Pegah Moshir Pour
Attivista italo-iraniana per la parità di genere
12min
Attivista italo-iraniana per la parità di genere
12min
Episodi di Storie di Donne
Un vestito lungo color amaranto avvolge Pegah esaltando tutta la sua femminilità. Il palcoscenico è quello di Sanremo 2023, il festival della canzone italiana per eccellenza. Lei, italiana di origine iraniana, nata tra i racconti del Libro dei Re e cresciuta tra i versi de La Divina Commedia, si appresta a raccontare quello che da mesi sta succedendo nel suo paese natale. «Sono parole un po’ forti… sarei stata arrestata, o forse addirittura uccisa. È per questo che come molte ragazze e ragazzi del mio paese, ho deciso che la paura non ci fa più paura e di dare voce ad una generazione cresciuta sotto un regime di terrore e di repressione, in uno dei paesi più belli al mondo, uno scrigno dei Patrimoni dell’Umanità.» L’emozione gliela si legge in faccia. La sua voce incede lenta, tra parole pesanti come macigni e per questo capaci di parlare al cuore di chi la sta ascoltando.
«La parola Paradiso deriva dall’antico termine persiano Pardis, giardino protetto. Allora io vi chiedo: esiste un Paradiso Forzato? Ahimè sì… come altro si può chiamare un luogo dove il regime uccide persino i bambini? Dal 16 settembre 2022, da quando Mahsa Amini, una ragazza colpevole solo di essere sospettata di non indossare in modo corretto il velo, è stata uccisa dalla polizia morale, il popolo iraniano sta sacrificando con il sangue il diritto a difendere il proprio paradiso.» Mahsa Amini era una ragazza iraniana di origine curda. Aveva 23 anni. È stata arrestata dalla polizia morale iraniana per aver indossato il velo in modo non corretto. E poi è morta. Uccisa. Quando la notizia della sua morte è trapelata, il popolo iraniano è sceso in piazza al grido di “Donna Vita Libertà”. Un grido curdo che ha origini in altre discriminazioni ma che ancora oggi simboleggia la battaglia per la libertà e la resistenza dei giovani iraniani contro il regime.
Molto attiva sui social, si è messa in prima persona a denunciare cosa sta succedendo in Iran. Con video, interviste e post sui principali social network Pegah racconta le violenze e i soprusi del regime nei confronti dei tanti giovani che hanno preso parte alle proteste scoppiate dopo l'uccisione di Mahsa Amini per mano della polizia morale iraniana. E in breve tempo è diventata un punto di riferimento a livello mondiale sui temi dei diritti umani e, in particolare, sulla lotta delle donne iraniane per la libertà di un’intera nazione. «L’Occidente deve capire che quelle stesse persone e quella stessa generazione che altrove può permettersi di pensare al futuro, in Iran vive oggi in condizioni che non sono umanamente accettabili. Noi non possiamo accettare che delle bambine di 8-9 anni vengano picchiate, come si è visto anche in un video che ha fatto il giro del mondo: una bambina con il viso insanguinato solo perché portava male il velo» racconta in un’intervista rilasciata a Startupitalia.
I suoi genitori non vedevano per lei e suo fratello un futuro in Iran e così hanno deciso di cambiare Paese e di trasferirsi in Basilicata. Della sua infanzia in Iran, Pegah ricorda una netta differenza tra quella che era la vita privata e quella pubblica. Nel privato, ognuno era libero di essere se stesso mentre quando erano in pubblico dovevano comportarsi in modo diverso. Un episodio, in particolare, è rimasto indelebile nella memoria di Pegah. Un giorno, sarà stato il 1998 o ’99, sua madre viene fermata dalla polizia morale per via dello smalto rosso che aveva sulle unghie. Quella volta sua madre aveva rischiato l’arresto e, molto probebilmente, la tortura. Come sia riuscita a evitarlo Pegah non lo sa, ma ricorda perfettamente la sensazione di paura che lei e suo fratello avevano provato quel giorno.
In diversi video e interviste, Pegah spiega che prima del regime imposto da Khomeini nel 1979 in Iran c’erano donne che indossavano lo chador e donne che portavano la minigonna. Il velo è stato imposto quando è stata costituita la Repubblica islamica. E non ha niente a che fare con la religione. Il Corano, infatti, dice di coprirsi il capo durante i momenti di preghiera, ma nel resto del tempo le donne possono decidere di farlo o meno. Imporre lo hijab è stato un modo simbolico che il regime ha pensato per contrapporsi all’occidentalizzazione voluta e messa in atto dallo Scià anni prima. I canoni di comportamento imposti dal regime non riguardano solo le donne. Gli uomini, per esempio, non possono indossare i pantaloncini e nessuno può baciarsi o abbracciarsi per strada.
Ma la libertà di scelta, il rispetto dei diritti umani e la tolleranza fanno parte del popolo e della cultura iraniana da sempre. Sui suoi canali social Pegah spiega come già l’imperatore persiano Ciro il Grande avesse stabilito per i popoli del suo impero la libertà di professare la loro religione e di parlare la loro lingua. Anche la musica e la danza sono state molto limitate dal regime. Dal 1979 è permesso ascoltare solamente la musica revisionata dall’Istituto di censura. E non si può ballare per strada. Proprio per questo la musica e il ballo sono diventati oggi un potente veicolo di protesta. Queste ragazze e questi ragazzi hanno deciso oggi di «tenere alto il volume, senza più paura». Ma il rischio che questi giovani corrono pubblicando online video di balli o canzoni è alto.
