Digital customer care e competenze: quali non devono mancare al giorno d'oggi
Ecco come cambiano le skill con il customer care digitale
17min
Ecco come cambiano le skill con il customer care digitale
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Che il customer care sia profondamente cambiato in questi ultimi anni è qualcosa di cui ci rendiamo conto anche quando siamo dall’altra parte, quando, cioè, da clienti o aspiranti tali ci troviamo a chiedere informazioni, cercarle online, così come quando attendiamo di ricevere soluzioni ai nostri problemi.
Lo sanno, ovviamente bene, tutte le aziende che creano o distribuiscono prodotti, sia B2B che B2C, così come quelle imprese che si occupano essenzialmente di servizi. Ma lo sa chiunque svolga un lavoro a contatto con il pubblico, anche da libero professionista. Il customer care è importante per un’azienda sì, ma lo è allo stesso tempo anche, per esempio, per un medico o per un avvocato. E questo perché in quelle due parole inglesi, customer e care, è racchiusa la sua essenza: cura per il cliente. Che è anche attenzione, sollecitudine, non solo assistenza clienti come erroneamente si crede.
Aggiungere l’aggettivo digital a tutto ciò vuol dire, però, sparigliare le carte in tavola e stravolgere il modo in cui questa cura al cliente si esplica. E non solo le modalità, ma anche i canali, gli strumenti, tutto quello che porta a creare una relazione con il cliente e a mantenerla nel tempo. Il digital customer care, infatti, richiede molte delle competenze che sono proprie del customer tradizionale o anche offline, ma ne richiede tante di nuove e profondamente diverse.
E questo innanzitutto perché è cambiato il customer journey, ossia il viaggio che il cliente compie per arrivare all’acquisto finale e mantenere poi il rapporto con l’azienda.
Nel customer care tradizionale il percorso è rettilineo: inizia con l’awareness, presa di consapevolezza da parte del consumatore di dover trovare la soluzione a un problema o la risposta a un bisogno.
In questa fase il consumatore conosce il prodotto o servizio tramite canali diversi di solito “presidiati” e decisi dall’azienda. Il viaggio prosegue poi con la familiarity per cui il prodotto comincia a essere riconoscibile, si va verso la consideration quando l’aspirante cliente lo prende in considerazione, valutandone caratteristiche e costo per poi arrivare al purchase, acquisto, e alla loyalty, fidelizzazione.
Il customer journey nell’era digitale è un viaggio molto più arzigogolato, ha un andamento altalenante, può essere anche a “puntate” perché il cliente o ipotetico tale può cominciare a prendere consapevolezza di un bisogno, fare delle ricerche e poi fermarsi lì. Così come nel momento in cui sta per effettuare l’acquisto non trova le risposte a ciò che sta cercando e abbandona il suo carrello. Il viaggio inizia sempre con l’awareness, procede sempre con la consideration e il purchase ma a queste tre fasi si aggiungono quelle della retention e dell’advocacy, ossia del trattenere il cliente e conservarlo nel tempo e l’aiutare a far sì che diventi promotore del brand, una sorta di brand ambassador.
Anche perché, come dice Dan S. Kennedy in “Magnetic marketing”: un cliente che si sente attratto da noi e dal nostro prodotto si avvicina sempre più finché arriverà il momento in cui procederà all’acquisto, e lo farà in modo autonomo e consapevole: in poche parole sentirà di averci scelti. Con questa sensazione, sarà più propenso a restare fedele alla nostra azienda, a parlare di noi ad amici e conoscenti.
Tutto questo,va da sé, richiede competenze diverse rispetto al passato, che vanno oltre la conoscenza del prodotto o servizio che si deve vendere. Vediamole in dettaglio.
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L’ascolto è una competenza che possiamo definire di base per chi fa customer care, digitale o no, che sia. Ma sul web, sui social media, su tutti i canali digitali dove si possano attivare più punti di contatto possibile, è un ascolto che non si basa solo su quanto viene detto, ma sul sapere interpretare cosa c’è dietro quelle parole. È un ascolto attivo, è un prestare attenzione, saper leggere tra le righe e sapere interpretare gli eventuali non detti.
