La crescita economica e lo spettro della disoccupazione
Perché il mercato del lavoro è determinante per la crescita economica e nelle scelte della politica
14min
Perché il mercato del lavoro è determinante per la crescita economica e nelle scelte della politica
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Episodi di Pianeta soldi
La disoccupazione è uno dei problemi principali dei governi di tutto il mondo. La particolare rilevanza non solo economica ma anche sociale del lavoro fa sì che questo tema sia continuamente sotto l’attenzione politica: molti disoccupati significa molti elettori scontenti dell'operato della forza politica in quel momento al potere. Quindi un alto rischio di essere sostituiti a favore della "concorrenza". In Europa i governi degli Stati principali hanno un ministero dedicato all'occupazione.
La disoccupazione è apparentemente un concetto semplice: se un soggetto non lavora è disoccupato. In realtà le cose sono un po’ più complesse. Cerchiamo di capire meglio scendendo nel dettaglio. In Economia la disoccupazione è quella situazione in cui un soggetto si trova a non disporre di un lavoro retribuito. Questa situazione può essere permanente o di lunga durata oppure temporanea: il secondo caso si verifica ad esempio quando il lavoratore dà le dimissioni e ha già trovato un nuovo impiego o ritiene ragionevolmente di trovarlo a breve. Nello specifico si parla di disoccupazione frizionale. La disoccupazione più temuta è ovviamente quella del primo tipo.
La disoccupazione è normalmente involontaria. In altre parole un soggetto sarebbe disposto a lavorare percependo il livello di retribuzione corrente ma, suo malgrado, non ci riesce a causa della mancanza di posti di lavoro. Nel caso della disoccupazione volontaria invece un soggetto, pur in presenza di posti di lavoro disponibili, decide di non lavorare in quanto ritiene troppo basso il livello di retribuzione offerto per quei lavori. Esistono poi altri tipi di disoccupazione, come quella stagionale, che si verifica in settori economici caratterizzati da un'attività non costante durante l'anno: esempi tipici sono l'agricoltura, il turismo e l'edilizia. La disoccupazione parziale invece è quella del lavoratore che è impegnato per un tempo inferiore a quello desiderato: ad esempio i lavoratori full-time che vengono riposizionati a part-time per volontà del datore di lavoro che intende ridurre i costi.
Queste le definizioni di disoccupazione ma quello che conta, soprattutto a livello mediatico, è il tasso disoccupazione. Cerchiamo di approfondire l'argomento per comprenderne appieno il significato. In base alla metodologia utilizzata dall'ISTAT possiamo definire il tasso di disoccupazione come il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro. Ma chi sono le persone in cerca di occupazione? La domanda pare inutile sembrando scontata la risposta. In realtà quando ci si riferisce a dati statistici occorre essere precisi nelle definizioni, altrimenti si rischiano errori madornali.
Le persone in cerca di occupazione sono quelle, di età compresa tra i 15 e i 74 anni, che hanno effettivamente cercato lavoro nelle quattro settimane precedenti la rilevazione, e sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive. Inoltre, sono comprese nel gruppo anche le persone che inizieranno un lavoro entro tre mesi ma che, qualora fosse possibile, inizierebbero entro due settimane. Abbiamo quindi definito quali soggetti entrano nel computo del tasso di disoccupazione al numeratore del rapporto. Il denominatore è costituito dalle forze di lavoro. Queste ultime altro non sono che la somma delle persone disoccupate e quelle occupate. L'ISTAT definisce gli occupati come le persone di 15 anni e più che nella settimana del rilevamento hanno svolto almeno un’ora di lavoro retribuito o anche non retribuito ma nella ditta di un familiare con cui collaborano abitualmente, oppure assenti dal lavoro per ferie o malattia.
Una volta definito con precisione il tasso di disoccupazione è opportuno fornire altri elementi per rendere completa la panoramica e trarre più informazioni possibile dalle rilevazioni statistiche che vengono pubblicate a cadenza regolare. Ad esempio un concetto importante è quello dell'inattività.
Gli inattivi sono soggetti che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero né occupati né disoccupati. Potrebbero esserlo semplicemente per motivi di età. Soggetti con meno di 15 anni e più di 74 anni non fanno parte per definizione dei disoccupati. Negli altri casi ovvero soggetti non esclusi dalle forze di lavoro per motivi di età, si tratta di soggetti che per scelta non lavorano e non cercano lavoro: magari perché non ne hanno bisogno, come persone che vivono di rendita o grazie al reddito del coniuge, del partner o di un familiare.
