Episodi di Storie di Donne
01. Aung San Suu Kyi è rinchiusa in prigione da quando nel 2021 un colpo di stato ha rovesciato il suo governo
Aung San Suu Kyi è stata condannata dalla giunta militare oggi a capo del Myanmar a quattro anni di reclusione, poi ridotti a due. Ma poco dopo, le accuse a suo carico sono aumentate. E gli anni di prigione che la destituita leader del Myanmar deve scontare in carcere sono saliti a 33. Una storia travagliata la sua, proprio come quella del suo paese. Una storia che per molti aspetti risulta anche parecchio controversa.
Birmania è il nome che gli inglesi diedero a questo paese durante la colonizzazione britannica. La Birmania divenne ufficialmente una repubblica indipendente nel 1948, ma la situazione politica era in evoluzione già a partire dal 1943. Nel 1947 Aung San, il leader nazionalista e all'epoca primo ministro di quella che sarebbe diventata l’Unione della Birmania, venne assassinato assieme ad altri membri del suo partito. Aung San era anche il padre della piccola Aung San Suu Kyi che, nel 1947, aveva appena due anni. Nel 1989 la giunta militare al potere decide di cambiare molti dei nomi ereditati dall'impero britannico. E così, la Birmania diventa Myanmar. Nella lingua birmana questi nomi hanno la stessa radice e la loro pronuncia è molto simile. Nonostante ciò, per diversi anni chiamare il paese in un modo o in un’altro è stato un segno identificativo dell’orientamento politico di una persona. All’inizio, Aung San Suu Kyi e i suoi sostenitori si sono rifiutati di utilizzare il nome Myanmar. Di fatto, per loro avrebbe significato legittimare la scelta della giunta militare e, di conseguenza, ammettere anche la legittimità della giunta stessa. Oggi il paese viene ufficialmente chiamato Myanmar.
02. Dopo la morte del padre, Aung San Suu Kyi continua a vivere in Birmania fino al 1960, quando sua madre Khin Kyi viene nominata ambasciatrice birmana in India
La famiglia si sposta così in India e la giovane Suu Kyi può frequentare le migliori scuole del paese. Successivamente, si trasferisce in Inghilterra, dove frequenta il St Hugh's College di Oxford. Nel 1969 si laurea in scienze politiche, filosofiche ed economiche. Finiti gli studi, la giovane inizia a lavorare a New York per le Nazioni Unite. Nel 1972 sposa l’accademico inglese Michael Aris, conosciuto durante gli anni del college. Dopo aver vissuto e lavorato in Giappone e in Bhutan, i due si stabiliscono nel Regno Unito per crescere i loro figli, Alexander e Kim.
Aung San Suu Kyi è molto legata alla madre. Per lei è sempre stata un esempio di integrità, coraggio e disciplina. Nel 1988 le condizioni di salute di Khin Kyi peggiorano e Aung San Suu Kyi torna in Birmania per assisterla. Ma le cose nel suo paese d’origine erano radicalmente cambiate durante la sua prolungata assenza. Nel 1962 un colpo di stato guidato dal generale Ne Win aveva rovesciato il governo indipendente birmano. L’obiettivo di Ne Win era quello di rendere la Birmania uno stato socialista. E così, di lì a poco, venne istituito un sistema monopartitico controllato da militari. Nel 1974 entra in vigore una nuova costituzione. Il potere viene trasferito dalle forze armate al nuovo presidente della Repubblica socialista di Birmania, l’ex generale Ne Win.
Quando torna in Birmania nel 1988, Aung San Suu Kyi viene coinvolta in una lotta politica che lei stessa definirà come la «seconda battaglia per l’indipendenza nazionale». Nel marzo del 1988 diversi gruppi di studenti iniziano a protestare contro il regime di Ne Win, chiedendo drastici cambiamenti. Nel corso degli anni Ottanta infatti la situazione socioeconomica della Birmania era drasticamente peggiorata. La dura repressione delle proteste da parte dei militari spinge Aung San Suu Kyi a scendere in campo.