Sul palco di Sanremo, Pegah ha ringraziato tutti «a nome di tutti i ragazzi iraniani perché ricordate al mondo che la musica è un diritto umano». Poi ha aggiunto: «E per spiegare meglio il dramma che i miei coetanei stanno vivendo nel nostro paese, vorrei usare la melodia e le parole di una canzone che è diventata l’inno della rivoluzione. L’ha composta Shervin Ajipour, musicando i tweet che i ragazzi hanno scritto sulle libertà negate. Shervin per questo è stato arrestato e il suo account silenziato. La canzone si chiama Baraye che in italiano vuol dire: Per…»
È questo il momento in cui su quel palco arriva anche Drusilla Foer e alle loro spalle iniziano a scorrere le immagini delle proteste. In sottofondo, si sentono le note di Baraye. Drusilla ne recita alcuni versi seguita da Pegah che spiega cosa si rischia in Iran oggi. «In Iran si rischiano fino a 10 anni di prigione se si balla per strada o se si ascolta musica occidentale». «Nella prigione di Evin ci sono più di diciottomila tra intellettuali, dissidenti e prigionieri politici che spariscono nel silenzio». «In Iran si paga con la vita il desiderio di esprimere la propria femminilità». «Se si è omosessuali si rischia l’impiccagione». E poi, dopo diverse altre testimonianze della repressione perpetrata dal regime in Iran, Pegah e Drusilla concludono ripetendo insieme «Per la libertà… per la libertà». Un invito a non arrendersi.
Pegah diventa un’attivista a 15 anni, dopo aver sperimentato sulla sua pelle cosa vuol dire non avere diritti. Durante il terzo anno di liceo, Pegah torna a casa da scuola con in mano un programma e l’euforia di un’adolescente che lascia casa con gli amici per la prima volta. La sua classe, infatti, andrà in gita scolastica in Inghilterra. Imbarazzati e dispiaciuti, i suoi genitori le dicono che lei a quella gita non può partecipare. È complicato, le dicono. E alle sue richieste di sapere il motivo, rispondono che non può perché non ha ancora la cittadinanza italiana. Senza cittadinanza, infatti, non può richiedere il visto come i suoi coetanei e, quindi, deve rimanere a casa. A Pegah crolla il mondo addosso. Vive in Italia, parla italiano anche meglio di alcuni italiani –le ripetono i suoi amici –, si sente italiana ma… per la legge non lo è. Viaggi, scambi internazionali, borse di studio e concorsi pubblici sono tutte le situazioni "normali" a cui le seconde generazioni, chiamate anche third culture kids, o ragazzi della terza cultura, non hanno accesso. Oggi per avere la cittadinanza in Italia si deve fare richiesta dopo 10 anni di permanenza nel nostro paese e attenderne altri 5 per averla (sono i cosiddetti tempi burocratici). Ma se nel frattempo compi 18 anni e diventi maggiorenne devi fare un’altra richiesta perché la prima non vale più. Ora sei adulto e quindi devi richiederla a nome tuo, la cittadinanza, come racconta Pegah. Lei alla fine ci ha messo 13 anni per ottenerla. Anni in cui, suo malgrado, è stata una cittadina di serie b.
Crescendo, Pegah si scontra anche contro gli stereotipi di genere. Dopo il liceo linguistico, infatti, la giovane decide di iscriversi a ingegneria edile-architettura. Tanti le dicono che non ce l’avrebbe mai fatta, sia per la formazione linguistica sia perché era una facoltà vista ancora come prettamente maschile. E invece Pegah ce la fa. Ma non solo. Da queste sue esperienze personali, Pegah prende spunto per dedicarsi ai temi dell’inclusione sociale e dell’empowerment femminile nelle discipline Stem. Poi, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, Pegah diventa anche la voce dei suoi coetanei iraniani. Una voce potente, che sfrutta ogni occasione digitale e non per portare attenzione su quello che sta accadendo in Iran. Parallelamente, Pegah continua a impegnarsi sul fronte dell’inclusività, dell’empowerment delle donne, della cittadinanza dei ragazzi della terza cultura, dell’etica digitale e del linguaggio. Per questo suo impegno, Pegah ha ricevuto diversi riconoscimenti. Tra questi, è stata insignita a Palazzo Montecitorio del premio Internazionale Standout Woman Award e inserita nella lista creata da StartupItalia delle 100 persone che hanno fatto la differenza nel 2022.
A chi le chiede se ha paura a esporsi così tanto, Pegah risponde che sì, a volte ce l’ha. Il regime ha spie ovunque e con loro non si scherza. Ci sono stati diversi casi di attivisti minacciati. Bisogna stare davvero attenti. Per questo Pegah non si geolocalizza mai nei suoi post. In tutto questo, però, Pegah ha scoperto anche che c’è una rete buona a supportarla. Sono tanti gli italiani che hanno cura di lei. E tanti sono anche gli iraniani in Italia. Insieme, formano una rete di sostegno e mutuo soccorso. Perché non si può smettere di denunciare quello che sta accadendo in Iran. Non ci si può voltare dall’altra parte e far finta di niente. La libertà e i diritti di ogni essere umano vanno difesi, sempre e ovunque nel mondo.
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