Il dilemma del risparmiatore: investire o trading?
Destreggiarsi tra le gestioni professionali e il fai da te
16min
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Episodi di Pianeta soldi
Risparmiare denaro per farlo fruttare e costruire un piccolo tesoretto con l'obiettivo di acquistare una casa al mare o in montagna, oppure aprire un'attività commerciale, o semplicemente garantirsi una vecchiaia serena.
È un proposito di buon senso condiviso dalla grande maggioranza delle persone ma purtroppo resta una chimera per molte di esse. Le recessioni viste a cavallo del primo e secondo decennio causate dalla crisi dei subprime, e nel 2020-2021 per l'emergenza COVID, hanno generato un netto peggioramento di scenario. Molti dipendenti hanno perso il lavoro, per poi ritrovarlo ma a condizioni peggiori, mentre chi aveva un'attività nel migliore dei casi ha visto diminuire i fatturati.
Le spese invece sono rimaste sostanzialmente le stesse. La conseguenza matematica di queste tendenza è una flessione dei redditi disponibili, flessione che a cose normali si traduce direttamente in un calo dei risparmi.
Ciò non è accaduto in Italia con la recessione causata dalla pandemia in quanto il flusso di sussidi statali ha sostenuto i redditi disponibili e i cittadini hanno preferito ridurre i consumi, accantonando almeno in parte i sussidi. Si è trattato però di una situazione eccezionale nella quale la grande incertezza per il futuro ha prevalso su tutto il resto. Nonostante le difficoltà alcuni riescono a disporre di una sorta di "algoritmo dei soldi" efficace e che permette loro di accumulare risparmi. Il concetto è ben spiegato da Emilie Bellet in "You’re Not Broke – You’re Pre-Rich".
Questo algoritmo altro non è che l'insieme delle regole che ognuno di noi segue nel prendere le decisioni che riguardano la sfera economica. Sono regole che possono anche essere irrazionali ma che ogni individuo segue. Da dove arrivano?
Queste regole si formano con l'individuo stesso nel corso della sua vita e delle sue esperienze, partendo da un atteggiamento di base connaturato all'individuo stesso: si potrebbe dire che fa parte del suo DNA.
L'algoritmo dei soldi quindi non è lo stesso per tutti e anche questo è evidente. Alcune persone riescono quindi ad accumulare risparmi e con essi a realizzare i loro obiettivi concreti, come l'acquisto di un immobile o l'avvio di un'attività. Ma ci sono alcuni che preferiscono utilizzare i denari messi da parte per effettuare investimenti finanziari, ovvero per far fruttare i risparmi.
A meno che non si tratti di esperti di finanza, per queste persone si aprono scenari nuovi e interrogativi importanti. Dove investire? Per quanto tempo? Con quali obiettivi? Quanto rischio sopportare? Sono solo alcune delle domande cui un risparmiatore deve dare una risposta precisa per non correre il rischio di commettere errori che potrebbero avere conseguenze molto negative, fino addirittura a vanificare i sacrifici sopportati per accumulare denaro.
Imparare a gestire le proprie finanze e avere più soldi 18 minYou’re Not Broke – You’re Pre-Rich
Il primo e probabilmente più importante punto che il risparmiatore deve chiarire è se intenda prendere direttamente le decisioni di investimento oppure delegare a un esperto.
Se la persona non ha adeguate competenze o non se la sente è molto meglio che segua la seconda strada e utilizzare una delle moltissime soluzioni proposte da banche o imprese di investimento.
Si va dalle gestioni patrimoniali classiche, alle gestioni in fondi, ai fondi di fondi e così via. Il risparmiatore generalmente non delega in modo assoluto al gestore ma imposta una strategia di investimento coerente con il livello di rischio che intende sopportare e con la durata dell'investimento.
Un soggetto con bassa propensione al rischio e orizzonte temporale di 10 anni verrà probabilmente indirizzato dal gestore verso una linea di gestione prevalentemente obbligazionaria, con solo una piccola parte del patrimonio investita sull'azionario.
Una persona giovane che intende far fruttare il denaro con l'obiettivo di acquistare casa per i propri figli tra 20-30 anni potrà invece approfittare della maggiore redditività offerta nel lungo termine dai mercati azionari: in questo caso il gestore consiglierà una strategia più aggressiva con prevalenza della componente azionaria nel portafoglio.
