Cosa avevano in comune Hitler, Lenin e Roosvelt?
Scopri il legame tra economia e società osservando le risposte a una crisi
12min
Scopri il legame tra economia e società osservando le risposte a una crisi
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Episodi di Sociologia Pop
Scienziati e scienziate della società bentornati a tutti ad un nuovo episodio 4books di Sociologia Pop. Sempre Paolo Petrucci in arte Giovani Sociologi Crescono che parla. Il titolo della puntata di oggi è provocatorio, metto le mani avanti, è chiaramente provocatorio. Cosa avevano in comune Hitler, Lenin e Roosvelt? È provocatorio perché sono tre antipodi, no? Uno rappresenta la democrazia liberale, uno il nazismo ed uno il comunismo. Eppure, secondo la lettura di Karl Polanyi, che è uno storico ed economista ungherese, anche sociologo in parte, una cosa in comune la hanno. La hanno se intendiamo il Nazismo di Hitler, il comunismo di Lenin e il New Deal di Roosevelt, che sarebbe un piano di riforme che promosse negli anni 30’, come delle risposte. Ma risposte a che cosa? Come dico sempre, facciamo un passo indietro. Uso molto spesso questa espressione perché contestualizzare è tutto. Prima di tutto, per chi non sapesse cos’è la sociologia economica, la possiamo definire come quella branca della sociologia che ha il compito di spiegare come le persone sono giunte a comportarsi in un certo modo, però specificatamente nell’ambito economico. Quindi osserva in pratica le azioni economiche degli individui, le preferenze, se acquistano, cosa acquistano, il lavoro… e poi prosegue, non si ferma qui: le mette in rapporto con le istituzioni di quella società. Le istituzioni come lo stato, la religione, la proprietà privata e così via. Quindi vede il rapporto tra le azioni economiche delle persone e i costrutti sociali di una società. Come i primi influenzano i secondi e viceversa. Riducendo all’osso, guarda al rapporto tra sociologia ed economia, o tra società ed economia. Vedetela così: il braccio destro della sociologia economica è: “ In che modo le istituzioni di una società, i costrutti di una società, i simboli, la cultura influenzano le azioni economiche?”. Un esempio storico di questa domanda, che già è stata posta tra l’altro è: essere protestanti piuttosto che cattolici, influenza la nascita e lo sviluppo del capitalismo? Quindi società freccia economia. Dall'altra parte il braccio sinistro della sociologia economica è l’opposto: ”quali sono le conseguenze sociali e culturali delle azioni economiche? Per esempio: vivere in un contesto di capitalismo rende le persone più individualistiche? Rispetto a quelli che vivono dove il capitalismo è meno presente? Quindi economia freccia società. Tutto chiaro? Bene. Adesso possiamo rispondere alla domanda provocatoria della puntata. Saliamo a bordo della time machine, come dico sempre io, e andiamo indietro nel tempo. Quando leggete 1800, scendete. Siamo quindi nel 19esimo secolo: 1800. Questo secolo qui da una prospettiva di Sociologia Economica, è un secolo molto importante e determinante, perché è il secolo d’oro del capitalismo liberale. Quando ancora il capitalismo e il mercato erano regolati pochissimo dallo stato, se non per niente. Erano lasciati liberi, quindi autoregolati. Perché in cent’anni non ci fu neanche una guerra particolarmente dura. Parlo di quelle dure, nette, evidenti che lasciano il segno. Quindi spiega Polanyi in questo periodo il mercato rimane libero, crea crescita, una forte crescita della produzione e degli scambi, perché gli stati erano in pace. Però i periodi d’oro non durano per sempre, e col tempo iniziano ad emergere tensioni sociali e politiche. Cominciano a manifestarsi palesemente le difficoltà del capitalismo liberale a tenere insieme la crescita economica da un lato, e stabilità sociale dall’altro. Tipo per esempio