
Ricominciare dal fallimento, imparando dagli errori
Come riprendersi da una sconfitta, ritrovando la forza per andare avanti
8min

Come riprendersi da una sconfitta, ritrovando la forza per andare avanti
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Episodi di Psicolibrarsi
Fin dai primi anni di vita l’essere umano impara a esporsi al rischio e subisce naturalmente delle piccole sconfitte quotidiane. Proprio nei primissimi anni di vita, il bambino accetta di buon grado i piccoli fallimenti, come ad esempio cadere quando prova a stare in piedi da solo o a camminare, o inciampare scontrando un oggetto sul pavimento; in quegli anni è il dolore fisico a prevalere e istintivamente, non appena passa il dolore, il bambino riprova a fare la stessa azione e spesso riesce a superare l’ostacolo in cui è inciampato la prima volta.
Durante la crescita, però, l’essere umano inizia a essere esposto al giudizio degli altri e in questa fase l’autostima inizia a dipendere proprio dall’esterno. Fondamentalmente, tutta la nostra autostima è subordinata alle convenzioni della società in cui viviamo. Se non rientriamo in determinati standard allora la nostra autostima si abbassa, anche se intorno a noi riceviamo la comprensione di chi ci sta accanto, perché abbiamo la consapevolezza di non rientrare in determinati modelli e sviluppiamo delle insicurezze. Nel caso del fallimento il principio è molto simile.
Quando ci convinciamo di avere determinate competenze, perché magari abbiamo avuto buoni risultati in precedenza o sviluppiamo un metodo che riteniamo funzionale per raggiungere degli obiettivi, ma andiamo incontro a un fallimento, quasi sempre facciamo fatica ad accettarlo senza soffrirne; in certi casi non riusciamo a farcene una ragione.
È vero che non tutti i soggetti reagiscono allo stesso modo, perché il dolore provocato dal fallimento è relazionato principalmente a due aspetti: la vulnerabilità della persona e la scarsa consapevolezza dei propri limiti. Ci sono soggetti che si sentono in armonia con se stessi e con le loro capacità, per queste persone è più semplice accettare un fallimento, in quanto sono meno vulnerabili e più preparati alla possibilità di una sconfitta. Spesso le persone di questo tipo riescono a trovare facilmente nuovi stimoli dopo un insuccesso, fissano nuovi obiettivi e sono pronti a ripartire nuovamente con maggiore consapevolezza di se stessi e dei propri limiti. Le persone più vulnerabili invece non riescono ad accettare la sconfitta, perché non possono fare a meno di attribuirsene la colpa e assumere un atteggiamento severo verso se stessi e a volte autopunitivo. Secondo Brené Brown la vulnerabilità è strettamente connessa con la vergogna che si prova dopo una sconfitta. Nel suo volume "Osare in grande" l’autrice spiega la correlazione fra l’inibizione nei diversi contesti della vita, come l’amore o il lavoro, e la vergogna che può derivare dal fallimento dopo essersi esposti agli altri.
Usare la forza della vulnerabilità per migliorare la vita 13 min
Osare in grande
Proprio a causa della vergogna e della paura del giudizio altrui, in caso di un fallimento, molte persone evitano di esporsi e si limitano a vivere in maniera superficiale, in un atteggiamento di protezione verso se stessi che non permette loro di conoscersi in profondità.
Questo atteggiamento provoca uno “stoicismo emotivo”, detto con le parole della Brown, nel volume La forza della fragilità, pericoloso per se stessi e per gli altri.
Nel libro l’autrice spiega come la vulnerabilità sia l’unico percorso da intraprendere per ricevere e donare più amore, senso di appartenenza e felicità; ma ovviamente ogni beneficio ha un costo: quando si ha il coraggio di esporsi, allora il fallimento è dietro l’angolo ed è trovare la forza di superare la delusione la più grande difficoltà. Bisogna pensare che i più grandi risultati nel lavoro ma anche nella vita di tutti i giorni derivano dalla capacità delle persone di mettersi in gioco e di mostrare la propria creatività.
Quando ad esempio, in un ambiente di lavoro si ha paura di essere vessati o derisi per i propri errori, si limitano gli spunti creativi e si finisce per restare intrappolati nei procedimenti standard senza aggiungere nuovo valore all’attività.
Imparare a riconoscere la sconfitta, lavorando sul dolore che provoca il fallimento è fondamentale per permettere agli altri di conoscerci, ma anche per evitare di deteriorare i nostri rapporti con le persone che ci stanno accanto.
La negazione del dolore può avere delle conseguenze molto gravi sul rapporto con le altre persone, oltre che su noi stessi. Quando non si accetta il dolore, si può reagire in tre modalità diverse: reprimere la nostra pena, impegnare la nostra mente per non pensarci e fingere che non ci sia, cercare di seppellirlo dentro di noi.
Facendo ancora riferimento al saggio La forza della fragilità di Brené Brown possiamo delineare tre conseguenze molto dolorose; chi cerca di reprimere il dolore non riesce a gestirlo e spesso assume comportamenti che non rispecchiano i propri valori personali; si diventa scontrosi, asociali e si finisce con il ferire chi ci resta accanto.
I soggetti che tentano di “attutire” il dolore, non pensando ad esso, hanno costantemente bisogno di impegnare la mente e spesso si trovano ad essere risucchiati da pericolose spirali di dipendenza, come alcol, droghe, cibo, sesso, gioco; rovinando la propria salute fisica e andando incontro a dinamiche psicologiche molto gravi.
Infine, i casi che tentano di seppellire il proprio dolore, senza elaborarlo e senza affrontare la presa di coscienza di un fallimento, rischiano di “esplodere” nei momenti di maggiore stress, rischiando la depressione e attacchi d’ansia.
Il modo migliore per rialzarsi dopo un fallimento è attuare una riflessione sul proprio dolore e sulle motivazioni che hanno portato a un cattivo risultato.
Bisogna comprendere che il fallimento fa parte dell’imperfezione umana e che tutti sono soggetti al fallimento; non ci si deve concentrare sul momento della caduta, ma sulle fasi che la precedono, così da imparare dagli errori per non ripeterli in futuro.
Un principio infallibile della programmazione neurolinguistica (PNL) dice che non esistono fallimenti, ma solo feedback. Questa massima ci insegna a prendere il fallimento come una risposta da parte della nostra vita a proposito di una nostra scelta o di un’azione fatta, la quale magari non ha dato i risultati sperati, ma che può essere migliorata oppure abbandonata per percorrere una strada nuova.
Il feedback è un’informazione di ritorno che ci racconta qualcosa sulla nostra prestazione (fisica o mentale), la quale deve essere utilizzata come punto di partenza per elaborare una nuova strategia.
Quando si inizia un’analisi sulle motivazioni che hanno portato al fallimento bisogna evitare il nichilismo tout court; si deve cercare di mantenere un certo livello di obiettività che serve a non annientare a prescindere tutto il percorso fatto, poiché possono esserci dei punti positivi. Spesso nella fase di riflessione e analisi sui i propri errori si rischia di assumere posizioni critiche ed estreme, rischiando di non vedere i possibili lati positivi di una situazione.
Osservare le vere cause di un fallimento e saper riconoscere le parti ben fatte significa assumere un atteggiamento corretto verso noi stessi, che può dare fiducia nel ripartire e soprattutto ci aiuta a scartare solo le scelte sbagliate e non anche quelle giuste.
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