È bene precisare che il gestore non opera direttamente sul denaro del risparmiatore ma lo fa confluire in un fondo insieme a quello di altre decine, centinaia o migliaia di altri risparmiatori per poi gestirlo come un unicum. In questo modo può diversificare l'investimento in modo efficiente e ridurre il rischio complessivo.
Ma affidarsi a un gestore conviene? La risposta non è univoca, dipende molto da quello che l'investitore si prefigge come obiettivo.
Se l'intento è quello di diversificare la risposta è certamente sì: è praticamente impossibile raggiungere lo stesso livello di parcellizzazione del capitale che un gestore riesce a fare, dato che opera con cifre ben oltre la portata di qualunque investitore. Se invece l'obiettivo è quello di ottenere rendimenti superiori a quelli del mercato di riferimento, azionario, obbligazionario o altro, allora la risposta è probabilmente no. Anthony Robbins nel suo "Soldi. Domina il gioco" fornisce un dato che toglie quasi ogni dubbio in merito.
Tra il 1984 e il 1995 solo 8 gestori su 200 riuscirono a battere il Vanguard 500, un indice creato dalla società di gestione di fondi Vanguard che replica l'andamento dell'S&P 500, l'indice più rappresentativo del mercato azionario americano.
Di conseguenza chi si rivolge ai gestori professionisti ha la quasi certezza che non riuscirà a ottenere rendimenti superiori al mercato di riferimento. Ma non è tutto: i gestori vogliono essere pagati nonostante il fatto che quasi mai riescono a battere il mercato!
E ancora: vogliono essere pagati anche se il rendimento è nullo o addirittura negativo! I gestori ottengono infatti due tipi di remunerazione: le commissioni di gestione e le commissioni di performance. Le prime sono addebitate al risparmiatore sempre e comunque, mentre le seconde solo in caso di rendimenti positivi. L'entità di queste commissioni è variabile e dipende sostanzialmente dal tipo di gestione ma può avere conseguenze rilevanti sul rendimento netto per l'investitore, soprattutto nel lungo periodo. Riprendendo il lavoro di Anthony Robbins, con un investimento di un milione di dollari per 30 anni e rendimento annuo dell'8%, l'investitore si troverebbe, in assenza di commissioni, alla fine del periodo con un capitale di ben 10,1 milioni. Ipotizzando per semplicità l'esistenza solo di una commissione di gestione dell'1%, il capitale finale si ridurrebbe a 7,6 milioni.
Se la commissione fosse del 3% le cose andrebbero ancora peggio, con un capitale finale di "soli" 4,3 milioni.
Le strategie per acquisire la libertà finanziaria 23 minSoldi. Domina il gioco
Veniamo al risparmiatore che preferisce occuparsi direttamente dei propri investimenti. Si tratta di un caso particolare dato che per poter svolgere questa attività con successo occorrono competenze finanziarie di alto livello.
Comunque, anche se rari, esistono risparmiatori di questo tipo. Per questi soggetti le possibilità sono ancora maggiori: azioni, obbligazioni, materie prime, valute, derivati. Anche il risparmiatore indipendente deve però misurarsi con il concetto di rischio e prendere una decisione su quanto esporre i propri denari alle fluttuazioni dei mercati.
Generalmente il soggetto che si prende la responsabilità delle scelte di investimento è maggiormente propenso al rischio, a meno che non investa in BOT o simili.
L'investitore che opera in autonomia infatti rinuncia in partenza a gran parte dei benefici della diversificazione cui si accennava sopra in merito alle grandi gestioni.
Si tratta di un concetto che ha basi scientifiche corpose ma che è facilmente comprensibile utilizzando il buon senso, basta ricorrere al vecchio adagio che recita: mai mettere tutte le uova in un unico paniere, in modo tale di evitare di romperle tutte nel malaugurato caso in cui il paniere si dovesse rovesciare.
