
Memoria: come funziona e come migliorarla
Quali sono i meccanismi di base, in che modo è collegata allo stress e come memorizzare più informazioni
16min

Quali sono i meccanismi di base, in che modo è collegata allo stress e come memorizzare più informazioni
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Episodi di Psicolibrarsi
La memoria è la capacità di conservare nel tempo le informazioni e recuperarle quando necessario. L’atto di ricordare è meno scontato di quanto potrebbe sembrare.
Ogni nuova esperienza agisce sulle connessioni tra i neuroni, modificandole. La memoria quindi è un processo attivo, in cui le informazioni vengono rielaborate di continuo assumendo sempre nuovi significati.
La memoria è una funzione fondamentale del nostro organismo. Ricordare informazioni sul nostro ambiente consente di agire meglio in esso, anticipare i pericoli e cogliere le opportunità.
Ricordi e conoscenze ci servono per fare piani e previsioni.
La memoria è come un “doppio imbuto”: uno rivolto al passato e uno al futuro. Siamo molto abili a creare aspettative precise sul breve periodo, mentre abbiamo più difficoltà a prevedere cosa accadrà in un futuro più distante. Ad esempio, sappiamo anticipare con un buon grado di sicurezza come sarà il nostro ambiente tra una manciata di secondi o di qualche ora; siamo invece meno precisi nel prevedere cosa accadrà tra dieci anni.
La memoria conserva le informazioni attraverso un procedimento specifico che implica tre fasi distinte:
La memoria degli individui è soggetta a suggestioni e re-interpretazioni personali.
Ricordare è un processo attivo e dinamico, che dipende dalla storia di ciascun individuo e dal contesto specifico in cui avviene il ricordo. Un’aula di tribunale ad esempio suscita emozioni diverse rispetto a una cena tra amici. I ricordi non sono una fotocopia della realtà: ogni volta che ricordiamo il cervello rielabora e riorganizza le informazioni, cambiandole un po’.
Ciò avviene perché la quantità di informazioni che dobbiamo immagazzinare è immensa, e quindi abbiamo bisogno di comprimerle in uno spazio minore. Un po’ come quando scarichiamo una cartella compressa sul computer: le informazioni sono tutte lì, ma occupano meno spazio.
In fase di recupero, ovvero quando rievochiamo un ricordo, il cervello deve “estrarre” dalla cartella compressa i documenti. Non essendo preciso come un computer, però, il processo di recupero implica un certa quota di approssimazione.
Secondo il modello classico della memoria - quello dei ricercatori Richard Atkinson e Richard Shiffrin del 1968 - esistono tre tipologie di memoria:
Memoria a breve termine e memoria di lavoro non sono proprio la stessa cosa.
Nel 1986 lo psicologo Alan Baddeley ha individuato all'interno della memoria a breve termine una nuova componente, che ha chiamato “memoria di lavoro” (working memory).
Piuttosto che un contenitore di informazioni di breve durata, la memoria di lavoro, secondo Baddeley, ha un ruolo attivo:
Tale sistema può aggiornarsi in tempo reale e consente di focalizzare l'attenzione e prendere decisioni nel corso di attività quotidiane complesse (ad esempio il ragionamento, l'aritmetica, la comprensione linguistica).
Secondo l’approccio più antico, quello detto “associazionista”, i ricordi si formano tramite associazione temporale. In poche parole, secondo questo modello ci ricordiamo che la neve è bianca perché questo fenomeno atmosferico e il colore bianco si verificano insieme.
Secondo questa teoria, ogni segnale registrato dalle cellule cerebrali porta alla creazione di nuovi collegamenti tra neuroni. La vicinanza di due stimoli crea connessioni privilegiate.
Hermann Ebbinghaus, appartenente a questo approccio, già nel 1895 aveva scoperto la “curva dell’oblio”. Secondo questo principio ricordiamo le cose molto bene appena le abbiamo apprese, ma nel tempo le dimentichiamo e aumentano gli errori nel recupero di informazioni.