«In quanto figlia di mio padre, non posso restare indifferente di fronte a tutto quello che sta accadendo» - dichiara davanti a mezzo milione di persone il 26 agosto del 1988. Ed è proprio con questo discorso alla pagoda di Shwedagon che Aung San Suu Kyi entra in politica. Poco dopo, è co-fondatrice della National League for Democracy e inizia la sua lotta non violenta contro la dittatura. Il 18 settembre le forze armate, guidate dal generale Saw Maung, prendono il controllo e impongono la legge marziale. Il governo ora è costituito da un nuovo organismo militare chiamato Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell’Ordine. Il timore delle persecuzioni non ferma Aung San Suu Kyi. La leader della National League for Democracy continua a tenere incontri pubblici in tutto il paese per contrastare la perdita di democrazia in Birmania.
03. Nel luglio 1989 il governo militare della neonata Unione di Myanmar pone Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari
Prima di farlo, i militari le danno la possibilità di andarsene in esilio. Ma lei rifiuta. Non se ne andrà finché il suo paese non sarà tornato a essere un paese civile e i prigionieri politici saranno di nuovo liberi. Inizia così un lungo periodo di reclusione che, complessivamente, durerà fino al 2010. Nel maggio 1990 in Myanmar si tengono le prime elezioni multipartitiche dopo 30 anni. La Lega Nazionale per la Democrazia vince in modo schiacciante sul partito al governo, ottenendo circa quattro quinti dei seggi. I militari, però, rimangono al potere e arrestano gran parte degli eletti.
Nel 1991 Aung San Suu Kyi riceve il Premio Nobel per la Pace. A ritirarlo ci sarà uno dei suoi figli, perché lei è ancora agli arresti domiciliari. Questo e altri riconoscimenti che Aung San Suu Kyi riceve in quegli anni fanno sì che la situazione in Myanmar arrivi all’attenzione della politica internazionale. Molti movimenti per i diritti civili appoggiano la lotta di Aung San Suu Kyi e molti paesi imporranno delle sanzioni al Myanmar nella speranza di cambiare la situazione politica interna. Nel 1995 gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi vengono revocati, ma lei rimane in uno stato di semilibertà. Non può lasciare il paese e non può neanche ricevere visite dai suoi familiari che sono rimasti in Inghilterra. Suo marito, Michael Aris, morirà di cancro nel 1999 senza averla potuta rivedere un’ultima volta.
Aung San Suu Kyi rimane fedele a se stessa e al suo impegno politico continuando, nei momenti di semilibertà, a praticare il dialogo e la non violenza. «Non ti puoi aspettare di restar seduto senza agire e che la libertà ti venga consegnata in mano. La nostra rivoluzione avrà successo solo quando tutti si renderanno conto di poter fare la propria parte» scrive in alcune lettere durante la reclusione.
04. Aung San Suu Kyi viene liberata nel 2010, pochi giorni dopo le prime elezioni parlamentari multipartitiche dal 1990
Progressivamente le maglie delle restrizioni governative si allentano. Il nuovo presidente, l’ex generale Thein Sein, ha in mente di fare diversi cambiamenti politici e sociali all’interno del suo paese e porre fine agli anni di isolamento internazionale. Ora Aung San Suu Kyi può incontrare liberamente i suoi collaboratori e, nel 2011, è libera anche di uscire dal paese senza il timore di non poter più rientrare. Iniziano così una serie di incontri di alto profilo con i rappresentanti politici di tutto il mondo. Nel gennaio del 2012 la candidatura di Aung San Suu Kyi per un collegio elettorale a Yangon viene approvata e nell’aprile dello stesso anno la leader della National League for Democracy viene eletta in parlamento. Dopo queste elezioni, gli Stati Uniti e l'Unione Europea annunciano l'intenzione di voler revocare alcune delle sanzioni economiche e altre restrizioni in vigore dall'inizio degli anni Novanta.