Appurato che l'investitore fai da te accetta un rischio maggiore, consapevolmente o meno, cerchiamo di capire in modo più approfondito quali strumenti ha a disposizione. Tra gli investimenti finanziari di più semplice accesso troviamo ovviamente azioni e obbligazioni. Le azioni rappresentano quote del capitale delle società per azioni e possono essere quotate su mercati regolamentati e organizzati. In Italia è operativo il mercato gestito da Borsa Italiana.
L'investitore fai da te di norma opera esclusivamente su azioni quotate: investire in azioni non quotate aumenta a dismisura il rischio, soprattutto a causa della non immediata liquidità.
Le azioni quotate hanno un prezzo visibile e in ogni momento possono essere vendute sul mercato. Ben diversa è invece la situazione delle azioni non quotate: per venderle occorre prima trovare un compratore e quindi accordarsi sul prezzo, operazione che potrebbe essere complicata a seconda dei casi. In determinate situazioni il venditore potrebbe anche subire perdite consistenti.
Le azioni presentano un profilo di rischio elevato in quanto rappresentative del capitale della società. È infatti il capitale a essere attaccato per primo dalle pretese dei creditori in caso di fallimento e liquidazione degli attivi insufficiente. Intrinsecamente meno rischiose sono le obbligazioni: si tratta di debiti contratti dalla società e, sempre in caso di fallimento, vengono rimborsati con i proventi della liquidazione degli attivi e, se questi ultimi fossero insufficienti, aggredendo il capitale. Solo se gli attivi liquidati e il capitale non bastano a rimborsare gli obbligazionisti questi ultimi subiscono una perdita.
Il risparmiatore che agisce in totale autonomia ha anche altre frecce al proprio arco. I derivati sono strumenti finanziari "costruiti" su altri strumenti finanziari oppure su attività fisiche come le materie prime. In origine i derivati furono inventati per coprirsi dal rischio di subire perdite proprio sulle materie prime.
Molto sinteticamente possiamo dire che grazie a questi strumenti era possibile compensare le perdite subite in caso di ribasso del sottostante, ovvero la materia prima acquistata in precedenza o comunque detenuta. Questo era possibile grazie al fatto che si poteva vendere il derivato a una frazione del valore del sottostante.
Per fare un esempio numerico, era possibile coprire 100 euro di sottostante con un investimento di appena 5 euro. Questa caratteristica dei derivati li rendeva, e li rende a maggior ragione oggi, utilizzabili per il fine diametralmente opposto a quello originario. Muovere 100 euro di sottostante con 5 euro quando non si hanno attività da coprire diventa un metodo formidabile per amplificare il rischio e fare speculazione.
Fin qui abbiamo fatto riferimento alle materie prime ma i derivati possono avere come sottostante anche azioni, obbligazioni, indici azionari e valute. L'investitore fai da te può quindi utilizzare questi strumenti per la propria attività, a patto che sia cosciente dell'enorme rischio che corre.
Con i derivati se si indovina la direzione del mercato si possono realizzare ingenti guadagni ma in caso contrario si può perdere l'intero capitale investito (o anche peggio in caso di vendita allo scoperto di opzioni).
Parlando dei derivati si è accennato alle materie prime. Si tratta di una possibilità interessante per l'investitore che agisce in autonomia dato che sui mercati delle commodities si creano spesso opportunità speculative molto interessanti.
Per poterle sfruttare è però necessario avere conoscenze specifiche approfondite sull'argomento: quelli delle materie prime sono mercati influenzati da variabili che solo gli addetti ai lavori padroneggiano. Il rischio che le occasioni di guadagno si trasformino in bagni di sangue è molto alto.
Anche quella delle valute è un'opzione percorribile per chi gestisce in proprio i risparmi. Seppur in modo meno vistoso anche il forex offre occasioni di guadagno notevoli ma anche fattori di specificità rilevanti. Non a caso il mercato valutario è ritenuto il più difficile sul quale operare.
Per l'investitore fai da te resta un'ulteriore possibilità, ovvero quella del mercato immobiliare. In sostanza chi investe sul mercato immobiliare lo fa con lo stesso obiettivo di chi opera sui mercati finanziari, cioè compra per poi rivendere a un prezzo più alto per realizzare una plusvalenza.