Lo stesso effetto si verifica anche al contrario: quando ripetiamo molto spesso un’informazione (ad esempio una poesia), diventiamo sempre più accurati nel riprodurla.
La memoria è un processo attivo, frutto dell’integrazione delle nuove informazioni con gli schemi delle persone. I ricordi non sono copie fedeli, ma ricostruzioni individuali.
Tra le principali prove sperimentali a sostegno di questa visione ci sono gli esperimenti dello psicologo britannico Frederic Bartlett. Nel 1932 Bartlett elaborò un esperimento: dopo aver fatto leggere una storia oppure osservare una figura, chiedeva in momenti diversi di ripetere quanto letto o visto in precedenza. Bartlett osservò che le persone ricordano solo pochi dettagli importanti di un’esperienza e nel corso del ricordo ricostruiscono le parti mancanti sulla base della propria interpretazione.
Qualche decennio dopo, nel 1974, i ricercatori Loftus e Palmer dimostrarono la scarsa attendibilità giudiziaria dei ricordi. Dopo aver mostrato a soggetti sperimentali alcuni filmati di incidenti d’auto, i due ricercatori chiesero di fare una stima della velocità dei veicoli al momento dell’impatto. Le domande utilizzavano parole diverse riferendosi allo scontro dei veicoli: toccati, urtati, scontrati, entrati in collisione o sfasciati.
I ricercatori osservarono che le stime erano direttamente collegate alla forza dell’impatto che si esprimeva col verbo utilizzato. Grazie all’approccio strutturalista si comprese che in ambito legale l’uso dei testimoni oculari deve essere adottato con cautela, perché i ricordi sono influenzati da schemi soggettivi e domande fuorvianti poste dagli avvocati.
Un ulteriore approccio teorico è quello dell’H.I.P. (da Human Information Processing), ovvero il Modello dell’Elaborazione dell’Informazione. Il modello paragona il funzionamento del cervello umano a quello di un calcolatore elettronico. Non ci si sofferma più sui contenuti di memoria, ma sulle fasi di elaborazione delle informazioni.
Da questo approccio è nata l’idea di un modello della memoria composto da più parti: memoria sensoriale, a breve termine e a lungo termine.
La memoria sensoriale è in grado di immagazzinare informazioni sensoriali in modo molto accurato ma per brevissimo tempo (da 0.25 a 2 secondi). Il trasferimento dalla memoria sensoriale alla memoria a breve termine si basa sull’attenzione. Se le “immagini” sensoriali ricevono un certo grado di attenzione vengono trasferite alla memoria a breve di lavoro.
La memoria sensoriale è quindi per lo più inconsapevole e dotata di una capacità ampia. Tra le diverse memorie sensoriali, quelle più studiate sono quella visiva e uditiva.
La memoria a breve termine: perché 7 è il numero magico
La memoria a breve termine riceve informazioni sia dalla memoria sensoriale che da quella a lungo termine. È dotata di capienza limitata e le informazioni permangono per meno di 20 secondi. Ripassare le informazioni accresce la probabilità di ricordarle, ossia di farle entrare nella memoria a lungo termine.
La quantità di informazioni che il sistema riesce a misurare è stata misurata negli anni Cinquanta dal ricercatore George Miller. Miller ha osservato che i limiti di capacità della memoria a breve termine possono essere compensati immagazzinando l‘informazione in chunks, ovvero gruppi di elementi collegati da un filo comune. La capacità di raggruppare le informazioni è uno dei fattori che producono differenze individuali nella capacità di memoria.
La memoria a lungo termine (MLT), è dotata di capienza e durata pressoché illimitate, e contiene informazioni ripassate a lungo nella memoria a breve termine.