A questo si aggiunge la capacità di interpretare il sentiment. Possiamo dire che l’ascolto è il primo passo che prevede, come successivo, quello di capire quali sono le convinzioni e le valutazioni che le persone si sono create sulla base di sensazioni, emozioni e impressioni nate a seguito di determinate campagne promozionali, di determinati post social e tanto altro. Reazioni che spesso non sono razionali, ma come si suol dire “di pancia”.
Chi si occupa di digital customer care deve sapere che l'interpretazione del sentiment non è propria solo del social media manager, ma che la cura del cliente passa anche dal capirne lo stato d’animo con cui ci sta contattando su Messenger di Facebook o con un messaggio privato su Instagram. Percepire qual è l’intenzione, cosa c’è dietro dei puntini di sospensione per esempio, dietro l’uso di determinate parole con il digitale è molto importante, se non cruciale.
Le doti comunicative sono sempre state richieste a chi fa customer care, anche non digital, anzi fanno parte del cosiddetto pacchetto base di chi si prende cura del cliente. Ma con il mondo digitale non si tratta solamente di capacità di fare un discorso, di condurlo, di farlo in modo educato, ma anche coinvolgente e tutto quello che probabilmente già sappiamo.
Nel digital customer care saper comunicare vuol dire avere prima una conoscenza delle specificità di ogni canale digitale e, di conseguenza, capacità di adattamento mettendo in campo quanto abbiamo detto poco sopra.
Una chat su WhatsApp ha caratteristiche diverse rispetto a un messaggio privato su Twitter, così come rispondere a un commento sotto il feed di Instagram ha una valenza diversa rispetto al farlo in privato, anzi bisogna proprio capire quando è il caso di lasciare la conversazione in pubblico o spostarla nel privato. E se si sceglie la prima modalità, capire come condurla sia nei confronti del cliente che ci sta facendo le sue osservazioni che di tutti gli altri che potranno leggerla anche successivamente. Il saper comunicare implica tutto questo e anche di più.
Nei canali digitali rientrano anche le e-mail ma non solo: le recensioni su Google, su Facebook, su TripAdvisor, tutti luoghi non presidiati dall’azienda come i suoi canali ufficiali ma che vanno monitorati e gestiti con una comunicazione ad hoc.
Saper scrivere al giorno d’oggi può essere considerata una competenza base per qualsiasi lavoro si faccia, lo è ancora di più nel digital customer care. La scrittura infatti presuppone dei passaggi in più rispetto al verbale per tutta una serie di motivi. A parte il fatto che “scripta manent”, quando si scrive, manca la voce a dare supporto a quanto stiamo dicendo e rispetto a quando si è vis à vis mancano anche le espressioni facciali, lo sguardo, i movimenti che si fanno con il corpo. Tutte cose che nella scrittura devono comunque essere trasmesse se vogliamo costruire davvero una relazione con il cliente, prospect o acquisito che sia.
La scrittura infatti deve tener conto del tono di voce con cui l’azienda vuole comunicare e chi si occupa di digital customer care è un’interfaccia preziosa perché ha il contatto più diretto con il cliente. Ecco perché se il tono di voce, per citare le parole di Valentina Falcinelli (copywriter e a capo dell’agenzia Pennamontata) nel libro “Testi che parlano” è “il modo in cui confezioniamo i nostri testi, è la somma di tutte le scelte stilistiche e linguistiche che facciamo, parola per parola”, va da sé che chi si occupa di customer care deve prestare tantissima attenzione a come scrive.
