Subscription economy: cos’è e come funziona
Una vera opportunità non solo per le startup, ma anche per aziende più consolidate
16min
Una vera opportunità non solo per le startup, ma anche per aziende più consolidate
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Episodi di Pianeta soldi
La subscription economy è infatti così radicata che non ha tanto bisogno di spiegazioni. Forse. Ma di capire quali sono le origini della sua crescita, le sue caratteristiche imprescindibili, i vantaggi per il cliente e l’azienda stessa sicuramente sì.
Esiste grazie agli abbonamenti, e questo è chiaro. Probabilmente penserai che non sia un concetto così nuovo se i tuoi genitori sono stati abbonati per anni a una rivista o se tu lo sei ancora.
E in effetti l’abbonamento in sé non è una novità: continua a essere importantissimo per i giornali cartacei per avere quello zoccolo duro di lettori che garantisce loro l’esistenza in un momento così delicato. Ma sottoscrivere un abbonamento in un mondo digitale è profondamente diverso: lo sottoscriviamo per essere - o credere di essere - liberi.
Cosa intendiamo dire? Che grazie all’addebito su PayPal o sulla carta di credito accendiamo un abbonamento per utilizzare online un prodotto o servizio per il tempo che desideriamo. Questo è subscription economy.
Non miriamo tanto a possedere per sempre l’oggetto dell’abbonamento, ma a usufruirne non appena nasce il desiderio o il bisogno. La serata è noiosa e voglio vedere 3 puntate di una serie? Ecco lì che ci sono Netflix, Infinity o Amazon Prime.
Voglio creare le mie playlist musicali senza interruzioni pubblicitarie mentre ceno con la mia famiglia? Ecco che c’è Spotify, che può diventare anche la colonna sonora del mio negozio per accogliere i clienti e facilitare i loro acquisti. Non scarico le canzoni come si faceva in passato, ma entro nel mio abbonamento e utilizzo Spotify. Quando chiudo il negozio spengo tutto. E alla prossima volta che mi ricollego potrò vedere, in base alle scelte che ho fatto quale altra musica mi proporrà l’app.
Tutto questo è subscription economy. Una tendenza che, stando a uno dei massimi esperti del tema, Tien Tzuo, autore del libro “Subscribed: Why the Subscription Model Will Be Your Company's Future - And What to Do About It”, è iniziata nel 2007 e che come dice in un suo articolo su Medium, è molto di più del proporre un prezzo mensile basso a un prodotto e poi chiamarlo servizio.
Quello che cambia è infatti il modo in cui tale prodotto viene offerto e anche “consegnato”. I clienti, dice Tzuo, sono sempre più interessati a usare i prodotti con soddisfazione, non a possederli. In un mondo in cui la sharing economy ha cambiato l’uso che facciamo di una macchina, una bicicletta e un motorino e in cui Airbnb ha cambiato il modo di affittare le case vacanze, tutto questo è ovviamente comprensibile. Perché le persone vogliono il “latte non la mucca”.
E in tutto ciò bisogna ricordare che, come dice Rory Sutherland nel libro disponibile su 4books dal titolo “Alchemy”, l’essere umano prende decisioni non in base alla razionalità o alla logica, ma piuttosto in base a motivi psico-logici, ossia secondo un sistema logico alternativo e inconscio molto più potente di quanto noi stessi crediamo. E tutto questo va considerato nella progettazione di una subscription ossia di un abbonamento. Come dice ancora Tzuo, il rapporto con gli abbonati non è guidato dai venditori ma dagli abbonati stessi.
Pertanto è fondamentale, in questo tipo di economia, il rapporto con il cliente che va analizzato guardando più a cosa desidera, a cosa vuole e alle sue “mancanze” che considerandolo da un punto di vista meramente “sociale”. Nel senso che non conta tanto l’età anagrafica o il fatto che una persona si trovi in una determinata zona per costruire l'abbonamento adatto, ma ciò di cui ha davvero bisogno e come vuole ottenerlo.