Nel novembre 2015 si sono tenute nuove elezioni parlamentari, le prime libere in questo paese. La National League for Democracy conquista la maggioranza dei seggi in entrambe le camere del parlamento birmano ed è pronta a formare un nuovo governo. I leader militari mantengono però il controllo di alcuni ministeri, tra cui quello degli Interni, quello della Difesa e il Ministero per gli Affari di Confine. Nell’ascesa politica di Aung San Suu Kyi c’è anche un altro problema. Lei non può diventare presidente. La costituzione birmana lo vieta a chi ha avuto coniugi o figli di nazionalità straniera. Viene allora proposto come candidato alla presidenza Htin Kyaw, una persona di fiducia di Aung San Suu Kyi. E nel 2016 il parlamento lo elegge presidente del Myanmar. Aung San Suu Kyi assume poi diversi incarichi politici, tra cui quello di Consigliere di Stato. Una carica nuova e potente, creata ad hoc dalla National League for Democracy e ratificata dal nuovo presidente a una settimana dal suo insediamento.
L’obiettivo principale di Aung San Suu Kyi nella sua nuova posizione politica è di pacificare il paese, ponendo fine alle insurrezioni delle oltre 20 diverse organizzazioni armate presenti in Myanmar. Ed è qui che si apre una delle pagine finora più controverse della storia di Aung San Suu Kyi.
05. Nel 2016 e nel 2017 le forze di sicurezza del Myanmar si scagliano sui Rohingya, la popolazione musulmana dello Stato di Rakhine
Inizialmente queste azioni vengono giustificate come risposta ad alcuni attacchi da parte di militanti Rohingya. Ma le repressioni sono brutali e colpiscono anche la popolazione civile. L’esercito e la polizia del Myanmar vengono accusati di aver commesso diffuse violazioni dei diritti umani contro i Rohingya. Si parla di stupri, percosse, omicidi. Si stima che all'inizio del 2018 siano più di 800.000 i Rohingya fuggiti dal paese.
Ad attirare le critiche internazionali è anche la debole risposta di Aung San Suu Kyi. The Lady, come adesso viene chiamata la leader birmana, non ha mosso un dito per fermare quello che è stato definito un vero e proprio genocidio. Non ha condannato l’esercito, né ha riconosciuto le atrocità perpetrate. Inizialmente, si pensa a una mossa politica per cercare di governare un paese dalla storia complessa. Ma la sua testimonianza presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia a difesa delle azioni dell’esercito ha frantumato la sua reputazione a livello internazionale. Diverse organizzazioni hanno ritirato le proprie onorificenze e i premi per i diritti umani che le erano stati precedentemente dati. In molti hanno anche chiesto la revoca del Premio Nobel per la pace.
In patria, però, la reputazione di The Lady è rimasta invariata. Il consenso è alto e alle elezioni parlamentari dell'8 novembre 2020 la National League for Democracy ottiene un'ampia maggioranza. Questa vittoria però è contestata dai militari. E il primo febbraio 2021, giorno in cui il nuovo parlamento avrebbe dovuto tenere la sua prima sessione, l’esercito riprende il potere con un colpo di stato. Aung San Suu Kyi e altri leader politici vengono arrestati. Il vicepresidente Myint Swe, un ex generale, diventa presidente ad interim.
Ancora oggi del destino di Aung San Suu Kyi si sa poco. Si sa che, per il momento, la condanna è a 33 anni di prigionia. Le accuse sono diverse. Dall’essere stata giudicata colpevole di incitamento al dissenso alla violazione delle regole per contrastare l’epidemia di Covid-19. Si sa anche che è reclusa in isolamento all’interno di una prigione nella capitale Nay Pyi Taw. Ma non si sa quali siano le sue condizioni di salute, né se un giorno potrà di nuovo essere libera.
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