I risparmi di cui si dispone devono però essere consistenti: fare trading sugli immobili richiede cifre notevoli e la capacità di tenerle bloccate per anni, mentre per operare su azioni la disponibilità finanziaria necessaria è minima e le plusvalenze possono essere realizzate anche in poche ore. Però investire in immobili è considerato meno rischioso, anzi nel senso comune il rischio del "mattone" è sostanzialmente pari a zero.
In realtà non è così: la crisi del mercato immobiliare innescata dalla vicenda dei mutui subprime americani del 2007-2008 dovrebbe insegnare che non esistono investimenti sicuri. Inoltre un immobile è gravato dalla tassazione e soggetto a deperimento, pertanto comporta anche dei costi. Detto questo un immobile acquistato nel momento e nel posto giusto può essere fonte di ingenti guadagni.
Fin qui abbiamo parlato dell'attività di investitore fai da te come un qualcosa di accessorio alla propria occupazione abituale: il soggetto A ha un lavoro, guadagna bene, riesce a risparmiare e quindi investe parte del proprio tempo libero per gestire in autonomia il proprio denaro.
Ma pensiamo per un attimo che A sia molto, molto bravo nell'investire i propri risparmi nonostante il fatto che dedichi solo un piccola parte delle proprie risorse in termini di tempo e impegno mentale a questa attività collaterale.
È possibile che a un certo punto A si ponga una domanda: se la gestione dei miei risparmi è così fruttifera, perché non abbandonare l'attività lavorativa "standard" e dedicarsi totalmente agli investimenti?
Se i risultati sono buoni impiegando solo parte delle mie risorse, perché non dovrebbero diventare ottimi se questa attività diventasse la mia principale o addirittura l'unica? In alcuni casi questo è proprio quello che succede e determina la nascita di un trader privato, cioè un soggetto che si dedica esclusivamente all'investimento di denaro proprio.
Si tratta di una figura professionale che difficilmente poteva esistere prima dell'era Fintech, ovvero prima delle applicazioni IT utilizzate in finanza.
Sarebbe stato molto complicato senza Internet e connessioni veloci poter creare broker specializzati nel trading al dettaglio. Con la diffusione di queste tecnologie anche un privato ha potuto accedere direttamente o quasi alle principali piazze finanziarie del mondo e immettere e vedere eseguiti in tempo reale ordini di acquisto o vendita.
Il passaggio da investitore fai da te nel tempo libero a trader di professione è un salto enorme. Investire i denari guadagnati con un lavoro "normale" e vivere di solo trading sono due cose completamente diverse. Da un lato c'è un'attività professionale più o meno sicura, dall'altro rischio e volatilità portati all'estremo. È per questo che chi decide di dedicarsi esclusivamente al trading deve predisporre un piano dettagliato. Questo concetto è ben illustrato da Andrew Aziz in "How to Day Trade for a Living".
L'autore parla addirittura di piano aziendale da mettere per iscritto, comprendente modelli di trading, regole di valutazione e gestione del rischio e del capitale, strategie e ovviamente la determinazione del capitale iniziale.
Quest'ultimo elemento è fondamentale dato che il trader, anche se capace, all'inizio non ha l'esperienza necessaria a dominare gli aspetti psicologici di questa attività. I problemi principali sono la gestione mentale dei guadagni e delle perdite.
È facile che un inesperto sia preso dall'ansia ed esca dall'operazione non appena vede materializzarsi un piccolo guadagno, rinunciando a profitti ben più consistenti che sarebbero potuti arrivare successivamente.
Nella situazione contraria, ovvero in caso di posizione in perdita, il trader alle prime armi non accetta la sconfitta e il "dolore" della perdita e rimanda l'uscita in continuazione, finendo per subire minusvalenze ingenti.
Quindi il capitale da dedicare al trading deve essere sufficientemente elevato al fine di consentire al professionista di "sopravvivere" al fisiologico periodo iniziale di assestamento, quello in cui il trader deve fare i conti con le proprie ansie, con la propria avidità, con le proprie paure.
Una volta superato questo momento con ancora abbastanza denaro sul proprio conto, il trader inizierà a operare in modo razionale ed organizzato, seguendo il piano stabilito prima di avviare l'attività: se principi e concetti sono validi, riuscirà a vivere di questo mestiere.
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