstein che dice “il genio è 1% talento e 99% lavoro duro”. La verità è che non sappiamo se questa frase l’abbia detta veramente Einstein (gli hanno attribuito di tutto), ma il concetto che arriva è molto forte.
La mia certezza ha iniziato a incrinarsi.
Per me il ragionamento è stato sempre molto semplice: è ovvio che Mozart sia stato un super talentuoso, così come è ovvio che lo sia Cristiano Ronaldo o Michael Jordan. Basta vederli all’opera per capirlo.
E poi la goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata proprio da Michael Jordan, uno dei più grandi giocatori di basket della storia.
In una sua intervista di qualche tempo fa, il giornalista finisce inevitabilmente a fargli una domanda sul suo talento e Michael, anche abbastanza incazzato, risponde che non ne può più di questa storia del talento!
Gli fa notare che lui andava sul campo da gioco due ore prima dei suoi compagni di squadra e se ne andava due ore dopo finito l’allenamento. Parlare di talento significava sminuire il suo impegno, la sua volontà, il suo duro lavoro.
Michael in quell’intervista fa notare al giornalista che ogni giorno lui si allenava 4-5 ore in più dei suoi compagni di squadra. E moltiplicato per 365 giorni all’anno era una quantità enorme di allenamento in più che negli anni, inevitabilmente, aveva fatto la differenza.
Ecco, quello per me è stato il colpo di grazia.
In un certo senso ha smontato le mie certezze sul ruolo del talento e ha fatto crescere in me la domanda protagonista di questo episodio: ma esiste il talento?
Per chi come me ha deciso di fare un lavoro indipendente, la domanda non è banale. Quando mi sono imbarcato nell’avventura da imprenditore provavo a carpire i segreti da chi ci era passato prima di me.
Leggevo le grandi biografie di imprenditori e imprenditrici del passato per capire che ruolo avesse avuto il talento nel loro successo. C’era una formula da qualche parte? C’era un segreto di cui non ero a conoscenza?
Potevo essere un buon imprenditore anche senza averne il talento?
Sono sicuro che, anche se in maniera diversa, anche tu hai affrontato questa domanda almeno una volta nella tua vita e nel tuo lavoro.
Come sempre in questi casi, mi sono messo alla ricerca. E mi sono rivolto ai miei mentori per eccellenza: i libri.
E proprio durante questa fase di profonda ricerca ho scoperto che esiste una valanga di letteratura (e anche di ricerca scientifica) sul ruolo del talento nelle nostre vite.
Libri che parlano dei grandi geni del passato, che sviscerano nel dettaglio le loro vite e le loro abitudini in cerca di questa risposta.
La mia libreria è piena di questi testi, ma devo confessare che il libro più potente per me è stato Peak di Anders Ericsson. In Italia è tradotto con il titolo di “Numero uno si diventa: sviluppa il tuo potenziale per migliorare in tutto quello che vuoi”. Lo trovi anche qui su 4books.
Eh sì, lo so, i titoli in Italiano sono sempre un po’ esagerati e a volte fuorvianti. Infatti il sottotitolo originale del libro è molto più sobrio e interessante “come ognuno di noi può ottenere grandi risultati”.
Ericsson era uno psicologo e ricercatore svedese, ritenuto tra i maggiori esperti al mondo nello studio delle competenze e delle prestazioni.
Per trent’anni ha studiato i geni dello sport, della musica e dei settori più disparati. Le sue scoperte sono state sorprendenti: il dono del talento è un mito vero e proprio. Le abilità vengono apprese grazie all’insegnamento.
Lo so, qualcuno a questo punto potrebbe scandalizzarsi, quindi chiariamo una cosa: Ericsson e tutti gli altri ricercatori che negli ultimi decenni hanno scritto sul tema, fanno sempre una netta distinzione per le abilità che richiedono determinate caratteristiche fisiche. Se sono alto un metro e sessanta difficilmente diventerò un campione di basket internazionale, per quanto io possa allenarmi.
Ma, aldilà di questo singolo caso specifico, ciò che fa la differenza è l’allenamento. O, per usare le parole dello studioso, la pratica deliberata dove non è importante solo la quantità di tempo passato ad allenarsi, ma soprattutto la qualità.
Quello che Ericsson e altri studiosi sul tema hanno dimostrato senza nessun dubbio è il fatto che il mito di “nascere talentuosi” è appunto un mito. In alcuni casi ci possono essere delle predisposizioni, ma anche quelle, senza il giusto allenamento non servono a nulla.
Ed è proprio grazie a queste ricerche che ho smontato il mito del talento.