Nel progettare il servizio sicuramente vanno ben analizzate le buyer personas e non bisogna puntare sul target. Anche perché, se per esempio partiamo dai Millennials, si tratta di una clientela con caratteristiche molto specifiche: si aspetta un’interazione più personalizzata, che risponda al suo modo di vedere il mondo (valori) e che mostri come l’azienda esplica questi valori attraverso il servizio che propone. Inoltre, si aspetta un’esperienza real time con realizzazione immediata.
D’altra parte, l’abbonamento a un servizio deve essere la risposta a un bisogno o meglio la soluzione a un problema. Come infatti dice Artiom Dashinsky in “Generating Product Ideas”, sarebbe sempre bene cominciare più che con una lista di idee con una lista di problemi che si vogliono risolvere.
Capire quando la logica non è la scelta migliore 15 minAlchemy
Ecco perché tra le caratteristiche della subscription economy c’è il fatto che spesso i servizi in abbonamento sono progettati con diversi livelli di accesso. A volte partono dalla modalità freemium, crasi di free e premium, vale a dire un servizio che in un primo momento si propone gratuito per farsi conoscere, fidelizzare ma che poi offre determinate funzionalità solo se si fa una sottoscrizione.
Ragiona in questo modo Spotify per esempio che solo a chi ha fatto l’abbonamento permette di saltare da una canzone all’altra all’interno di una playlist: diversamente, chi l’ascolta deve non solo essere interrotto dalla pubblicità, ma non può neanche godere a pieno del servizio ossia ascoltare la musica che vuole, nell’ordine che vuole.
Netflix, invece, permette di diversificare i gusti all’interno di una stessa famiglia creando i profili. Si possono impostare fino a cinque profili diversi per ogni account e questo può essere utile per i genitori perché permette di impostare limitazioni di visualizzazione specifica, così da essere tranquilli quando i figli guardano lo streaming. Ma consente a ogni membro della famiglia di avere un proprio registro dell’attività di visione, suggerimenti personalizzati relativi a serie TV e film, una lista personale, fare le proprie valutazioni di quanto si è visto.
Si parla addirittura di “netflixizzazione” che indica come Netflix, puntando sempre più sulla personalizzazione, possibile grazie a machine learning e a intelligenza artificiale, utilizza una serie di fattori come le interazioni con il servizio, il tempo di permanenza sulla piattaforma, il device scelto ecc... per offrire il miglior servizio di abbonamento possibile.
L’interazione, come si può leggere nel libro “HCE la scienza delle interazioni umane” di Paolo Borzacchiello e Luca Mazzilli, peraltro, è qualcosa di molto avanzato e coinvolge le persone in un dialogo. Conta molto la risposta dell’interlocutore per potersi influenzare a vicenda: abbonato e servizio proposto in abbonamento.
E questo apre a un’altra caratteristica della subscription economy: la co-creazione. Il che, nel mondo digitale e secondo quanto abbiamo detto finora, mostra com’è molto diverso dall’abbonamento che si fa con una rivista.
I consumatori, o meglio sottoscrittori, hanno infatti un ruolo chiave nel creare un servizio che sia qualitativamente valido e migliorabile durante il corso dell’abbonamento. Il valore di questo dunque non è dato solo dal prodotto offerto, ma dal fatto che, raccogliendo più dati possibili e feedback in merito, chi lo eroga lo modula a seconda delle necessità. Ecco perché si può parlare di una creazione “co”, cioè che avviene insieme.
E che da parte dei consumatori forse anche piuttosto inconsapevolmente. Cosa intendiamo? Che così abituati a dare un parere scritto e tramite le cosiddette stelline di ranking, i consumatori forse non sono così consci di quanto stanno dando al servizio stesso.
Dal canto loro, le aziende più lungimiranti premiano le persone che commentano e danno suggerimenti, in modo da riconoscere il loro valore nella costruzione di un servizio che sia sempre più adatto a chi lo utilizza. D’altra parte anche quella di ottenere dei feedback è un’arte e vanno utilizzate le parole giuste per far sì che la persona voglia davvero darlo.
