Cosa sono le buyer personas
In cosa si differenziano dal target e come aiutano a vestire i panni del tuo pubblico
17min
In cosa si differenziano dal target e come aiutano a vestire i panni del tuo pubblico
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Episodi di Per un pugno di like
Qualsiasi progetto si abbia in mente, sia esso rivolto solo all’online, sia ibrido - online e fisico - o solamente fisico, la conoscenza del proprio pubblico è fondamentale per la sua buona riuscita. Mai avere un’idea senza che si pensi davvero a chi ne può trarre vantaggio, può trovarla efficace o addirittura risolutiva per un bisogno ben specifico. Come abbiamo detto nell’articolo dedicato alle startup e ai loro fallimenti, se non è chiaro questo legame tra progetto e pubblico, si rischia di fare un grosso buco nell’acqua. Se viene meno il concetto di utilità per tante persone o solo per una nicchia, è come se tutto fosse aria fritta.
E se come diceva Peter Drucker, economista e saggista, “l’obiettivo del marketing è quello di conoscere e capire il proprio cliente e fare in modo che il nostro prodotto/servizio si adatti alla perfezione” questo vale ancora di più nell’epoca che stiamo vivendo. Un’epoca in cui, se ci pensi (ma lo saprai già), la concorrenza è di tutti contro tutti.
Basti pensare ad Amazon che, già nel suo logo, aveva esplicitato il suo obiettivo finale: vendere tutto dalla A alla Z. Amazon è infatti - ormai lo sappiamo - tutt’altro che uno store di libri e, come ricorda Brad Stone nel libro “The everything store”, il motto del sito creato da Jeff Bezos infatti cambiò dall’essere prima “la più grande libreria della Terra" a "Libri, musica e altro", per diventare subito dopo "Il più grande assortimento della Terra: il negozio di qualunque cosa”.
Ecco perché in epoca di pandemia - ma anche prima - è diventato concorrente di brand come Esselunga o qualsiasi altro supermercato che consegni la spesa a casa. Come ormai da tempo è concorrente di negozi di telefonia o elettronica, ma anche arredamento per la casa e così via. Amazon, ovviamente, è un esempio molto “alto”, ma converrai che se è vero che bisogna individuare i propri diretti competitor ce ne sono tanti altri che sono indiretti.
E qui torniamo al nostro discorso sul conoscere chi c’è dietro il nostro prodotto/servizio e verso cui noi tendiamo quando ancora questo non è conosciuto. Mai dire “Mi voglio rivolgere a tutti”, in un mondo in cui nessuno è uguale all’altro, questo è un errore davvero grossolano. Lo è ancor di più pensare di pescare nel mucchio, ma bisogna avere chiare le caratteristiche delle persone che potrebbero utilizzare il servizio.
Il che non vuol dire che un prodotto o servizio successivamente possa anche diventare di massa, ma credici: è molto raro al giorno d’oggi, tranne per qualche Amazon della situazione. Anche se pure Amazon, sebbene sia strausato non lo è da tutti: sono in tanti a preferire gli acquisti fisicamente o se devono scegliere un rivenditore online optano per altro. Identificare dunque la propria audience è fondamentale, ma negli anni si è assistito a una sorta di cambiamento nei diversi modi di affrontare questo delicato passaggio.
Jeff Bezos e il successo di Amazon 11 minThe Everything Store
La parola target per esempio per alcuni è considerata desueta o meglio non perfettamente in linea con il mondo in cui stiamo vivendo. Cerchiamo prima di capire cosa si intende per target e poi perché molti preferiscano parlare invece di buyer personas. A ogni modo, quello che vorremmo fare emergere in questo articolo è che se è vero che non è possibile prevedere il successo di un’idea, ci si può concentrare sull’aiutare i propri utenti a fruire al meglio del proprio servizio.