Che ho scoperto che Mozart aveva un padre musicista che ha iniziato a insegnargli musica all’età di 4 anni e l’ha fatto esordire di fronte un pubblico all’età di 7.
O che il campione di golf Tiger Woods è figlio di un giocatore di golf che gli ha messo la prima mazza in mano all’età di due anni e l’ha affidato a un allenatore professionista quando aveva solo 4 anni.
La lista potrebbe andare avanti all’infinito: ho trovato le stesse identiche storie in calciatori, cantanti, imprenditori, scrittori e chi più ne ha più ne metta.
Stephen King racconta di scrivere ogni giorno, anche quando non ne ha voglia. Cristiano Ronaldo è diventato famoso in tutto il mondo per le sue rigide abitudini alimentari e di allenamento. Warren Buffet passa più della metà della sua giornata a leggere. E così via.
La risposta stizzita di Michael Jordan a quel giornalista ora aveva senso anche per me.
Ma quali sono le caratteristiche di questa pratica deliberata e come possiamo introdurla nella nostra vita?
Ericsson ci fornisce dei suggerimenti molto dettagliati, potremmo quasi dire un framework da applicare ovunque. Ed è composto da quattro elementi fondamentali:
Andiamo un po’ più in dettaglio.
Il primo punto riguarda gli obiettivi. Le ricerche sull’argomento mostrano che senza obiettivi specifici non si va da nessuna parte. Questo vale per lo sport, per la musica, per il lavoro o qualsiasi ambito della vita privata e professionale in cui vogliamo migliorare.
Dobbiamo definire degli obiettivi chiari. In poche parole: dobbiamo sapere dove stiamo andando. Se rimaniamo su obiettivi generici di crescita non cambia nulla.
Il secondo punto è sul focus. Oggi più che mai questo tema è attuale. In un’epoca nella quale siamo continuamente distratti e perennemente stimolati è sempre più difficile avere delle sessioni intense senza distrazioni. Dagli studi effettuati invece questo è un elemento importantissimo.
Per le attività che ci interessano, quelle in cui vogliamo fare il salto di qualità, dobbiamo ritagliarci con forza dei momenti intensi e senza distrazioni.
Il terzo punto è sui feedback. E qui si sottolinea molto l’importanza di essere affiancati da qualcuno che possa guidarci a migliorare. La pratica deliberata non funziona da sola. Deve esserci accanto a te qualcuno che costantemente ti guida e ti dice come stai andando.
Che si tratti di un allenatore, di un mentore di un coach o di qualsiasi altra figura del genere, è importante avere una persona competente che ci aiuti a correggere il tiro.
Il quarto e ultimo punto è sulla zona di comfort. Non c’è nessun progresso se continuiamo a fare le cose che abbiamo fatto ieri, la settimana scorsa o l’anno scorso. Ecco perché è fondamentale spingersi sempre un po’ più in la. Senza esagerare, ma alzando un po’ alla volta l’asticella.
Il quarto punto si collega alla perfezione con i precedenti, perché possiamo alzare l’asticella solo se abbiamo degli obiettivi chiari, focus sul processo e qualcuno che ci affianchi.
Confesso che non a tutti piace sentirsi dire che il talento è sopravvalutato e che la differenza la fa l’impegno e il duro lavoro.
Perché se hai la scusa del talento puoi sempre scrollarti di dosso le responsabilità e dire “vabbè io non ci sono nato così, quindi non è colpa mia”.
Invece io trovo che sia una grande liberazione e anche una grande opportunità. L’effetto che questa scoperta ha avuto su di me è stata l’esatto contrario: “wow, significa che posso concretamente lavorare per il mio successo, che questa cosa è in parte sotto il mio controllo e che il risultato finale dipende da me”.
Non esagero se dico che questa è stata una delle domande più importanti che io mi sia mai posto e una delle scoperte più illuminanti che io abbia mai fatto.
Solo dopo tutti questi anni ho capito cosa intendeva Einstein quel giorno che ha detto “il genio è 1% talento e 99% duro lavoro”.
Sempre che l’abbia detto Einstein…
Hai ascoltato un episodio di Domande per crescere. Io sono Raffaele Gaito, fondatore del Growth Program, l'academy che ti aiuta a far crescere il tuo business e il tuo mindset. Ti do appuntamento nel prossimo episodio nel quale parleremo di obiettivi. Abbiamo sfiorato l’argomento in questo episodio ed è arrivato il momento di approfondirlo. Metti in play l’episodio 3 per capire come raggiungere i tuoi obiettivi.