Deve saperlo fare in modo chiaro e non ampolloso, diretto e non infarcito di retorica, evitare parole difficili, dunque, ma anche anglismi se non strettamente necessari così come abbondare con termini tipici del linguaggio tecnico o aziendale. Scelte del genere possono trasmettere al cliente distacco, freddezza, ma anche voglia di darsi un tono e di non mettersi davvero nei suoi panni e aiutarlo. Meglio prediligere chiarezza e trasparenza e adattarsi al tono di voce che l’azienda ha deciso per la sua comunicazione. Se è entusiastico o spiritoso, non si può essere troppo seri così come viceversa.
Dal greco “soffrire insieme” nel senso di sapersi mettere nello stato d’animo di chi sta vivendo una determinata situazione, l’empatia è l’evoluzione dell’ascolto e serve tanto quanto nella comunicazione orale quanto nella scrittura. Empatia per un’azienda vuol dire scendere dal piedistallo e mettersi a fianco del cliente, non di fronte, non guardarlo dall’alto in basso, ma sullo stesso livello per guardarlo meglio e guardare le cose dalla stessa prospettiva.
Per chi fa customer care digitale vuol dire adattare il tono di voce della risposta allo stato d’animo della persona con cui si sta parlando, farlo sentire ascoltato prima che giudicato, una persona prima che un numero.
Agire in modo empatico porta diversi vantaggi, innanzitutto alla brand reputation oltre che in ottica di assistenza clienti perché si diminuisce il numero di interazioni totali. Ma porta anche vantaggi alla stessa persona che fa customer care.
Se questa è “L’era del cuore” - come recita il titolo del libro di Luca Mazzucchelli - bisogna ricordare che, più che concentrare l’attenzione sui dettagli delle azioni che compiamo, bisogna invece focalizzarci sul loro significato.
In ottica customer care, pensare che che si sta aiutando qualcuno a stare meglio, a perdere meno tempo per la resa di un prodotto o il funzionamento di un servizio per dedicarlo alla famiglia, o più semplicemente a essere meno arrabbiato, ci aiuta a cogliere il significato più profondo di quello che facciamo per lavoro.
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Sembrerebbe una non competenza ma in realtà lo è ed è strettamente legata all’empatia di cui parlavamo sopra. Se ci mettiamo davvero nei panni di qualcuno, capiamo non solo che è sempre necessario dare una risposta alle sue domande e anche alle sue lamentele, ma che è anche doveroso per non dare seguito ad altri commenti negativi.
Inoltre rispondere a un commento in pubblico denota non solo attenzione al cliente, ma fa vedere che il brand è attento e non si trincera dietro i suoi prodotti o dietro il suo fatto di essere una grande azienda. Mai invece cancellare un messaggio né del cliente, soprattutto senza comunicargli il perché, né un’intera discussione: gli screenshot son sempre dietro l’angolo e possono rovinare quanto abbiamo fatto finora.
Saper rispondere presuppone un’altra skill tutt’altro che scontata: la gentilezza. Quando qualcuno è profondamente arrabbiato sembra che non ci sia niente da fare che non farlo sbollire eppure a volte una parola che sdrammatizza o che centra proprio il punto, invitando la persona a riflettere, può essere molto utile.
Peraltro la gentilezza, è quasi una “droga”: genera infatti il cosiddetto Helper’s High aumentando i livelli di dopamina nel cervello e creando una sensazione di profonda euforia seguita da una piacevole calma. Spesso non ci si ricorda neanche da cosa è stata generata, ma resta quasi per tutta la giornata o quantomeno ne migliora sensibilmente alcune ore. È l’effetto di quando qualcuno aiuta una persona in difficoltà ad attraversare la strada o a recuperare tutti gli effetti personali che si sono sparpagliati sul marciapiede o porta le pesanti borse della spesa. Questo si può rendere anche sul digitale.
Non solo gentilezza, nel digital customer care ha un ruolo importante l’intelligenza emotiva definita da Peter Salovey e John D. Mayer in un articolo intitolato appunto “Emotional Intelligence” “la capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”.