Come dice Phil M Jones nel libro pubblicato su 4books dal titolo “Exactly What to Say”, introdurre i propri servizi o prodotti con domande come “Quanto sei aperto a valutare questo prodotto/servizio/alternativa?” hanno il successo garantito.
Le parole magiche che influenzano e fanno la differenza 14 minExactly What To Say
Tra le altre caratteristiche della subscription economy c’è poi la diversa customer experience e il diverso customer journey, ossia il viaggio che l’abbonato o potenziale tale compie per arrivare a fare la sua sottoscrizione.
Considerando il fatto che una persona può arrivare a un servizio nei modi più svariati, conta non solo la content strategy alla base della comunicazione di esso, ma anche approfondire tutte le tappe di questo viaggio per migliorarle e far sì che sia il meno arzigogolato possibile. Inoltre, far sentire la propria presenza durante questo viaggio aumenta la fidelizzazione dell’utente che si sarà sentito accudito e considerato. Un esempio può essere migliorare l’esperienza di acquisto con carta di credito e PayPal, ma anche utilizzare un chatbot. E ancora quello che tutte le piattaforme di streaming utilizzano come un mantra ossia “Disdici quando vuoi”.
Quest’ultima frase chiama poi un altro concetto fondamentale della subscription economy: la gestione delle sottoscrizioni che deve prevedere un sistema snello, agile, funzionale. Ricordi quando abbiamo detto che il cliente vuole il latte ma non la mucca? Ecco, il segreto alla base degli abbonamenti, è che se a un certo punto non vuole più bere il latte vaccino perché gli fa male, deve poter passare tranquillamente al latte vegetale.
Questa è ovviamente una metafora, però ci serve per capire una cosa fondamentale: nel progettare il servizio ci si deve concentrare sulla possibilità di abbandono che deve essere facile e immediata, come la sottoscrizione dell’abbonamento.
Inutile puntare su un servizio eccelso senza pensare alla disdetta. Inutile cercare di convincere il cliente a restare con sconti e promozioni. Garantire la facilità di abbandono vuol dire, magari, conquistarlo successivamente e soprattutto capire il suo bisogno temporaneo.
Pertanto personalizzazione, fidelizzazione e libertà sono tre parole chiave per la subscription economy.
Finora abbiamo parlato di Netflix e Infinity, immaginando una sottoscrizione 100% digitale, ma dobbiamo dire che stanno trovando sempre più spazio nelle cosiddette subscription box.
Di cosa si tratta? Sempre di abbonamenti sì, ma che permettono di ricevere mensilmente o con altra periodicità, scatole di prodotti che variano dal cibo ai cosmetici, passando per l’abbigliamento e il cibo per cani e altro ancora.
Alzi la mano chi, guardando il feed di Instagram, non si è imbattuto nella pubblicità di Lookiero o chi non conosce le mitiche scatole di Cortilia. Siamo sicuri che bene o male saprai di cosa stiamo parlando. In alcuni casi, il cliente sa cosa gli arriverà perché l’ha scelto, in altri lo scopre nel momento in cui aprirà la scatola e farà il famoso “unboxing” tanto protagonista sempre su Instagram ma anche su YouTube.
Gli abbonamenti per queste “scatole” possono avere una durata che va da un minimo di 3 mesi a un massimo di 12 mesi. E se si vuole provare la scatola solo una volta? Si può fare ma ovviamente il costo è più alto. Alcuni esempi di subscription box?
Da qualche anno a questa parte è comparso Lookiero che funziona così: ci si iscrive al servizio dando indicazioni sul proprio fisico, sul proprio modo di vestire ecc… e si riceve a casa una scatola con dei vestiti scelti da un personal shopper. Si possono prendere in toto o acquistare solo quelli che si vogliono. Il servizio di styling costa 10 euro, ma se si acquista almeno un capo è gratuito. Si può acquistare la scatola una tantum o sottoscrivere diversi tipi di abbonamento come mensile, bimestrale, trimestrale. Un altro esempio di subscription box è Hoppípolla che offre su abbonamento mensile delle scatole con contenuti di vario tipo: libri, prodotti di cartoleria, il magazine della casa editrice e altro ancora.
