Strategia di impresa: un processo aperto

Il mondo degli affari può essere considerato un vero e proprio campo di battaglia. Gordon Gekko, lo speculatore di borsa senza scrupoli protagonista del film "Wall Street", per spiegare al discepolo Bud Fox come riuscire a fare soldi cita "L'arte della guerra", un testo attribuito al generale cinese Sun Tzu vissuto tra il 300 e il 400 prima di Cristo. Si tratta di un libro che illustra in tredici capitoli come impostare la strategia di guerra e condurre la battaglia sul campo. L'arte della guerra è tuttora utilizzato nelle scuole militari e presenta la caratteristica di contenere indicazioni utili da applicare anche in ambiti diversi da quello bellico. In particolare, l'opera di Sun Tzu viene spesso utilizzata nell'analisi dei processi decisionali: appare chiaro adesso che la citazione di Gekko era tutt'altro che frutto della fantasia di uno sceneggiatore.

Ma cosa si intende esattamente per strategia? Il termine deriva dalla disciplina militare e indica l'insieme di azioni volte a individuare gli obiettivi generali e finali di una guerra, per poi procedere all'elaborazione dell’azione e quindi alla preparazione dei mezzi per conseguire l’obiettivo avendo cura di ridurre al minimo i danni ai propri uomini. Questa tecnica può facilmente essere estesa a campi di attività che nulla hanno a che fare con quello militare. In generale, ogni volta che ci si prefigge un obiettivo e il conseguimento dello stesso risulta in qualche modo ostacolato dalle circostanze ecco che l'utilizzo di una strategia diventa molto utile, spesso indispensabile per realizzare il proprio progetto. Appare fin troppo evidente che nella gestione di un'azienda o un gruppo imprenditoriale l'adozione di una strategia è pratica corrente.

Purtroppo il termine strategia viene usato spesso in senso retorico, senza che chi lo usa intenda realmente significare ciò a cui esso si riferisce. Accade infatti che si affermi "abbiamo una strategia vincente" senza descriverla, oppure indicando solo l'obiettivo da raggiungere, come se quest'ultimo fosse la strategia stessa. Ovviamente non è così, la strategia è un processo strutturato in modo preciso ed è frutto di analisi approfondite. Richard Rumelt nel suo libro "Good Strategy/Bad Strategy" descrive in modo chiaro il concetto. La strategia è composta da tre fasi ben distinte: diagnosi, linee guida e azione coerente.

Con la diagnosi il management analizza la situazione attuale dell'azienda, ne individua i punti di forza, le debolezze, i processi in corso in quel momento e il loro punto di arrivo probabile. Teorici e pratici della materia hanno elaborato alcuni metodi e modelli per realizzare questa prima fase. Il modello più famoso è quello SWOT, inventato da Albert Humphrey dell'Università di Stanford. SWOT è l'acronimo delle parole Strengths (punti di forza), Weaknesses (punti di debolezza), Opportunities (opportunità) e Threats (minacce) e può essere utilizzato per analizzare un'azienda (o anche un singolo progetto). Lo SWOT è frazionabile in due parti: SW, che costituisce l'analisi dell'ambiente interno all'azienda, e OT, che invece si focalizza sugli agenti esterni. Altro modello spesso utilizzato nella fase della diagnosi è quello delle cinque forze competitive di Porter, inventato da Michael Eugene Porter, della Harvard Business School. Questo metodo si concentra sull'analisi degli agenti esterni ovvero: i concorrenti, i fornitori, i clienti, i potenziali concorrenti entranti e i produttori di beni/servizi sostitutivi a quelli dell'azienda. Possiamo quindi affermare che il modello di Porter si focalizza sull'elemento concorrenza e sulle forze che lo compongono.

Nella fase successiva il top management è chiamato a individuare le linee guida che costituiranno il telaio, lo scheletro sul quale verrà poi disegnata l'azione. Esse non forniscono solo la direzione da seguire ma definiscono anche l'atteggiamento da adottare per fronteggiare gli ostacoli. Infine l'azione coerente, ovvero una serie di atti concreti messi in essere a vario livello nell'azienda. Per realizzare questo ultimo passaggio è necessario predisporre risorse adeguate e monitorare costantemente che le azioni siano coordinate e coerenti con le linee guida.