Alla luce di questo, bisogna saper gestire critiche, lamentele o atteggiamenti aggressivi senza prendere nulla a titolo personale. Essere intelligente dal punto di vista emotivo vuol dire capire le situazioni e affrontarle con il giusto pacchetto di emotività. Significa evitare termini o toni che possano fare innervosire e da cui possano scaturire situazioni ancora più negative come i reclami e allo stesso tempo contenere i botta e risposta, anch’essi fastidiosi e controproducenti.
Un altro fattore chiave quando si fa customer care digitale è, neanche a dirlo il tempo, che come dice B.Joseph Pine II,coautore insieme a James H. Gilmore, nel libro “The Experience Economy”è il concetto chiave nell’economia dell’esperienza. È infatti una risorsa limitata così come, sappiamo, è scarsa l’attenzione delle persone. Secondo uno studio portato avanti dalla Microsoft, la nostra soglia di attenzione ha una durata di 8 secondi ecco perché, come suggerisce Google, “be there, be useful, be quick”. Ossia bisogna cercare di essere lì dov’è il cliente, di essere utili e allo stesso tempo veloci.
Far aspettare troppo le persone vuol dire non solo creare un’attesa condita da impazienza, ma scatenare una miriade di messaggi nei canali più disparati e di conseguenza averne molti di più da gestire.
La tempestività pertanto è una competenza, quel che conta è che sia coniugata a tutto quello che abbiamo detto sopra e che non sconfini mai nell’irruenza, cosa che nel customer care è sicuramente un boomerang.
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Pensare di fare customer care e di essere di supporto solamente per bisogni, domande ed esigenze legate al prodotto o servizio dell’azienda è, in un mondo in cui c’è una sovrabbondanza di contenuti, piuttosto limitante. Una persona che si rivolge al servizio clienti, che fa domande tramite i social può porre quesiti anche su argomenti affini al prodotto o che esulano da questo ma si spostano più sul campo delle informazioni.
Per capirci meglio: se lavori per una compagnia aerea, specie in questo periodo, puoi aspettarti domande che riguardano direttamente i voli, gli orari, ecc… ma anche domande su eventuali contagi, sulle tempistiche dei tamponi, su com’è la situazione in determinati Paesi, su cosa bisogna fare all’arrivo, come bisogna organizzarsi prima di partire e tanto altro ancora. Tutte domande che una persona può cercare su Google, ma che può porre anche a te. Ecco perché in quest’ottica avere una visione più ampia, utilizzare dei tool che sono specifici per la SEO (Search Engine Optimization) o più semplicemente il motore di ricerca stesso può essere d’aiuto nell’anticipare certe esigenze e certi dubbi.
Peraltro il motore di ricerca con i suoi suggerimenti quando si digita una query (domanda) sulla barra bianca di ricerca o che con le correlate in fondo alla pagina dei risultati (SERP) dà già indicazioni preziose sui dubbi dei clienti.
Sono skill del customer care tradizionale, ma nel digitale avere l’intuizione commerciale ed essere proattivi, non solo reattivi, può fare la differenza. E questo è proprio grazie al modo in cui viene condotta la conversazione e al mettere in campo quanto abbiamo detto prima. Se si ascolta davvero il cliente, se ci crea una situazione empatica, si può lavorare in ottica di up-selling, ossia nel proporre alla persona con cui si sta interagendo una versione più costosa (up) del prodotto che aveva comprato in precedenza e riguardo alla quale può illustrarne i benefici basandosi sulla fiducia acquisita.
Una conversazione con ottimi presupposti può aiutare anche nell’attività di cross-selling ossia nel provare a persuadere il cliente ad acquistare i prodotti cosiddetti “correlati”,andando a individuare esigenze complementari. Un esempio: un casco per la bici per chi ha appena acquistato una bicicletta, un supporto per il televisore per chi ne ha appena acquistato uno.
Tutto questo è però possibile se è chiaro quanto il digital customer care possa essere una leva di business e se marketing e comunicazione collaborano strettamente. E si riconosce alla cura del cliente online un ruolo davvero strategico.
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