Non è la “cosa”, è il significato che dai alla “cosa” (Seconda parte)
Impara a decifrare il ruolo delle maschere sociali nella vita quotidiana
13min
Impara a decifrare il ruolo delle maschere sociali nella vita quotidiana
13min
Episodi di Sociologia Pop
Scienziati e scienziate della società bentornati a tutti ad un nuovo episodio 4books di Sociologia Pop, parla Paolo Petrucci di Giovani Sociologi Crescono. Benvenuti alla seconda parte di due puntate dedicate all’interazionismo simbolico. Prospettiva folle, prospettiva che ti fa capire la relatività della realtà sociale. Questo perché? Perché non è la cosa, è il significato che dai alla cosa. Nella scorsa puntata stavamo vedendo i tre assunti fondamentali di questa prospettiva sociologica, il primo diceva che gli esseri umani agiscono nei confronti delle cose in base al significato che quelle cose hanno per loro. Il secondo punto diceva che il significato delle cose emerge dall'interazione sociale che un individuo ha con gli altri individui. E io vi ho lasciati proprio sul più bello, il terzo assunto. Il terzo assunto dice che questi significati attribuiti alle cose, di cui ho parlato tanto, vengono modificati attraverso un processo di interpretazione utilizzato dalle persone nell'affrontare le cose in cui si imbattono. Che cosa vorrà mai dire. I significati che le persone attribuiscono ai fatti sociali vengono modificati, definiti secondo la propria visione interiore. E questa visione interiore può dipendere dai propri valori, dalle proprie esperienze di vita, da come la società si è rapportata con te mentre si rapportava a quella determinata cosa, che sarebbe il punto due. Quindi i significati che tu attribuisci ai vari elementi della società, vengono definiti secondo la tua visione interiore, attraverso un colloquio tra te e te. Blumer ci sgancia l'ennesimo esempio ultra pratico di un aneddoto. Chissà se è accaduto veramente o no, nel senso: una cosa come quella che vi sto per raccontare sarà sicuramente avvenuta, chissà se Blumer in persona intendo si è trovato davanti a questa situazione. C'è la commessa di un supermercato, è un giorno come un altro, sta alla cassa, arriva un ragazzo con un articolo che deve comprare, è uno studente questo ragazzo, e le chiede uno sconto. Proprio esplicitamente le chiede uno sconto, un aiuto. Da qui, ci possono essere più evoluzioni di questa situazione: la commessa potrebbe rifiutare l'idea di aiutarlo, la stessa commessa potrebbe andare a chiamare il gestore del supermercato per chiedergli informazioni su che cosa dovrebbe fare: “c’è un ragazzo giovane qui che mi sta chiedendo una mano, che devo fare?”. Potrebbe aiutarlo senza avvisare nessuno, quindi mettendo il resto di tasca propria. Potrebbero esserci varie evoluzioni, ma per capire cosa la commessa farà e perché, un interazionista simbolico sapete che fa? Cercherà di mirare al mondo, tra virgolette, che c'è dentro la commessa.
La decisione che prenderà, a prescindere da quale sia poi, potrebbe dipendere, dice Blumer, da una marea di fattori. Per esempio se può permettersi o no di mettere soldi di tasca propria in quel momento, magari allo studente che è messo male economicamente è andata male, ha chiesto un aiuto ad una che sta messa peggio di lui. Oppure magari se di recente ha avuto una discussione con gestore del supermercato, la commessa per fargli un dispetto potrebbe dire: “sai che c’è? Lo aiuto io questo ragazzo qui, lo faccio apposta al mio capo”. Oppure magari anche la forza fisica, la stazza dello studente magari potrebbe essere influente, o perché no anche il carisma o il fascino di quella persona. Se la commessa deciderà o no di aiutarlo potrebbe anche dipendere, per esempio, dall'idea che lei ha delle persone che si trovano in quella situazione. Magari lei già ci si è già trovata in passato a chiedere uno sconto su qualcosa perché non aveva i soldi per comprarlo, le è andata bene? È riuscita a farla franca? E se sì, a quale prezzo sociale? Vedete, si attiva una specie di colloquio tra sé e sé nel decidere come fare una cosa, come definire un elemento della società. E la comprensione del processo di interazione con se stessi è cruciale per l'interazionismo simbolico, è importantissimo si basa su quello sostanzialmente. Comprendere il processo di interazione delle persone con se stesse. Questi erano i tre punti fondamentali che Herbert Blumer ci suggerisce. Come ormai però avrete capito da questo podcast, da quello che vi racconto, la sociologia ha tantissimi protagonisti. Io fino ad ora vi ho nominato in particolar modo Herbert Blumer ma non ancora il sociologo secondo me più affascinante dell’interazionismo simbolico, che è proprio quello che vi nominerò adesso: sto parlando di Erving Goffman, candese classe 1922. Goffman è storico nella sociologia perché ha inventato in questa disciplina la metafora delle metafore. Uno dei parallelismi più azzeccati della storia per far capire un concetto sociologico, intramontabile: la metafora del teatro. Se io vi dicessi che siamo tutti attori, io sono un attore che indossa una maschera, voi siete degli attori, tu in questo momento che mi stai ascoltando sei un attore. Se io e te in questo momento fossimo uno di fronte all'altro e stessimo chiacchierando interagendo, io non starei interagendo col vero te, starei interagendo con la parte di te che tu usi quando parli con gli altri, e la stessa cosa vale per me. Ci crederesti? Perché è quello che Goffman ci dice e adesso vi spiego meglio che cosa intende questo mito. Il termine tecnico che Goffman utilizza quando usa questa metafora del teatro è “prospettiva drammaturgica". Il nostro agire è condizionato da come si vuole apparire agli altri. La