Malala Yousafzai
Attivista per l'educazione e per i diritti delle donne
12min
Attivista per l'educazione e per i diritti delle donne
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Episodi di Storie di Donne
Davanti a lei ci sono quattrocento giovani provenienti da oltre cento paesi diversi. È il 12 luglio 2013 e le Nazioni Unite celebrano il Malala Day, un evento organizzato durante la United Nations Youth Assembly per chiedere ai leader mondiali di garantire un'istruzione gratuita e obbligatoria per ogni bambina e bambino, in ogni parte del mondo. Perché l’educazione, lo sa bene Malala Yousafzai, è l’unica soluzione per combattere le disuguaglianze. All’incontro partecipano anche Vuk Jeremić, presidente dell'Assemblea generale, Ahmad Alhendawi, inviato del Segretario generale per i giovani e l'ex primo ministro del Regno Unito, Gordon Brown, in qualità di inviato delle Nazioni Unite per l'istruzione globale. Malala quel giorno compie 16 anni, ma quando prende la parola è chiaro a tutti che quello che questa ragazza ha vissuto fino a quel momento va ben oltre la sua giovane età.
Il 9 ottobre del 2012 un gruppo di talebani ha fermato lo scuolabus su cui Malala si trovava insieme ad altri studenti e studentesse di ritorno da scuola. Era una giornata come un’altra a Mingora, una cittadina nella valle dello Swat, in Pakistan. L’aria era appiccicosa per il gran caldo. Malala sedeva tra altre due ragazze, sul lato sinistro del veicolo. Un uomo, con addosso un copricapo tradizionale e un fazzoletto che copriva naso e bocca, sale sullo scuolabus e chiede chi è Malala. Poi lo sparo. Tre colpi, uno dietro l’altro. E il buio. Malala non ricorda quasi nulla di quegli istanti: la disperata corsa all’ospedale di Peshawar, l’intervento chirurgico d’urgenza, la speranza di una vita appesa a un filo, il trasferimento a Birmingham, in Inghilterra.
Ma perché i talebani hanno cercato di uccidere proprio lei, una ragazzina di 15 anni? Lo hanno fatto per le sue parole. Già a 11 anni, infatti, Malala non ha paura di parlare in difesa dei propri diritti e di quelli di tutte le altre ragazze. In particolare, il diritto all’istruzione. La consapevolezza dell’importanza dell’istruzione l’ha ereditata da suo padre, Ziauddin Yousafzai, un attivista che alla fine degli anni Novanta aveva realizzato il sogno di creare un istituto scolastico, frequentato sia da ragazzi che da ragazze.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York, però, cambiano completamente la vita di chi abita tra queste montagne al confine con l’Afghanistan. Il popolo Pashtun, di cui Malala e la sua famiglia fanno parte, è un popolo musulmano conservatore. Quando si scatena la caccia degli Stati Uniti a Osama Bin Laden, nella valle dello Swat si crea una nuova forma di militanza. La popolazione pakistana non è a favore dei talebani, da sempre considerati estremisti violenti, ma non tollera neanche che un’altra terra musulmana sia nuovamente messa a ferro e fuoco da degli invasori, come già era successo con i russi in Afghanistan negli anni Ottanta del Novecento. Nel 2002 si forma così il cosiddetto “governo dei mullah”, molto vicino ai talebani. La situazione precipita qualche anno dopo, e la regione passa sotto il controllo diretto dei talebani. Con il loro arrivo, per Malala e le altre ragazze andare a scuola è sempre più difficile. Il loro leader, Maulana Fazlullah, intima a tutta la popolazione di piegarsi al nuovo regime. Nel frattempo, distrugge diversi istituti scolastici e minaccia apertamente ritorsioni contro tutte le ragazze che osano andare a scuola.
La famiglia di Malala si mette in prima linea contro i talebani. Il padre, una voce molto autorevole nella comunità, organizza diversi incontri tra attivisti nella speranza di trovare una soluzione. Ma non c’è nulla da fare: i talebani vanno dritti per la loro strada, continuando a chiudere scuola dopo scuola.
Nonostante le minacce, Ziauddin non smette di opporsi alla follia dei talebani e di chiedere l’intervento dell’esercito pakistano. Lui e sua moglie non vogliono mollare: è per il futuro dei loro figli, e soprattutto per quello della loro unica figlia, che stanno lottando. Anche Malala, a quell’epoca non ancora dodicenne, decide di seguire le orme paterne e di combattere per i propri diritti, nonostante la paura. L’occasione arriva grazie a una richiesta della BBC che voleva raccontare la vita sotto il regime talebano. E così, nel gennaio del 2009, esce il primo post di un blog intitolato “Diario di una studentessa pakistana”, scritto da Malala con lo pseudonimo di Gul Makai (fiordaliso, in lingua pashto). Malala racconta del clima di terrore in cui sono costretti a vivere, delle esecuzioni e delle minacce che lei e la sua famiglia – come anche molte altre persone del luogo – ricevono quotidianamente. Purtroppo, però, un paio di settimane dopo l’uscita di questo primo racconto, anche la scuola di Malala è costretta a chiudere e l’orizzonte si fa sempre più buio.