Non tutte le ciambelle riescono col buco ovviamente, pertanto è possibile imbattersi in strategie che si rivelano sbagliate. Gli errori più comuni sono la definizione di obiettivi in contrasto tra di loro, la dispersione delle risorse (al posto della concentrazione delle stesse in modo coerente con quanto indicato dalle linee guida) e/o la scarsa competenza nell'utilizzo delle stesse. Secondo Rumelt esistono dei segnali specifici che permettono di individuare rapidamente se siamo in presenza di una cattiva strategia. Il primo si riscontra quando chi la espone fa ampio utilizzo di termini roboanti o ricercati: si tratta molto probabilmente di un tentativo di simulazione di un pensiero di alto livello ma che invece si rivela privo di contenuti validi. Il secondo è l'incapacità di individuare in modo preciso quali sono gli ostacoli da affrontare: è verosimile che in questo caso la fase della diagnosi sia stata lacunosa (o inesistente). Il terzo è la mancanza della predisposizione di piani concreti per superare le difficoltà, lasciando piuttosto spazio a mere espressioni di desiderio. Il quarto è prefissare target strategici palesemente inconsistenti o incapaci di fronteggiare problemi concreti.

In base alla descrizione condotta fin qui potrebbe sembrare che la strategia sia un processo che porta a una definizione rigida e intoccabile di un progetto di sviluppo da realizzare seguendo pedissequamente quanto prescritto. E invece non è così: la strategia è un processo aperto principalmente alle sollecitazioni e agli impulsi provenienti dall'esterno. La capacità di assumere informazioni nuove e rielaborarle per aggiornare la strategia è una delle chiavi per la riuscita dell'intero progetto. Ma la risposta ai feedback esterni non è l'unica opzione percorribile per adeguare la strategia. Un fattore chiave, anche se non controllabile né gestibile, è rappresentato dall'intuizione: è questo l'elemento che può trasformare una buona strategia in un successo imprenditoriale senza precedenti.

Esistono alcuni casi universalmente conosciuti in cui un'intuizione ha creato i presupposti per la creazione di autentici imperi economici. Prendiamo ad esempio la storia di Nike, il cui "inventore" Phil Knight ha descritto in "L’arte della vittoria". L'idea di mettersi a vendere scarpe è nata osservando il successo delle auto giapponesi sin dalla fine degli anni '50. Erano vetture di ottima qualità e con un prezzo decisamente conveniente. Knight si accorse che anche le macchine fotografiche giapponesi erano molto apprezzate per lo stesso motivo e stavano soppiantando quelle tedesche, che fino a quel momento erano sempre state le migliori. Essendo uno sportivo appassionato di mezzofondo conosceva molto bene le scarpe da corsa prodotte in Giappone e si rese conto che anch'esse avevano gli stessi pregi delle auto e della macchine fotografiche realizzate nel Paese del Sol Levante: ottima qualità e prezzo basso. Non esisteva una rete di vendita organizzata di queste scarpe negli Stati Uniti e d'altro canto si trattava di un prodotto di nicchia riservato agli sportivi: si era all'inizio degli anni '60 e certe attività non erano diffuse come oggi. Knight intuì che scarpe così qualitative e allo stesso tempo convenienti non potevano non avere successo e divenne importatore negli USA per Onitsuka. Qualche anno dopo i rapporti con i giapponesi si fecero tesi e si rese necessario un cambiamento di strategia: la società creata per l'importazione delle scarpe, la Blue Ribbon Sports, cambiò il nome in Nike e iniziò a produrre in proprio le scarpe. In seguito Knight attuò un'altra rivoluzione, un'operazione che si era resa necessaria al fine di sostenere adeguatamente la struttura finanziaria di un gruppo che stava diventando un vero colosso: cambiò totalmente la sua idea iniziale, che era quella di creare una "società-missione" gestita in completa autonomia, per quotarsi in borsa e diventare quindi una public company capace di attrarre risorse finanziarie in modo più robusto ed efficiente.

