Episodi di Storie di Donne
01. «L’oggetto 2 è una foto, scattata il 20 ottobre 2017, il giorno in cui mi sono tinta i capelli di rosa»
A parlare è Carolina Capria, scrittrice e sceneggiatrice, seduta a un tavolino in una location che sembra essere stata presa da un film francese. In questo video, pubblicato da Roba da Donne, Carolina racconta attraverso tre oggetti tre limiti che ha superato. «Ci sono una serie di cliché sul fatto che le donne cambino colore di capelli e pettinatura perché vogliono cambiare» continua Carolina parlando dell’oggetto numero 2. «In realtà questa foto rappresenta il superamento per me di un altro limite. Era un desiderio che avevo da un sacco di tempo, quello di tingermi i capelli di un colore un po’ insolito. E non l’avevo fatto fino ad allora perché mi ero un poco fatta frenare dall’opinione comune. Invece, quel giorno lì, ho deciso che non mi importava. E quindi mi sono tinta i capelli del colore che volevo io. Capelli che tuttora porto perché mi piace come mi fanno sentire, più che come mi stanno. Non so come mi stiano. Non mi interessa. Mi fanno sentire bene e mi va bene.»
Di desideri imposti dalla società e di desideri desiderati davvero, Carolina parla anche nel suo TEDxPutignano. Carolina inizia raccontando un ricordo di bambina, e cioè la prima volta che è andata al cinema con i genitori. Il film era un classico della Disney, Cenerentola. Carolina confessa che ancora oggi, come allora, ha una fiducia cieca nella narrazione. E così, da bimba, ha creduto come tante di noi che Cenerentola fosse fortunata ad aver incontrato il principe azzurro che l’ha salvata da una situazione difficile. Situazione da cui lei, in autonomia, non sarebbe mai potuta uscirne. Poi, crescendo, a Carolina sono venuti diversi dubbi sulla veridicità di queste narrazioni. A domandarsi se davvero Cenerentola fosse fortunata o se quello che la Disney aveva raccontato in quel modo così edulcorato non fosse altro che un cliché sociale. Ma non solo. Inizia anche a riflettere se i desideri che prova sono davvero i suoi. O se, invece, sono il frutto delle mille narrazioni con protagoniste donne indifese e inadatte alla vita – ma belle e docili – in attesa di essere salvate da un principe azzurro.
«E più andavo avanti nella mia vita» afferma Carolina «più i desideri che la società mi diceva che dovevo desiderare aumentavano: essere considerata da tutti bella e attraente, sempre, anche dagli estranei; sentirmi protetta, facendo mia l'idea che il mondo fosse un posto pericoloso, e che io non potessi calpestarlo da sola. Alcuni di questi desideri divennero delle vere e proprie tappe obbligate, come diventare madre, ed essere poi gioiosa e grata 24 ore su 24, senza mai sentirmi inadeguata, senza mai sentirmi stanca, accettando con un sorriso il peso della genitorialità che nella nostra società grava, quasi esclusivamente, sulle madri. Per lungo tempo, io ho creduto che questi fossero i miei desideri: del resto, perché avrei dovuto dubitarne?» Già, perché? Se una donna dice di non volere dei figli, chi le sta attorno la redarguisce dicendo che se ne pentirà. Che è solo questione di tempo e di occasioni. Che poi se dopo una certa età non sei sposata è perché nessuno ti ha voluta, mica l’hai scelto tu.
«Decidere di non sottostare alle aspettative di genere è forse il compito più difficile che una persona possa affrontare» sottolinea con forza Carolina. E conclude il suo intervento sottolineando come non esistano desideri degni di essere realizzati e altri che non lo sono. Se si desidera il grande amore, va bene. Così come va bene desiderare il matrimonio o la maternità. Quello che non va bene e che va cambiato è dare per scontato che per tutte le donne sia così. Le donne non desiderano un principe azzurro che le salvi o che risolva i problemi. Le donne desiderano solo di poter avere la libertà di desiderare quello che davvero vogliono.
02. Carolina è una scrittrice, autrice televisiva e attivista
Scrive soprattutto romanzi e saggi per un pubblico di giovanissimi, in cui parla di gender gap, stereotipi di genere ed empowerment femminile. Negli ultimi anni, però, ha scritto anche un paio di saggi più per adulti, ma sempre su questi temi, e sempre guidati dall’idea che imparare a esprimere sé stessi sia una necessità. La carriera di scrittrice è sbocciata un po’ per caso. Come spesso capita, tutto ha avuto inizio da un concorso a cui Carolina ha partecipato e dall’amore viscerale per la lettura. Era il 2007 e da quel momento Carolina non ha più smesso di scrivere, pubblicando una quarantina di libri e lavorando anche per progetti di altri autori. L’amore per la lettura, invece, è nato a casa dei nonni. Nella loro abitazione, i libri erano custoditi in una grande libreria di legno decorato e tirato a lucido. Questo ha sempre dato a Carolina l’idea di avere tra le mani qualcosa di importante quando prendeva un libro dalla libreria e iniziava a leggerlo. Si sentiva privilegiata. Era una fortuna possedere tanti libri e potersi perdere tra le loro pagine.