È quanto, per esempio, si evince dal libro “Non funzionerà mai” in cui si racconta la storia di Netflix e si dice come, per sopravvivere sul lungo termine e per far trovare ai clienti i film giusti, i fondatori hanno iniziato a raccogliere dati sulle preferenze e a chiedere recensioni. Tant’è che, molti anni dopo, si parlerà addirittura di un modello Netflix per cui la piattaforma reagisce costantemente e “impara” da quello che gli utenti fanno o dicono.
Netflix: un'idea che si trasforma in un successo 21 minNon funzionerà mai
audience, si tratta di un segmento di pubblico che ha una definizione molto vasta e che viene fuori da sondaggi in cui si analizza la popolazione per “fasce”: età, genere, luogo in cui vive e così via. Ossia si ragiona su delle caratteristiche che non sono strettamente specifiche ma che possono accomunare per esempio tutte le persone che hanno tra i 30 e i 40 anni in Italia e così via. Si segmenta, cioè, il pubblico secondo variabili geografiche, socio-demografiche, comportamentali e psicografiche e si chiude lì.
Non che non funzionasse o non funzioni ovviamente, tant’è che molti sondaggi partono sempre da questo modo di ragionare, ma nel marketing odierno si cerca di dare dei tratti molto più caratterizzanti e di andare più a fondo nelle abitudini dei propri clienti tipo.
Il target invece tara la comunicazione su aspetti più generali. D’altronde, con la parola target, che appunto significa bersaglio, si intende più l’obiettivo che si vuole raggiungere con un prodotto o servizio, con un certo tipo di comunicazione e così via.
Diverso è il discorso quando si parla di buyer personas, una coppia di parole che è una commistione tra l’inglese di buyer, acquirente, e il latino di persona che con questa parola indica la maschera indossata dagli attori in scena.
A usare per la prima volta il termine buyer personas fu Alan Cooper che non è un uomo di marketing, ma che nasce come programmatore il quale, al momento di creare un software che potesse incontrare sempre di più le esigenze dei potenziali utenti, intervistò delle persone per capire i loro gusti e soprattutto le loro esigenze. È quanto racconta nel libro “The inmates are running the asylum” che in italiano è stato tradotto con il titolo “Il disagio tecnologico” che forse non rende molto l’idea. (Da sapere: il libro, edito da Apogeo, nella versione in italiano è fuori catalogo).
Quello che spiega Cooper e che poi è entrato a pieno titolo nel marketing odierno è un concetto che va oltre le generalizzazioni e i dati ottenuti tramite le ricerche statistiche generali. Ricerche che ovviamente sono sempre molto importanti e degli ottimi punti di partenza, ma con le buyer personas si va molto più a fondo.
Con buyer persona si intendono, dunque, dei profili fittizi di clienti o ipotetici clienti che però hanno delle caratteristiche molto reali. A cosa servono? A entrare in maggior contatto con le persone a cui ci si riferisce, a calarsi nei loro panni.
Permettono infatti di definire e capire il proprio pubblico e ti aiutano non solo a soddisfare le esigenze con il tuo prodotto o servizio, ma possibilmente ad anticiparle. Ecco perché devono essere super realistiche.
La cosa importante è che le buyer personas partano dallo studio di clienti che esistono già e dalle analisi dei cosiddetti insights, che possono essere i più svariati. Se abbiamo già dei canali social da questi possiamo prendere dei dati importanti, così come se abbiamo già un sito tramite Google Analytics, possiamo capire come si comportano gli utenti con i contenuti che proponiamo, quanto restano dentro, da dove li visualizzano e così via.
Ma la base di partenza non è solo quella digitale, gli insights vengono anche dagli incontri fisici: se si hanno dei negozi è importante parlare con i clienti per capire cosa piace e cosa no, analizzare i loro comportamenti d’acquisto.
L’ideale sarebbe intervistare i clienti - magari dando qualche omaggio in cambio della partecipazione - per parlare direttamente con loro o farlo per telefono.