La situazione cambia nel maggio di quello stesso anno, quando l’esercito pakistano supportato da quello statunitense, decide di eliminare le milizie talebane dalla valle dello Swat. La famiglia di Malala e tutti gli abitanti della zona sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e a rifugiarsi da parenti o amici in altre parti del paese. Dopo tre mesi, il primo ministro pakistano annuncia che le milizie talebane sono state eradicate dall’intero distretto e che la popolazione può tornare nelle proprie case. Una volta rientrati a Mingora, Malala riprende in mano la propria vita. Anche le lezioni a scuola ricominciano nell’agosto di quell’anno. Ma, nonostante questi eventi positivi, nell’aria si respira ancora un senso di insicurezza e paura, anche perché i capi dei talebani non sono stati tutti catturati e le autorità pakistane rimangono sempre molto vaghe sull’argomento. Malala e suo padre non si fanno intimorire più di tanto e continuano la loro attività di denuncia per garantire un’istruzione a tutti i giovani della zona. In poco tempo Malala catalizza l’attenzione mediatica. La sua è la voce più potente di tutto lo Swat. Pochi parlano di quello che succede alle donne in termini di istruzione e lei lo fa con carisma, coraggio e determinazione. L'alto profilo di Malala la fa così tornare nel mirino dei talebani, anche se nessuno credeva davvero che le milizie avrebbero osato tanto. E invece, i talebani decidono di prendere di mira proprio lei, una ragazza di 15 anni che tornava da scuola.
Il recupero è stato lento e difficile. Le ferite riportate erano profonde e ci sono volute diverse operazioni e lunghi mesi di riabilitazione per rimettersi in piedi. Malala ha dovuto anche riscrivere la propria vita in una terra non sua, imparando una nuova lingua e ricostruendosi una rete di amicizie, lontano da dove avrebbe voluto essere. Malala, però, non è una che si arrende e decide di usare questa seconda chance che la vita le ha dato per aiutare gli altri. Insieme al padre, fonda il Malala Fund, un'associazione di beneficenza dedicata a dare a ogni ragazza l'opportunità di realizzare il futuro che desidera. Nel 2014, le viene assegnato il premio Nobel per la Pace. L’anno successivo, insieme ad altre personalità del mondo artistico, politico, scientifico e della cultura, diventa testimonial degli Obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dalle Nazioni Unite, in particolare del numero 4, cioè fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva per tutti. Nel 2017 Malala viene ammessa all'Università di Oxford dove studia politica, filosofia ed economia. Nel 2018 è tornata in Pakistan per la prima volta dopo l’attentato, nonostante le autorità locali avessero sempre respinto le sue richieste adducendo motivi di sicurezza. Nel 2020 si laurea con lode e nel 2021 si sposa. Più di recente, fonda una casa di produzione e sigla un accordo pluriennale di collaborazione con Apple. Nel 2023 partecipa alla 95ª edizione dei Premi Oscar in veste di produttrice esecutiva di Stranger at the Gate, un cortometraggio candidato come Miglior corto documentario.
E ora, quale sarà il suo prossimo passo? Malala ha diversi progetti in mente ma è anche una giovane donna che vive i suoi vent’anni. Come ha detto di lei Tim Cook, il CEO di Apple, Malala ha una stella polare ed è concentrata sul fare la differenza nel mondo. Il tema dell’istruzione femminile è sempre in primo piano per lei perché sa quanto sia importante per il futuro di ogni bambina poter frequentare una scuola e avere un’educazione. Nel mondo ci sono ancora oggi oltre 130 milioni di ragazze che non possono andare a scuola. Di lavoro ce n’è tanto da fare.
Malala non ha paura di aprirsi agli altri, anche quando parla delle proprie fragilità. Si mangia le unghie, è autoironica, divertente, sorniona e ama il cricket. A volte è anche un po’ cinica. Capita quando si scontra con l’inerzia politica di certe promesse. La sua paura più grande è deludere le ragazze che non hanno voce. Non ama l’attivismo guidato dai clic sui social network. Per lei attivismo significa battersi sul campo, stare in prima fila anche quando è scomodo o pericoloso.
Quando le viene chiesto com’è diventata un’attivista, Malala ripete sempre che non è stata lei a scegliere tutto questo. Essere nata da un padre attivista che le ha insegnato fin da piccola a combattere le ingiustizie ha sicuramente influenzato la sua vita e forgiato il suo carattere. Ma le cose sarebbero state molto diverse se i talebani non avessero preso la valle dello Swat nei primi anni Duemila. Forse sarebbe rimasta in Pakistan, diventando maestra in una delle scuole create da suo padre – questo era il suo sogno da bambina. Oppure chissà. Sta di fatto però che i suoi genitori avevano presagito per lei un futuro diverso da quello delle sue coetanee. A questa figlia, venuta al mondo in salute dopo che la loro prima figlia era nata morta qualche anno prima, hanno dato un nome importante, un nome che evoca quello di Malalai di Maiwand, la grande eroina afghana celebrata da tutto il popolo Pashtun.
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