C'è anche un altro caso, ovvero quello dei lavoratori scoraggiati. Può infatti accadere che alcuni soggetti, pur trovandosi nella condizione di dover cercare un'occupazione, non lo fanno perché sono convinti di non poterla trovare. Normalmente questa convinzione deriva dal perdurare degli insuccessi nella ricerca: dopo un certo periodo e svariati tentativi alcuni di questi soggetti smettono di cercare lavoro a causa della frustrazione che deriva dal non riuscire a trovare un'occupazione. Esiste anche una situazione intermedia, ovvero potenziali lavoratori che smettono di cercare un impiego perché quelli che trovano sono retribuiti in misura non sufficiente o presentano altre condizioni sfavorevoli. La scarsa attrattività dei posti di lavoro disponibili si verifica più frequentemente durante le fasi di recessione dell'economia.
Il fenomeno dei lavoratori scoraggiati è maggiormente diffuso tra i giovani, che hanno come scelta alternativa quella di continuare gli studi, e tra le donne, che per varie motivazioni possono o devono decidere di esercitare il solo lavoro casalingo.
Una volta chiarito il concetto di disoccupazione e relativi metodi di misurazione torniamo a esaminare la questione dal punto di vista politico-economico. L'importanza di questo tema nelle decisioni dei governi in carica è evidente: la posta in gioco, ovvero buona parte dei risultati delle prossime elezioni, è troppo alta per non condizionare l'azione dell'esecutivo. Lo stato di salute del mercato del lavoro trascende però dalle dinamiche politiche e va a incidere direttamente e profondamente sulle condizioni generali dell'economia di un paese o di un'area economica. Per questo motivo in alcuni Stati si è deciso di affiancare all'azione del governo quella di un'istituzione indipendente dalla politica e quindi impermeabile alle oscillazioni dell'umore dell'elettorato.
È questo il caso della Federal Reserve, la banca centrale americana. La Fed ha per statuto il compito di condurre la politica monetaria (decisioni su livello dei tassi di interesse e offerta di moneta) con l'obiettivo di promuovere la forza dell'economia degli USA. Nello specifico il Congresso, omologo del Parlamento italiano, ha assegnato alla Fed il compito di puntare alla massima occupazione e alla stabilità dei prezzi: si tratta del cosiddetto "doppio mandato" che marchia a fuoco l'attività della banca centrale americana. Per massima occupazione il legislatore USA intende il livello più alto di occupazione o il livello più basso di disoccupazione compatibile con un tasso di inflazione stabile: attualmente la Fed considera il 2% di inflazione coerente con il proprio mandato.
Le prerogative della Federal Reserve non sono però le stesse di altre banche centrali. La BCE ad esempio non ha tra le proprie funzioni e obiettivi alcun riferimento all'occupazione, se non in modo generico e indiretto. Nello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea si legge infatti che l’obiettivo principale è il mantenimento della stabilità dei prezzi. In secondo ordine ("Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi..."), la BCE "sostiene le politiche economiche generali dell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato" ovvero, tra gli altri, la piena occupazione. Si tratta quindi di un'impostazione ben diversa: più ad ampio raggio l'azione della Fed, focalizzata principalmente sulle dinamiche monetarie quella della BCE.
Il focus della Fed sulla massima occupazione si è manifestato in modo evidente dopo la crisi del 2007-2008. Il tasso di disoccupazione USA passò dal 4,4% del maggio 2007 al 10% nell'ottobre 2009. La Fed mise in campo l'artiglieria pesante, l'ormai celebre "Quantitative Easing", ovvero un programma di acquisto di titoli enorme, grazie al quale il sistema finanziario ritrovò la liquidità prosciugata dallo scoppio della bolla dei mutui subprime e potè tornare a fornire sostegno al tessuto economico. A inizio 2020 il tasso di disoccupazione ha toccato il minimo dal 1969 attestandosi al 3,5%. Iniziative simili, anche se meno energiche, sono state intraprese anche dalla BCE. In questo frangente di grande difficoltà è emerso chiaramente il limite delle istituzioni politiche, un problema trattato da Dambisa Moyo in "Edge of Chaos".
L'autore prende spunto dalla crisi economica innescata dalla bolla del 2007-2008 per portare una critica ai governi e alle forze politiche.
Questi soggetti non hanno risposto alle difficoltà della popolazione mettendo in atto misure efficaci per far ripartire il motore dell'economia ma piuttosto con provvedimenti di austerità, misure protezionistiche e derive nazionalistiche. Moyo individua la causa di questo nella brevità dei cicli elettorali: normalmente si vota per eleggere i rappresentanti delle assemblee legislative ogni 5 anni.
