Episodi di Storie di Donne
01. «Grazie, ma no grazie. Non andrò alla Casa Bianca.»
Così dichiara lapidaria in un’intervista la co-capitana della nazionale statunitense Megan Rapinoe. È il 2019 e la nazionale degli Stati Uniti è entrata nei quarti di finale del campionato mondiale di calcio femminile battendo la Spagna per 2 a 1. In caso di vittoria della Coppa del Mondo, Megan sa che molto probabilmente Donald Trump inviterà tutta la squadra alla Casa Bianca. Ma lei, Trump, non lo vuole proprio incontrare, tantomeno stringergli la mano. Audace, sfrontata, talentuosa. Megan è tra le stelle più splendenti di questa nazionale. Insieme alle sue compagne, quattro anni prima aveva vinto i Mondiali in Canada, e nel 2012 le Olimpiadi di Londra. Megan, però, è nota al grande pubblico anche per essere una che non le manda a dire. Attivista per i diritti LGBTQ+, non ci pensa due volte a mettersi in prima linea contro le discriminazioni di genere, il razzismo e l’omofobia.
"Megan non dovrebbe mai mancare di rispetto al nostro Paese, alla Casa Bianca o alla nostra bandiera” replica Donald Trump con un tweet. "Sono un grande fan della squadra statunitense e del calcio femminile, ma Megan dovrebbe vincere prima di parlare! Finisci il tuo lavoro!” Com’era prevedibile, Trump non l’ha presa bene. Ma a lei poco importa.
02. È da anni che Megan lotta contro le discriminazioni negli Stati Uniti, anche a costo di sacrificare il profitto personale
Nel 2016 Megan ha rischiato di rovinare la sua carriera di calciatrice per aver scelto di inginocchiarsi durante l’inno americano. Lo ha fatto come gesto di solidarietà nei confronti del quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick e della sua protesta contro le ingiustizie razziali negli Stati Uniti.
Poche ore dopo quella partita, il suo agente Dan Levy la chiama. Il gesto di Megan aveva scatenato l’inferno. La gente era arrabbiata, davvero arrabbiata. Molti la criticavano dicendo che stava sfruttando la cosa a suo favore. Altri l’accusavano di non essere patriottica. Altri ancora le rimproveravano di aver politicizzato il calcio, uno sport che agli occhi del pubblico doveva rimanere puro. La stessa Megan non si aspettava un tale contraccolpo. Non aveva preso alla leggera la scelta di inginocchiarsi. Come ha dichiarato più tardi in diverse interviste, la sua, più che una scelta, è stato un vero e proprio imperativo. Non poteva rimanere con le mani in mano davanti a quanto stava accadendo nel suo paese. Doveva fare qualcosa. E l’appello di Colin era chiaro. Così chiaro che Megan non si capacitava del perché nessun altro lo avesse colto. Poco dopo il suo gesto, però, il motivo fu chiaro a tutti. La stessa Megan non aveva considerato bene quali potevano essere le conseguenze di questo suo gesto sul piano personale e sulla sua carriera.
Per molti giorni, insulti, minacce di morte, esternazioni violente hanno dominato i feed dei suoi social. Anche la sua famiglia venne coinvolta in questa tempesta mediatica. Arrivavano telefonate e messaggi in cui le persone chiedevano ai suoi genitori dove avessero sbagliato nella sua educazione. Sono stati giorni davvero difficili, ma lei non si è mai pentita di questo gesto. Anzi. Megan avrebbe voluto inginocchiarsi di nuovo la partita successiva, ma l’inno venne suonato quando le giocatrici erano ancora negli spogliatoi. Un escamotage pensato dagli organizzatori per evitare il problema. In nazionale, non gioca per qualche partita. Ufficialmente la sua assenza dal campo è stata attribuita ad altri motivi, ma in realtà nessuno desiderava dover gestire questa sua protesta. Poi è arrivato l’obbligo da parte della Federazione calcistica statunitense di alzarsi in piedi e onorare la bandiera durante l'inno americano. Obbligo a cui ogni membro della nazionale ha dovuto promettere di sottostare per non perdere la possibilità di giocare per il proprio paese. Anche Megan ha accettato, ma non ha smesso di protestare. È l’unica giocatrice che non mette più la mano sul cuore durante l’inno, né lo canta più. Megan sa che è un privilegio poter indossare la maglia del proprio paese. Ma sa anche che una parte importante di questo privilegio consiste nel rappresentare l’America. Tutta l’America, non solo la sua parte più forte.