sulle realtà più piccole pesava la concorrenza perché non era regolata come oggi, oppure la classe operaia pretendeva più riconoscimento sociale. Quindi inizia a sorgere la necessità di dargli una frenata a questa situazione, diciamo. Però c’è un problema: dare una frenata a questo mercato autoregolato significava frenare gli scambi internazionali, e quindi la situazione era ricca di tensione in senso economico. E poi c’è la grande guerra, la prima guerra mondiale nel 1914, e dopo nulla torna come prima. I costi economici e sociali, manco serve ricordarlo, sono altissimi e anche dopo, nonostante i tentativi di ricostruire l’ordine che c’era prima, le condizioni economiche e sociali restano instabili a livelli estremi. Quindi arriviamo agli anni ‘20: gli Stati dell’Europa sono affaticati, quindi iniziano a fare ricorso a prestiti giganteschi forniti dagli Stati Uniti, però la ripresa economica è lenta, la disoccupazione resta elevata, i conflitti sociali e politici rimangono presenti. E questa situazione dei prestiti crea rischi alti, perché la dipendenza dai prestiti americani dell’economia europea è molto elevata. L’interruzione dei prestiti americani potrebbe avere effetti a catena che sono disastrosi sull’economia europea e mondiale. E indovina, spoiler, è ciò che accade. Tutte queste tensioni sociali ed economiche, si accumulano, si accumulano, si accumulano sempre di più fino a sfociare in quella fase storica che viene chiamata la Grande Crisi del 1929. Uno sconvolgimento economico e sociale che parte dagli Stati Uniti e poi diventa planetario. Depressione, crollo della produzione, fallimenti a catena delle imprese, picchi di disoccupazione mai raggiunti in precedenza. Ed è qui arriva il punto: per Polanyi la Grande Crisi può essere considerata non solo una crisi appunto, ma anche uno spartiacque nella storia economica e sociale. Perché? Perché per cercare di fronteggiarla, tutti i paesi, ai tempi, si vedono praticamente obbligati a inventare nuove forme di politica economica alternative a quelle del liberismo puro, a quelle del capitalismo totalmente libero. Ogni Stato crea la sua alternativa, e la crea a suo modo, secondo la sua storia, secondo la propria cultura, secondo i propri costrutti e secondo la propria società. Questa cosa qui è affascinante. Una situazione del genere veramente eccezionale, perché era mondiale, e porta tutte le società del mondo, per lo meno del mondo sviluppato, piano piano ad allinearsi sulla stessa necessità e facendole arrivare tutte alla stessa conclusione: signori, dobbiamo darci una calmata. Dobbiamo trovare nuove forme di politica economica alternative. La società non regge più, non ce la fa più. Quindi dobbiamo trovare una soluzione. Il punto affascinante della lettura di Polanyi è questo: tutte le società arrivano alla stessa conclusione, ma in modo diverso. Per Polanyi il New Deal di Roosevelt, il presidente degli Stati Uniti, il socialismo in Russia di Lenin, i regimi fascisti di Hitler e Mussolini in Europa, sono state risposte diverse certo, ma allo stesso problema. Cioè erano forme di autodifesa che le società si erano inventate per fronteggiare quei danni che vi ho spiegato fino ad adesso. Per fronteggiare il conflitto tra il funzionamento del mercato e le esigenze della vita sociale dall’altra. Che quindi fossero quindi i regimi fascisti, le riforme del governo democratico americano, il socialismo russo, erano tutte esperienze nate dal fallimento del capitalismo liberale, che cercavano di ripristinare quelle forme di regolazione sociale che erano saltate con i mercati autoregolati, in cui era la società che dipendeva dall’economia. Quindi stesso problema e diverse società = diverse risposte allo stesso problema. Questa cosa è affascinante, come fai a dire che non ti apre un mondo. Tu dai un problema a una società, e