Alcuni autori hanno fatto una distinzione tra memoria implicita o procedurale (quella che ci permette di ricordare come si va in bici), e memoria esplicita o dichiarativa, che riguarda le conoscenze consapevoli che sappiamo verbalizzare (ad esempio informazioni sulla Seconda Guerra Mondiale).
Ricordiamo meglio l’inizio e la fine
Gli esperimenti che hanno portato a definire la differenza tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine hanno fatto emergere anche un altro effetto interessante. Quando dobbiamo ricordare una lista, ricordiamo meglio gli item presentati all’inizio e alla fine. Ciò è dovuto a due effetti:
Numerosi studiosi hanno approfondito il legame tra emozioni e memoria, focalizzandosi in particolare sulla possibilità che le emozioni potenzino o inibiscano la memoria. È esperienza comune ricordare soprattutto eventi salienti dal punto di vista personale fino ad arrivare, nel caso di tragedie inaspettate vissute dai singoli o da intere comunità (come l’omicidio Kennedy o gli attentati alle Torri Gemelle), alle memorie flash o fotografiche (flashbulb memories). Le memorie flash sono ricordi chiari, molto vividi e ricchi di dettagli nella loro sequenza anche a distanza di molti anni.
Secondo l’ipotesi della modulazione della memoria, un ruolo centrale nel fenomeno delle memorie flash sarebbe giocato dall’amigdala e dagli ormoni dello stress. Un evento che suscita forti emozioni di paura, ad esempio, viene ricordato meglio, perché gli ormoni dello stress (come il cortisolo) rinforzano le connessioni tra neuroni che sostengono quel ricordo.
Se è vero che lo stress consolida i ricordi, è anche vero che uno stress eccessivo danneggiare i processi di memoria.
Nei reduci del Vietnam con disturbo post-traumatico da stress, ad esempio, si è registrata una riduzione nel volume dell’ippocampo del 26 per cento. L’ippocampo è un’area cerebrale fondamentale per la memoria, e un suo danneggiamento è associato a deterioramento mnestico e frammentazione dei ricordi.
Queste conoscenze sulla memoria sono state utili a molti psicologi per rielaborare il concetto di resilienza, di cui abbiamo parlato in un contenuto dedicato a questa tematica.
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Resisto Dunque Sono
La memoria può essere migliorata attraverso l’uso di mnemotecniche, strategie per consolidare le informazioni.
Le principali mnemotecniche sono:
In linea generale, tutte le mnemotecniche si basano su alcuni principi fondamentali. Quando cerchiamo di fissare saldamente alcune informazioni in memoria, ad esempio, dobbiamo essere in primo luogo molto attenti e interessati.
Le mnemotecniche sono ausili utili per ricordare liste lunghe di nomi e concetti e quindi essere più produttivi, ma non garantiscono una comprensione adeguata dei concetti stessi. La conoscenza di strategie per migliorare la memoria è utile, ma ancor più importante è saper organizzare ed elaborare il materiale mentale sia in fase di codifica, che di mantenimento e recupero.
Il modo in cui elaboriamo un’informazione può essere superficiale o profondo ed è una funzione della quantità di attenzione che vi dedichiamo. Maggiore è l’attenzione, più profonda sarà l’elaborazione, più facilmente l’informazione sarà consolidata e richiamata. Nello studio, ad esempio, ripetere non basta. Il ricordo deve chiaro, organizzato e connesso alle informazioni già acquisite. In questo modo passerà più velocemente alla memoria a lungo termine.
Per concludere, per memorizzare un contenuto occorre che questa venga sottoposto a una profonda elaborazione e rielaborazione. Solo quando le conoscenze vengono approfondite, rielaborate e integrate con il proprio patrimonio culturale, queste possono essere ricordate nel modo migliore. E questo è anche uno dei metodi per diventare più produttivi, che si aggiunge alle preziose informazioni presenti nel libro “Come diventare indistraibili”, di cui abbiamo parlato sempre qui su 4books.
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