Fatalmente questo tempo risulta essere troppo breve per far sì che gli eletti si concentrino sui loro doveri e non sui risultati delle prossime elezioni. Un rimedio potrebbe quindi essere l'allungamento dei cicli delle legislature in modo tale da farli coincidere con i cicli economici e quindi incentivare legislatori e governanti a perseguire obiettivi coerenti con l'andamento dell'economia. Moyo si spinge oltre fino a proporre l'eliminazione dei finanziamenti privati ai partiti e alla modifica del sistema elettorale, negando la validità del suffragio universale.
Come la democrazia incide sulla crescita economica 18 minEdge of Chaos
Le soluzioni prospettate da Moyo per vincere le sfide economiche in generale, e quelle dell'occupazione in particolare, si concentrano sull'assetto del sistema istituzionale. Altri studiosi hanno elaborato ipotesi differenti. Particolarmente interessante quella di Clayton M. Christensen, Efosa Ojomo e Karen Dillon: il loro punto di partenza è quello che chiamano "paradosso della prosperità". Il paradosso è rappresentato dall'esistenza di Paesi ricchi, anche molto ricchi, grazie alle ingenti risorse primarie naturali disseminate sul loro territorio.
Questi Paesi però non sono prosperi: in essi non si trovano la libertà sociale, politica ed economica che la loro ricchezza farebbe supporre. Per superare questo grande limite servono innovazioni distruttive capaci di creare nuovi mercati e dare il via a uno sviluppo economico di maggiore qualità rispetto a quello già presente.
In "The Prosperity Paradox" gli autori spiegano come queste innovazioni presentano la particolarità di essere in grado di creare nuovi mercati. Questa caratteristica ha alcune notevoli conseguenze tra cui quella di portare alla creazione di posti di lavoro: si tratta di un elemento fondamentale per raggiungere l'obiettivo della prosperità. Più posti di lavoro e più occupazione costituiscono infatti la base per avviare un processo virtuoso di costruzione di un progresso economico diffuso tra la popolazione. Progresso su cui poi innestare l'accelerazione verso il miglioramento delle condizioni politiche e sociali necessarie per completare il percorso verso la prosperità.
Basarsi sull'innovazione per far uscire un paese dalla povertà 18 minThe Prosperity Paradox
Per Christensen, Ojomo e Dillon le innovazioni che creano mercati sono quindi la via possibile per un progresso delle condizioni complessive di un Paese. Ma purtroppo le innovazioni non sempre hanno questo obiettivo. Anzi, la norma è che i passi avanti nella tecnologia o nei processi produttivi mirano a ridurre i costi di produzione. E la strada più diretta per farlo è diminuire la forza lavoro. L'automazione nella manifattura prima e l'ascesa dell'information technology che vediamo negli ultimi anni stanno creando le basi per una massiccia riduzione dell'occupazione: e stiamo parlando di una riduzione strutturale, non transitoria.
Le conseguenze di questa rivoluzione potrebbero essere drammatiche non solo a livello economico ma anche sociale. Per dare una misura delle dimensioni del problema basta citare un dato riportato in "The War on Normal People" di Andrew Yang: la probabilità che un cittadino americano nato nel 1990 guadagni più dei suoi genitori si attestano al 50%. Un americano nato nel 1940 aveva invece il 94% di probabilità.
Quali iniziative potrebbero essere intraprese per fermare questa deriva? L'autore propone l'adozione dell'UBI (Universal Basic Income, reddito base universale), ovvero assegnare a ogni cittadino americano di età compresa tra i 18 e i 64 anni una somma pari a 12 mila dollari all'anno. La cifra corrisponde grossomodo al reddito che demarca la linea di povertà: quindi l'obiettivo sarebbe di posizionare ogni cittadino al di sopra di quella soglia. L'UBI dovrebbe sostituire ogni altro sostegno economico e, cosa importante, dovrebbe essere assegnato a chiunque, anche a chi ha un'occupazione: questo per non disincentivare il lavoro e consentire a chi già vive sopra la soglia di povertà di migliorare ulteriormente le proprie condizioni di vita e stimolare l'economia.
In linea di massima non sappiamo quali saranno gli scenari che ci riserverà il prossimo futuro. Una cosa è certa: la politica ha un ruolo centrale nel definire gli strumenti e le iniziative per disincentivare la crescita della disoccupazione mondiale.
Come prevenire la disoccupazione attraverso la soluzione UBI 14 minThe War on Normal People
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