
Perché fare gli straordinari non è un merito
Essere efficienti ed efficaci significa lavorare meno e meglio, non di più
12min

Essere efficienti ed efficaci significa lavorare meno e meglio, non di più
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Episodi di Psicolibrarsi
"Fai mezza giornata oggi?" e altre frasi poco apprezzabili come "è uno che fa cadere la penna alle 18" unite a occhiatacce di superiori e colleghi: ecco l’atmosfera tossica che si respira in troppe aziende, tanto da essere percepita come la normalità.
Le 40 ore settimanali previste da contratto, nella realtà di queste aziende, sono viste come il minimo sindacale dell’orario lavorativo e i dipendenti sono apprezzati ormai per quanto tempo extra rimangono a lavorare – non parliamo di quel quarto d’ora ogni tanto per concludere un compito o di straordinari necessari per rispondere a un’urgenza, ma di chi resta ore e ore in più e ne ha fatto un’abitudine, soltanto per mostrare ai capi una malsana dedizione al lavoro.
Per comprendere perché i dipendenti entrino in questa spirale negativa, dobbiamo capire meglio cosa succede all’interno di queste aziende:
La tesi centrale del libro è che il burn out – l’esaurirsi per il lavoro – non sia affatto un merito, un distintivo d'onore, bensì un segno di cattiva gestione e, in definitiva, di mancanza di un vero sistema di valori. Chi è disposto a lavorare sempre più di quanto sia corretto sacrificando ogni altro aspetto della sua vita, infatti, secondo Fried e Hansson non potrà essere considerato migliore di altri, anzi; si tratta di qualcuno che non ha saputo organizzarsi al meglio e che sta comprimendo la propria vita privata pur di riuscire a far tutto.
Oggi dovremmo essere in grado di andare oltre al concetto novecentesco del dipendente-sottoposto, comprendendo come una persona soddisfatta, con molteplici interessi e un equilibrio vita lavoro di successo, sia il dipendente più desiderabile.
L’equazione più ore di lavoro = maggiori risultati è fallimentare: come è possibile avere idee creative o intuizioni geniali dopo aver lavorato 10-12 ore di fila? Creatività, progresso e imprenditorialità richiedono riposo, stimoli esterni e contaminazione: tutto questo non può accadere se ogni giorno si è esausti e si vede il lavoro come una crociata continua.
"Se non riesci a far stare tutto ciò che vuoi fare in 40 ore di lavoro settimanali, devi scegliere meglio cosa fare, non lavorare più ore": mai verità più vera fu pronunciata. Alla base della nuova proposta organizzativa dei due autori, sta una miglior organizzazione del tempo: la maggior parte dei compiti che pensiamo di dover svolgere il più delle volte non è necessario e deriva da scelte organizzative sbagliate. Un ottimo lavoro riguardo un progetto importante, infatti, può essere svolto soltanto con la concentrazione necessaria e questo richiede un lungo periodo di tempo senza interruzioni: se riempio i miei dipendenti o io stesso convoco riunioni a metà mattina per dire qualcosa che potrei riassumere in un’e-mail sto facendo un danno alla mia stessa azienda.
Per migliorare il tempo e l’organizzazione del proprio lavoro dobbiamo abbattere un pregiudizio culturale: avere una forte etica del lavoro non significa essere stacanovista.
Lavorare a qualsiasi ora, dire sempre sì a capo e colleghi non vuol dire essere dei seri professionisti: al contrario, lo possiamo dimostrare dando il meglio di noi giorno dopo giorno, essendo rispettosi del lavoro dei colleghi e fieri del proprio, imparando anche a dire di no a compiti che sappiamo non essere utili e rispettando scadenze e consegne: l'etica del lavoro riguarda l'essere una persona su cui gli altri possono contare e con cui collaborare, non l’essere qualcuno che lavora più a lungo di altri.
A questo proposito, appunto, la capacità di scindere attività urgenti o importanti da quelle che non lo sono è un gran pregio: scegliere bene a cosa dedicare il proprio tempo e attenzione è cruciale. Di conseguenza sarà fondamentale che la dirigenza di un’azienda (o noi stessi, se siamo liberi professionisti) sappia essere chiara su ciò che richiede eccellenza e ciò che basta sia a un buon livello:
"Va bene" è un modo meravigliosamente rilassante di lavorare per la maggior parte del tempo" ci dicono Jason Fried e David Heinemeier Hansson.
Se, infatti, di dieci compiti da svolgere tutto dev’essere eccellente, non sarà possibile portarli a termine nel tempo che si ha a disposizione; se, invece, so dare indicazioni per le quali 7 attività possono "andar bene così", allora per le altre 3 ci sarà veramente il tempo perché siano svolte in maniera eccellente.
Quasi tutti pensiamo che accumulare un patrimonio significativo sia conseguenza di un lavoro particolarmente redditizio o di una grande competenza in fatto di investimenti: in realtà non è affatto così.
Un’interessantissima ricerca di Thomas J. Stanley e William D. Danko ha messo in luce come la ricchezza sia spesso il risultato di lavoro e risparmio di tutta una vita, contrariamente a quanto pensiamo: anche qui l’organizzazione e il tempo speso in maniera oculata per occuparsene al meglio sono i due ingredienti vincenti. Il bello è che si tratta di un’impostazione mentale che tutti possiamo imparare, raggiungendo finalmente soddisfazione, la felicità dell’indipendenza economica e del successo lavorativo.
Stanley e Danko sono due ricercatori che si sono concentrati sulla creazione di ingenti patrimoni e sui milionari negli USA: entrambi dal loro punto di vista (Stanley è teorico del business, Danko esperto di comportamento dei consumatori e formazione della ricchezza) affrontano il tema della creazione della ricchezza e del “segreto” alla sua base; hanno poi riassunto la loro ricerca ventennale nel saggio "Il milionario della porta accanto" riscuotendo un grandissimo successo.
Le loro conclusioni, come abbiamo anticipato, non sono certo ciò che ci aspettavamo: nel delineare il profilo del milionario tipico, scoprono che a parte poche eccezioni di chi ostenta e sperpera, la maggior parte dei ricchi americani è rappresentata da una persona di mezza età che vive in maniera frugale, senza spendere per ostentare, dopo aver lavorato come piccolo imprenditore tutta la vita.
Hanno così ribattezzato questa figura come "il milionario della porta accanto", cioè qualcuno che vive nello stesso quartiere della gente normale ed è un risparmiatore compulsivo.
"La ricchezza è più spesso il risultato di uno stile di vita di duro lavoro, perseveranza, pianificazione e, soprattutto, autodisciplina".
La stessa mentalità che ci dovrebbe portare a organizzare meglio la nostra giornata lavorativa, diventando più efficienti, è la chiave di volta per accumulare un patrimonio di tutto rispetto: ancora una volta, infatti, si tratta di organizzarsi, di dedicare il tempo a questioni realmente importanti e di pianificare.
Dalla ricerca emerge infatti che chi conserva il patrimonio nel tempo è una tipologia di persona che dedica molto tempo alla pianificazione della gestione del denaro e degli investimenti: lo stesso che abbiamo visto predicare anche dai due fondatori di Basecamp per avere successo nella gestione del tempo di lavoro.
Capire i segreti e le abitudini dei milionari 26 min
Il milionario della porta accanto
Eppure, troppo spesso gli spendaccioni sono promossi e sensazionalizzati dalla stampa popolare.
Si crea un altro interessante parallelo tra i due concetti:
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