Più informazioni si raccolgono più si va nel dettaglio anche perché un modello di buyer persona che funziona deve partire dal fatto che la persona abbia un’età e un nome - che sono sì inventati ma servono per creare delle carte d’identità che potrebbero essere reali - dopodiché vanno individuati la città dove vive, la sua famiglia, la formazione che ha e il ruolo che ricopre al lavoro.
Inoltre bisogna cercare di capire quali siano il suo potere d’acquisto o decisionale. Si andrà ancora più nel dettaglio a seconda di quello che è il nostro prodotto o servizio. Per capirci meglio: puoi restare generico sulla città dicendo che la tua buyer persona vive in una metropoli, ma se il tuo servizio è solo su Roma o Milano e se su queste città offri delle differenze nelle modalità d’uso o hai intenzione di farlo, devi esplicitare meglio il tutto.
Detto questo, i passi successivi riguardano il comportamento della tua persona ossia com’è una giornata tipo (da descrivere dalla mattina alla sera), che dimestichezza ha con il computer ma anche con il mondo mobile, quali sono i suoi obiettivi nella vita e quali sono i suoi timori (ovviamente che abbiano a che vedere con il tuo prodotto o servizio), quali social media utilizza e che uso fa del web.
Potresti poi continuare definendo cosa sta cercando rispetto al prodotto o servizio che offri così come immaginare come possa essere arrivata a conoscerti o come potrebbe arrivare. E ancora: in che modo puoi aiutarla, come puoi fidelizzarla. Infine, se hai fatto già un’analisi del tono di voce, potresti inserirlo sempre in questa fase. Come vedi, con le buyer personas si va molto più nel dettaglio rispetto al target.
E infatti rispetto al target, come abbiamo già avuto modo di anticipare, la differenza consiste proprio in questo: questo si basa su dati più generici che fotografano la realtà in base a determinati indicatori sociologici, economici e così via.
Le buyer personas vanno molto più in profondità e ci permettono di immaginare la persona che abbiamo davanti. Ecco perché molti esperti di marketing consigliano anche di accompagnare tutto quanto abbiamo detto sopra con una foto o un'immagine in modo che la nostra persona tipo sia sempre più realistica.
Inoltre le buyer personas possono diventare delle reader personas quando si sta facendo un’analisi di possibili lettori, per esempio di un blog o di un giornale online ma anche fisico. Nel mondo del recruiting marketing, le buyer personas diventano candidate personas, ossia non sono dei possibile acquirenti ma sono dei candidati che si vuole intercettare con la propria ricerca di personale.
Ovviamente per creare delle buyer personas davvero concrete dovremmo partire da un brand, dai suoi valori, dal prodotto o servizio e da tutti quei dati di cui parliamo sopra, ma qui vogliamo delineare due tipi di buyer personas per darti degli esempi concreti.
Facciamo dunque finta che siamo i proprietari di un servizio di car sharing con tanto di app e con la possibilità di tenere la macchina anche per diverse giornate oltre che di usarla per pochi minuti. Le nostre due buyer personas sono Filippo e Laura che hanno entrambi tra i 30 e i 40 anni e vivono a Milano.
Filippo vive a Milano da diversi anni, laureato in economia, ha una carriera avviata nel mondo delle assicurazioni e si sposta sempre in auto, è un single convinto, ha potere decisionale e di acquisto molto alto. Una sua giornata tipo lo vede a volte in ufficio perché fa corsi ai colleghi che stanno iniziando il lavoro, altre volte da clienti che lo sono da tempo. Viene mandato da loro quando questi non hanno intenzione di rinnovare.
Lavora dalla mattina alla sera, fa pausa pranzo con panino o qualcosa di pronto al bar, una volta uscito dall'ufficio va in palestra o incontra gli amici, raramente torna a casa. Si sposta molto in città ma essendo anche un ecologista preferisce la metro o la bici. Come obiettivi ha quello di crescere nel lavoro, come paure quelle di non riuscire per qualche intoppo e allo stesso tempo di non avere il giusto tempo per sé.