Phil Knight

L’arte della vittoria

La storia del fondatore di Nike

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Un altro cambio radicale di strategia fu quello operato da Steve Jobs quando nel 1997 fece ritorno in Apple dopo la cacciata del 1985. Il colosso di Cupertino era sull'orlo del fallimento a causa di scelte sbagliate. Jobs operò un drastico taglio alla produzione, riducendo all'osso la gamma di pc in vendita e puntando sullo sviluppo del software: poteva infatti contare sul lavoro svolto in NeXT nel decennio di esilio e sul sistema operativo NeXTSTEP sviluppato in quel periodo. La capitalizzazione di mercato di Apple all'inizio del 1997 era di circa 3 miliardi di dollari; oggi è superiore ai 2 mila miliardi. Tornando al concetto di intuizione vincente non si può non menzionare quella di Sam Walton, fondatore della catena di supermercati Walmart. Walton voleva aprire punti vendita anche nelle piccole città ma questo si scontrava con la convinzione che ogni supermercato dovesse avere un bacino di utenza di almeno 100mila persone. Walton riuscì a superare questo problema spostandolo al livello dei centri di distribuzione e logistica: questi ultimi vennero posizionati strategicamente al centro di aree densamente popolate o comunque collocati in modo da riuscire a servire un numero adeguato di punti vendita, in modo tale che questi ultimi potessero essere "polverizzati" anche in piccoli centri ma con il supporto della rete logistica.

Un caso di scuola sul tema del cambio di strategia è rappresentato da Amazon. Come narrato da Brad Stone in "The Everything Store", nel 1994 Jeff Bezos fondò la società con l'obiettivo di vendere libri on-line con consegna a domicilio per sfruttare le potenzialità della rete e dell'e-commerce. La scelta del tipo di prodotto da commercializzare cadde sui libri in quanto si trattava di un settore con scarsa concorrenza, scelta amplissima, facilità di stoccaggio/consegna e basso tasso di delusione post-acquisto dato che chi compra un libro normalmente sa cosa aspettarsi: quest'ultima caratteristica risultava decisiva in abbinamento alla possibilità per i clienti di rilasciare delle recensioni. Durante il primo periodo di attività Bezos si rese però conto di una cosa: gli americani erano pessimi lettori, ovvero acquistavano pochi libri. In compenso erano entusiasti di ricevere i loro acquisti comodamente via posta. Da questa ultima considerazione scattò il cambiamento di strategia: se i clienti amano ricevere gli acquisti via posta ma non i libri perché vendere loro solo libri e non tutto il resto? Beh, non proprio tutto ovviamente! I prodotti da vendere tramite Amazon dovevano avere due caratteristiche: essere facilmente inviabili per posta e presentare qualche difficoltà di reperimento nei negozi fisici. I primi articoli su cui puntare furono DVD e CD musicali. Altre intuizioni fondamentali per decretare il successo furono il focus sulle recensioni e la classifica dei prodotti più venduti aggiornata in tempo reale. Anche il sistema di memorizzazione dei dati per il pagamento e la spedizione con conseguente velocizzazione del processo di acquisto si sono rivelati elementi vincenti. Ma la svolta strategica più clamorosa è stata senz'altro quella che ha portato alla creazione di Kindle, ovvero un dispositivo che si propone di sostituire (nel lungo periodo) i libri, ovvero il prodotto sul quale e per il quale è nata la stessa Amazon.

Molto interessante anche la storia di Netflix. Marc Randolph, autore di "Non funzionerà mai" nel 1997 voleva fondare un'azienda simile ad Amazon, ovvero attiva nel settore delle vendite on-line con consegna via posta. Per alcuni mesi Randolph si trova a passare molto tempo con Reed Hastings: i due vanno al lavoro insieme con l'auto. Hastings gli suggerisce un'idea: non vendere ma noleggiare, in modo tale da vendere lo stesso oggetto più volte. Randolph pensa subito ai film in VHS (le vecchie videocassette) ma sono troppo grandi e delicati per essere inviati via posta. In quel periodo iniziano a circolare i primi DVD: ecco l'idea, però occorre sperimentarla. Randolph e Hastings decidono di comprare un DVD e spedirlo a casa di Hastings per vedere se arriverà il giorno dopo e in che condizioni. I tempi sono talmente prematuri che nel negozio dove si fermano lungo il tragitto non hanno DVD ma solo CD. I due fanno la prova con il CD e funziona: il pacchetto arriva il giorno dopo in ottime condizioni. Quindi, si può fare! Netflix viene fondata nel 1998 e ottiene subito un discreto successo commerciale ma dal punto di vista finanziario le cose non vanno bene, al punto che Blockbuster si offre di acquistarla. Hastings (divenuto nel frattempo CEO al posto di Randolph) rifiuta e fa bene perché grazie ad alcune intuizioni commerciali (come l'abbonamento mensile per il noleggio) la società prende il volo. Nel 2007 lancia la visione dei film in streaming: inizia il distacco dal business originale del noleggio dei DVD. Nel 2013 un altro salto in avanti con la realizzazione di contenuti originali come la serie House of Cards.