L’obiettivo è quello di “saltare nelle pozzanghere” (questo vuol dire il nome) e diffondere cultura indipendente. Anche in questo caso si può decidere cosa c’è nelle scatole, per esempio acquistando quella del mese precedente o farsi inviare quella nuova e aspettare la sorpresa. Interessante è il fatto che Hoppípolla sia anche una casa editrice e che abbia pubblicato diversi libri di artisti emergenti che vengono distribuiti tramite le box o nelle librerie indipendenti. La subscription box ovviamente piace molto ai clienti come regalo “alternativo”, ma chi la regala a se stesso lo fa anche per lasciarsi stupire in un momento delicato come quello che stiamo vivendo e per avere un dono con una certa frequenza. Funziona per il fatto che l’attesa fa accrescere il desiderio e che poi si tratta spesso di oggetti, come in questo caso, che non si trovano facilmente.
Detto questo vediamo quali sono i vantaggi della subscription economy per le aziende. Brand awareness: per le startup, come quelle appena citate, il vantaggio è di farsi conoscere e diffondere il proprio brand. E non solo: una volta trovati gli utenti che possono apprezzare abbonamenti del genere, si riesce ad avere un giro di clientela fidato e che crede nel progetto. Magari non si fanno grandi numeri, per esempio con le subscription box, ma chi acquista lo fa perché vuole davvero.
Semplifica i passaggi: la subscription economy non è complicata, anzi è immediata e veloce. Abbonarsi a Netflix non prevede lungaggini e chissà quali attese prima di avviare il servizio e questo piace tantissimo.
Si ha un rapporto diretto con i clienti e questo aiuta molto in ottica di customer retention: le persone sono mediamente più soddisfatte e restano più a lungo. Per disdire un abbonamento devono davvero trovarsi male, anche perché spesso lo fanno dopo mesi rispetto a quando magari avrebbero voluto.
Si può poi lavorare di upselling e cross-selling: questo perché conoscendo meglio i clienti saprai come proporre una versione più aggiornata dell’abbonamento (basti pensare a Netflix che ha puntato sul fatto di vederlo da più device). E potrai anche, in modalità cross, proporre prodotti diversi.
Per farti un esempio: Daggiù è una subscription box con prodotti che vengono dal Sud e che ovviamente ha puntato sulla malinconia degli emigrati che vogliono consumare quello che viene dalla loro terra. In questo caso, oltre al pacco che viene mandato mensilmente, viene proposta l'agendina Daggiù 2021 con curiosità sul Sud e che è anche un libro da colorare per i bambini.
Migliore flusso di cassa: l’abbonato “anticipa” delle spese. Cosa intendiamo? Che se una persona effettua un abbonamento per un tot di mesi questo garantisce delle entrate fisse e porta l’azienda a migliorare il prodotto anziché avere l’acqua alla gola.
E quali sono infine i vantaggi per il cliente? Sono diversi, eccone alcuni. Facilità di utilizzo: sottoscrivere un abbonamento del genere non comporta decoder, acquisto di chissà quale TV o nel caso della musica di chissà quali casse. Spesso basta lo strumento che tutti utilizzano: lo smartphone. Esclusività: come nel caso del pacco di Daggiù, chi aderisce all’abbonamento è tra i privilegiati che riceverà una delle 200 scatole. In questo caso la startup non spedisce tantissimi prodotti, ma lo fa solo a una clientela selezionata. E le spedisce tutte nello stesso momento perché, come si può leggere, l’azienda vuole ridurre le emissione di CO2.
Sentirsi parte di una community: chi sottoscrive un abbonamento entra a far parte di un mondo. Se chi lo realizza, è bravo anche nella comunicazione, può creare degli spazi ad hoc sui social o anche in un’area extra del sito, per far sì che i vari sottoscrittori si confrontino, si diano suggerimenti e tanto altro ancora.
Questi sono solo alcuni dei vantaggi per i clienti, quello che è certo è che il mondo degli abbonamenti è sempre più un mondo a sé, da studiare e valutare se si vuole puntare su personalizzazione e fidelizzazione. Per le startup, ma non solo.
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