Può essere interessato al car sharing per tutte le volte che è di fretta o deve andare dall'altra parte di Milano o magari deve accompagnare una persona a casa. Usa molto Facebook e Instagram, ma non disdegna LinkedIn. Può arrivare a noi tramite i social oppure tramite una DEM, direct email marketing, o ancora tramite un annuncio sui bus, alle fermate, in metro ecc… Potremmo fidelizzarlo offrendogli sconti in base all'uso che fa della macchina e così via.
Laura ha la stessa età, laureata in giurisprudenza, lavora come praticante in ufficio di avvocati, è la mamma di una bambina di 3 anni e mezzo, sposata, vuole diventare avvocato e avere uno studio suo. Di macchina ce n’è solo una in famiglia e in generale la usa lei, ma il marito sta lavorando in una sede più lontana difficile da raggiungere e ne ha sempre più bisogno. Così come lei per via della bambina che, essendo piccola, difficilmente va sui mezzi.
La sua giornata scorre tra lo studio, l'andare in tribunale e poi andare a prendere la bambina alla materna, andare con lei al parco, fare la spesa insieme a lei e preparare la cena visto che il marito torna tardi. Pochi svaghi, tanti impegni, pertanto il car sharing per lei potrebbe essere utile perché per ora non può comprare un'auto e così non ha problemi di parcheggio. Usa tantissimo Instagram e Facebook, è iscritta a diversi gruppi di mamme, ma anche di avvocati in erba.
Possiamo raggiungerla attraverso dei contenuti dentro i gruppi, stories con vantaggi per le mamme che usano il car sharing e mostrando servizi ad hoc e così via. La fidelizziamo con contenuti su mamme in carriera e alla guida, ma con poco tempo, con indicazioni per fare alcune delle attività in poche ore e così via. Sono ovviamente due esempi, ma vediamo come i due che abitano nella stessa città e aspirano a crescere professionalmente hanno caratteristiche ed esigenze diverse.
In rete si trovano vari modelli così come vari tool. Tra questi ultimi te ne segnaliamo tre in particolare: uno è MakeMyPersona, gratuito e sviluppato da Hubspot, piattaforma di software e che offre vari strumenti per la gestione del marketing. Per utilizzare al meglio questo strumento basta rispondere a una serie di quesiti e man mano si creerà una persona in automatico. Finito tutto il percorso sarà creata una carta d’identità da utilizzare a proprio piacimento. Ovviamente, se ne possono creare più di una. Concluso il percorso, infatti, riceverai la “carta d’identità” della persona, un documento in Word che arriverà dritto al tuo indirizzo di posta elettronica.
L’altro è UserForge che ha dalla sua il fatto che le personas create possono essere condivise con i propri collaboratori pertanto si può partecipare tutti insieme facendo co-creazione. Questo tool è freemium ossia ha delle caratteristiche gratuite e altre a pagamento. C’è poi Xtensio, in cui si trovano tanti template adattabili a diversi tipi di aziende e che permette di risparmiare anche del tempo. Quel che conta, ricordalo, è la raccolta dei dati, i tool servono solo per convogliare al meglio il tutto e dare un aspetto grafico. Puoi anche fare un word o un Google Doc purché riporti tutte le caratteristiche che ti permettono di definire al meglio il personaggio. Se non è così, le buyer personas servono davvero a poco. Infine, ricorda che non sono “cristallizzate” nel tempo ma che possono cambiare come cambiano le persone e come cambiano i tuoi dati e l’uso dei tuoi canali o dei tuoi prodotti da parte del tuo pubblico. Così come se cambi servizi o prodotti avrai bisogno di buyer personas. Anche perché dobbiamo ricordare come dicono Gabriel Weinberg e Justin Mares in “Traction”, l’unica strada è quella della sperimentazione per testare l’efficacia di quanto vogliamo mettere in campo. Questo perché la progettazione non ti faccia perdere il contatto con la realtà che deve essere sempre vivo.
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