03. Nel 2011 Megan fa coming out
Megan è lesbica e lo dichiara pubblicamente, sfidando pregiudizi e paure di un mondo che non era ancora davvero pronto per dichiarazioni di questo tipo. È la prima calciatrice della nazionale statunitense a farlo. E per diversi anni rimarrà anche l’unica ad averlo fatto.
Megan ricorda come la sua vita cambia completamente durante gli anni del college, quando capisce di essere gay. Nata nel 1985 a Redding, una cittadina nel nord della California, Megan cresce in una famiglia conservatrice della classe operaia. Non c’erano molti soldi in casa e, tra fratelli e sorelle, i Rapinoe erano in sette. Da bambina è timida e insicura. Spesso, lascia che sia la sorella gemella Rachel a parlare per lei e a fare da apripista. Durante il college, però, Megan capisce la forza della sua voce. In quegli anni si trova spesso a discutere di diritti delle donne e della comunità LGBTQ+, di tutela ambientale, di parità di retribuzione.
Conosciuta e non sempre amata per il suo approccio spavaldo alle cause sociali, oggi Megan è una donna sicura di sé, capace di dar voce anche a chi non ha la possibilità di parlare. Sa quanto vale sul piano sportivo. Ma sa anche che la sua voce può essere più importante dei gol fatti o dei capelli rosa. La sua voce, infatti, è un grimaldello in grado di portare davvero un cambiamento nella società. Perché Megan non ci sta a considerare il calcio femminile come un mondo fatto di sogni rosa shocking. È un palcoscenico, proprio come quello della controparte maschile, e come tale decide di usarlo.
All’inizio del 2019, l’anno dei Mondiali in Francia, tutte e 28 le giocatrici della squadra di calcio femminile degli Stati Uniti hanno denunciato la Federazione calcistica statunitense per anni di disparità di trattamento e di compenso. Le atlete, guidate dal carisma di Megan Rapinoe e di altre giocatrici storiche come Alex Morgan, hanno chiesto di essere equiparate alle loro controparti maschili, almeno quando giocano per la nazionale. Significa parità di retribuzione, condizioni di allenamento migliori, supporto medico e premi più cospicui. Oltre al risarcimento dei danni, in particolare, gli anni di stipendi arretrati. Megan ricorda come si sentissero parte di un movimento molto più grande di loro. Un movimento che travalicava i limiti dello sport e andava a toccare i diritti delle donne di tutto il mondo. Un mondo dominato dal gender pay gap in cui, solo per il fatto di essere una donna, a livello di retribuzione vali meno di un maschio. Ma visto che la retribuzione è il modo in cui la nostra società tende a valorizzare le persone, la questione diventa molto più profonda. Nel corso degli anni, Megan e le sue compagne a volte si sono sentite disperate ma questo non ha fatto altro che rinforzare il fatto di non aver nulla da perdere. Loro potevano essere la voce di milioni di donne. Un esempio concreto. Non potevano arrendersi. E finalmente, nel 2022, dopo anni di scontri, la Federazione calcistica degli Stati Uniti e le nazionali di calcio femminile e maschile hanno trovato uno storico accordo: parità salariale tra uomini e donne nel calcio. Non solo stipendi uguali, ma anche uguale premio in caso di partecipazione alla Coppa del Mondo. Una pietra miliare nel percorso per la parità di genere a livello mondiale, visto che la federazione USA è la prima a fare un passo del genere.