Nel 2018 Carolina ha avuto un’idea che potremmo definire rivoluzionaria nella sua semplicità. Ha creato uno spazio virtuale in cui parlare di libri scritti da donne. @lhascrittounafemmina nasce su Facebook per poi diventare anche una pagina Instagram molto amata. Frequentando il mondo dell’editoria, Carolina si è resa conto di quanto sia ancora oggi molto piramidale. Manovalanza femminile e dirigenza maschile. In più, come lei stessa ha scritto nel primo post della sua pagina «non posso neppure contarle le volte in cui un bambino/ragazzino mi ha detto che lui non li leggeva i libri scritti dalle femmine e per le femmine, dando per scontato che se sulla copertina di un libro compariva il nome di una donna, quella storia fosse stata scritta per bambine/e ragazze». Il nome del profilo – l’ha scritto una femmina – deriva proprio dall’esperienza di Carolina con i bambini delle scuole. Ma qui lei lo usa in senso opposto, dandogli una connotazione positiva. In una video intervista a Alley Oop de Il Sole 24 Ore, Carolina racconta come una volta, andando per le scuole con una collega a presentare una serie che avevano scritto insieme, i bambini fossero inizialmente un po’ ostili nei confronti del personaggio principale – una sirenetta – nonostante le sue avventure fossero neutre dal punto di vista del gender. Ma il solo fatto che il libro fosse stato scritto da due donne, dava loro la sensazione che sarebbe stato noioso da seguire. Per fortuna, sono bastati un paio di appuntamenti per far cambiare loro idea ma questo è servito da cartina tornasole per capire quanto il pregiudizio che se qualcosa è scritto da una donna allora va bene solo per un pubblico femminile sia ancora radicato nella nostra società.
«Molti dei miei amici » continua Carolina nel suo post iniziale «anche i più intelligenti e attenti, persone che stimo molto - spesso non hanno letto capolavori e classici della letteratura come Orgoglio e Pregiudizio e Cime tempestose, perché vittime dello stesso inconscio pregiudizio. In tanti (troppi) è radicata l’idea che gli scrittori scrivano per tutti, le scrittrici scrivano per le donne». A questo poi si aggiunge la necessità di molte autrici di firmarsi con uno pseudonimo, spesso ambiguo o tendente al maschile, per essere prese in considerazione. Un esempio? J.K. Rowling o le sorelle Brontë diventate i fratelli Bell.
03. Ma quale potrebbe essere il motivo di questo gender gap?
Secondo Carolina molto probabilmente si tratta di un fatto culturale. «Ci sono sempre poche donne che si mettono in campo perché si sentono inadeguate in uno spazio che non è proprio. Io frequento molto le scuole e mi rendo conto della differenza tra ragazzi e ragazze, il ragazzo prende sempre prima la parola» ha dichiarato in un’intervista a Startupitalia realizzata all’interno di Unstoppable Women. «Siamo abituate a non prendere spazio. Io non ho mai alzato la mano in classe perché avevo paura anche del giudizio estetico: quando si prende la parola si viene giudicate anche esteticamente. Un altro esempio pratico della differenza maschio/femmina già in giovane età è che si dice sempre alle bambine che sono timide; mai ai bambini».
La stessa Carolina all’inizio non credeva che così tante persone avrebbero partecipato attivamente a questo suo progetto. E invece, non solo c’è molta curiosità nello scoprire o riscoprire firme al femminile, ma sono iniziate anche discussioni costruttive, confronti d’opinione, scambi per costruire un terreno comune di dialogo a più voci. E poi alcune autrici di cui Carolina ha parlato nei suoi profili social, e che nel tempo erano andate fuori catalogo, sono state ripubblicate, visto l’interesse delle persone nel leggerle di nuovo.
La letteratura al femminile non è né più né meno importante di quella al maschile. Entrambe sono fondamentali perché permettono di avere punti di vista diversi – e complementari – su quello che ci accade sia come persone sia come società. Aver relegato la letteratura femminile a una categoria per pochi – anzi per poche, visto che le donne leggono tutto, mentre gli uomini fanno più fatica a leggere libri scritti da donne – ha decisamente impoverito la nostra società. Per questo iniziative come @lhascrittounafemmina sono così importanti. Ci permettono di riscoprire la nostra profondità. Di immedesimarsi in personaggi che ci aiutano a crescere e a formarci un’identità. E parlare di desideri imposti o desideri davvero desiderati è un altro tassello per poter raggiungere quella libertà che ogni essere umano merita.
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