quella società te lo risolve in modo diverso in base alle sue caratteristiche. Che poi “risolve” lo mettiamo tra virgolette, per lo meno prova a risolverlo. Ed è una riflessione affascinante, la puoi utilizzare in un sacco di casi, non necessariamente solo in questo. Poi ci tengo a specificare che questa è una lettura alternativa di Karl Polanyi. Non dobbiamo dimenticare due cose importanti che poi ognuno di questi tre esempi ha. La prima riguarda le altre cause scatenanti che non sono solo economiche, ma anche politiche, culturali… e seconda cosa, che queste altre cause che hanno portato a queste tre situazioni sono diverse tra loro. Nel senso: le risposte erano allo stesso problema ma erano molto diverse tra loro, a causa di altri fattori scatenanti, tipici di ogni società. Per esempio, le cause del Nazismo incluso il fascismo, provengono in grandissima parte anche dai malcontenti per le condizioni di pace durissime inflitte alla Germania dopo la prima guerra mondiale. Per il fascismo discorso simile, si l’Italia aveva vinto, ma gli era stata attribuita la famosa “vittoria mutilata” e non aveva ottenuto tutto ciò che voleva. Quindi nel caso del Nazi-fascismo, il senso di rivalsa sociale ma anche psicologica, individuale pesava, pesava parecchio. Stesso discorso per la rivoluzione russa che ha portato all’affermazione del comunismo in Russia: le cause provengono dalla diffusione degli ideali Marxisti, che lì evidentemente avevano fatto presa di più, ed erano stati diffusi di più, così come anche tra le cause il malcontento del popolo russo per la carestia di circa 20 anni prima. Il governo dello Zar era stato accusato di non averla saputa fronteggiare. Per carità sono varie e la situazione è complessa. Però ecco per esempio, guardate come si ricollega a Polanyi, sapete qual è un'altra causa del malcontento della popolazione russa che portò alla rivoluzione? L’incapacità del governo dello Zar nello gestire il processo di industrializzazione, che aveva creato moltissimo sfruttamento, miseria a livelli altissimi, vittime. La gestione era risultata pessima, vedete che si ricollega? Poi c’è anche un’altra specifica, sono in vena di specifiche in questa puntata, che vorrei ricordare, che il capitalismo, attenzione a non dipingerlo solo come qualcosa di negativo, noi non ce ne rendiamo conto ma ha anche lati positivi, soprattutto considerando che oggi non è più ultra liberale come nel periodo che vi ho raccontato. Molto spesso ci si tende a polarizzare, soprattutto di questi tempi in cui i social network dividono in bianco e nero, ma il capitalismo ha anche portato a dei benefici rispetto a com’era il mondo precedente, ed è anche vero che fino ad ora altre forme alternative efficaci fattualmente al sistema attuale non sono state trovate. Però questo è il capitalismo attuale, dove c’è consapevolezza del miglioramento, quello precedente completamente autoregolato, aveva chiaramente più falle. Poi dico anche i lati positivi così come anche i negativi che rimangono al giorno d’oggi, alcuni lati negativi rimangono, cioè il discorso è sfaccettato. Non lo affrontiamo come ad un partita di calcio, quello è l’importante. E mentre voi fate tutte queste riflessioni che vi lascio fare, siamo arrivati anche oggi alla fine di questo episodio, che è stato più storico ed economico del solito. Questa era un po’ di sociologia economica. Non è la branca della sociologia più interessante che io conosca, a mio parere, però ogni tanto ci sta. Grazie a tutti e tutte per l’ascolto. Facciamo una cosa, nella prossima puntata parliamo di ricchezza, ma non quella che pensate voi, di economia ne abbiamo parlato abbastanza, parleremo di ricchezza sociale. Non vi anticipo altro, lo faremo alla prossima puntata, vi saluto intanto. Io sono Paolo Petrucci di Giovani Sociologi Crescono e questa è Sociologia Pop.