04. Megan è una leader dentro e fuori il campo
La sua è una scelta consapevole che va oltre al suo talento calcistico, dimostrato vincendo diversi riconoscimenti tra cui il Pallone d'oro femminile e The Best FIFA Women's Player. Una scelta che si traduce nel cercare di dare sempre l’esempio, in modo da creare un ambiente in cui ogni giocatrice si possa sentire vista, ascoltata e fiera del proprio posto in squadra. In altre parole, aiutare ognuna di loro a fare quello che sa fare meglio.
Quando si parla di sconfitta o di infortuni, Megan dimostra tutta la sua maturità. La sua prima sconfitta importante è stata nel 2011, durante la Coppa del Mondo. La nazionale statunitense era in vantaggio ma a due minuti della fine si sono fatte rimontare. E poi, hanno perso ai rigori. Megan ricorda come sia stata una sensazione devastante. Ricorda i pianti sotto la doccia. Ricorda la delusione. Per una giocatrice di calcio, perdere la Coppa del Mondo può essere la cosa più grave. Ma nella vita è solo una cosa in più. Non ci si deve prendere troppo sul serio. Vincere o perdere fa parte del gioco, così come gli infortuni. Sono un rischio professionale. È l’atteggiamento con cui si affrontano i momenti duri che permette di crescere e superare con successo le difficoltà. Un insegnamento, questo di Megan, da applicare anche fuori dal campo di gioco.
05. Megan deve molto al calcio
Fin da ragazzina questo sport l’ha portata a viaggiare per il mondo. È stata a Città del Messico, a Bangkok, e in diverse città europee e degli Stati Uniti quando molte delle sue coetanee rimanevano legate alla cittadina in cui erano nate. Questo le ha permesso di costruirsi una visione della vita molto ampia, aumentando la conoscenza e limitando pregiudizi e stereotipi. Il calcio le ha dato la possibilità di essere quello che desiderava, in perfetto stile da sogno americano. Megan sa che questo sport può dare tanto anche ad altre ragazze ed è per questo che continua a lottare. Il calcio femminile, infatti, potrebbe essere una vera e propria miniera d’oro per molte persone. Megan ne è convinta. Perché allora è ancora così indietro rispetto a quello maschile? Per via del sessismo e del patriarcato che domina gli organi che dovrebbero investire in questo sport. Ai loro vertici ci sono solo uomini. Spesso, solo uomini bianchi. Inevitabile quindi che facciano i propri interessi.
Il calcio femminile ha bisogno di investimenti per poter sfruttare il proprio potenziale. Investimenti nell’intera infrastruttura che circonda questo sport, che si tratti di streaming, di branding, di marketing, di giornalismo, o di ogni altra cosa che serve a sostenerlo. Se per esempio ci sono 10 persone che si occupano delle vendite per il mercato maschile e solo una per quello femminile, il confronto non è equo. Semplice, no? Megan lo sa bene. Sa che decenni di discriminazione di genere non svaniscono con un accordo sulla parità di retribuzione, per quanto importante sia. Per questo, insieme alle sue compagne, continua a lottare perché il calcio femminile e gli sport femminili siano considerati importanti come quelli maschili. E inclusivi, proprio come la società in cui Megan sogna di poter vivere un giorno.
Il 7 luglio 2022 Megan è stata premiata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden con la più alta onorificenza nazionale conferita ai civili: la Medaglia presidenziale della libertà. Si tratta di un’onorificenza che viene data a chi ha fornito “un contributo particolarmente meritevole alla sicurezza o agli interessi nazionali degli Stati Uniti, alla pace nel mondo, alla cultura o ad altre iniziative pubbliche o private di particolare valore”.
Circa un anno dopo, il 10 Luglio 2023, Megan annuncia al mondo il suo ritiro dal calcio giocato. Come ha scritto la Gazzetta dello Sport il giorno dell’annuncio per celebrarne le gesta, «Megan non è stata la più forte, ma è stata la giocatrice che ha lasciato la traccia più profonda nella storia del suo sport: il calcio femminile. Una leader politica e spirituale, un modello di riferimento, una pasionaria da combattimento, un’icona globale.»
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