nostra vita, sia in senso generale che in senso quotidiano, consiste nell'immagine che noi vogliamo costantemente trasmettere agli altri, alle persone intorno a noi. E la stessa cosa avviene al contrario: noi non riceviamo gli altri direttamente, noi riceviamo l'immagine che gli altri vogliono dare di loro. Questa cosa noi non la facciamo soltanto a parole, noi non trasmettiamo l'immagine che vogliamo trasmettere agli altri solo a parole, ma lo facciamo in tantissimi modi. Il come ci vestiamo rappresenta l'immagine che vogliamo trasmettere agli altri, lo stile generale della nostra persona lo usiamo per l'immagine che vogliamo trasmettere agli altri, la musica che ascoltiamo, lo humor che abbiamo, i cibi che ci piacciono, così come quelli che non ci piacciono, tutto ciò noi lo usiamo per trasmettere agli altri un'immagine di noi socialmente costruita da tutti questi fattori. Questo perché? Perché siamo tutti degli attori in realtà, indossiamo tutti una maschera quando siamo a contatto con gli altri, da qui la metafora del teatro. Ed esattamente come in un teatro esiste il palco ed esiste il retroscena, il dietro le quinte. Sapete a che cosa corrispondono questi due posti della metafora nell'analisi sociologica? Il primo caso, cioè quando l'individuo si trova sul palcoscenico, corrisponde a quando è in interazione con gli altri, quando è a contatto con gli altri. Quindi come abbiamo detto fino ad ora, quando dà una determinata immagine di sé, indossa la maschera su questo palco, e utilizza tutti i mezzi che ho nominato prima per generare quell'immagine che vuole dare agli altri. Il secondo caso cioè quello del retroscena, del dietro le quinte corrisponde a quando lo stesso individuo non è a contatto con nessuno, è da solo, non sta interagendo con altri. E se non sta interagendo con gli altri, non sente più di dare agli altri quell'immagine socialmente costruita. Quindi di conseguenza può togliersi la maschera, non la indossa. Che se ci pensate è esattamente quello che fa un attore. Che cos'è che fa un attore? Quando sta sul palco recita una parte: è mascherato, è truccato, ha un copione, interpreta un personaggio…Perché c'è un pubblico che lo sta guardando, che nella metafora sarebbero le altre persone con cui un individuo interagisce quando è con gli altri. Quando invece è nel retroscena l'attore può uscire fuori dal personaggio, quindi si può togliere la maschera, si può togliere il trucco, può evitare di avere quel comportamento che ha avuto fino adesso sul palco. Goffman è convinto del fatto che tu che mi stai ascoltando, quando sei con gli altri sei una persona, quando sei da solo sei un'altra persona. Lo stesso discorso vale per me ovviamente, per i nostri amici, parenti, partner, nessuno è escluso. La vita sociale si basa su questi due ambiti: il palco e il retroscena. Rispettivamente quando interagiamo con gli altri e quando siamo da soli. Siamo tutti impegnati a mostrarci nel modo migliore possibile, a pubblicizzarci nel modo più efficace possibile. Siamo dei teatranti sociali costantemente ogni giorno, talmente tanto abituati che non ce ne rendiamo nemmeno conto. Sapete come la possiamo dire in un altro modo? Possiamo dire che cerchiamo di veicolare, di guidare l'idea che gli altri possono avere di noi. Ci piace proprio questa cosa di cercare di guidare l'idea che gli altri hanno di noi, è molto importante per noi, è quasi una droga, non ne riusciamo a fare a meno. Ma la cosa interessante di questo ragionamento, che ci dice il nostro sociologo, è che molto spesso questi due diversi noi, tra virgolette, possono essere in contrasto tra di loro. Qui arriva il pepe del ragionamento: siccome siamo tutti attori in realtà, indossiamo tutti delle maschere, certi comportamenti che noi abbiamo con gli altri possono essere ridicolmente diversi dai comportamenti che abbiamo quando siamo da soli. Facciamo un esempio. Prendi l'esempio di un cameriere. Quando tu vai al ristorante, vedi un cameriere che ti serve, è impegnato a fare che cosa? È impegnato a dare un'immagine di sé come quella di una persona che si preoccupa per te, ti assiste, ti porta da mangiare ti porta, da bere, è a disposizione delle tue richieste. Quindi per motivi derivanti dalla pressione sociale nel fare quel lavoro correttamente, un cameriere cerca di darti un'immagine precisa.
Appena quel cameriere varca il confine dalla sala da pranzo per andare in cucina, dove in quel momento non deve interagire con gli altri, magari ti può maledire alle spalle, ti può offendere, ti può sputare nel piatto. Perché magari è fine settimana, è stanco, e tu gli stai chiedendo le cose più assurde. Può imprecare mentre fino a un secondo fa era lì, tutto bello e sorridente, ultra accogliente. Tutto ciò appena cessa l’interazione sociale, cioè appena passa dal palcoscenico al retroscena. C’è un altro esempio che è ancora più palese di quello del cameriere, probabilmente è l’esempio più azzeccato di tutti. Parlo dei politici: quanta self-confidence hanno i politici in televisione quando noi li vediamo, quanto appaiono sicuri di loro stessi, sorridenti, invincibili? E soprattutto quanto fanno vedere che amano il proprio elettorato? Qui l'immagine di persone che indossano la maschera e recitano per i politici è perfetta direi, anche su questo una volta una puntatina non sarebbe male. Poi magari quando quel politico, che un'ora fa stava tenendo un comizio, con una folla urlante che lo adorava, slogan su slogan, a voce alta mentre batteva i pugni torna a casa, si scopre che è uno stressato, un insicuro. Succede molto spesso, a un sacco di potenti. Ecco è quel concetto lì. Questo ovviamente era solamente un esempio, quello del cameriere in questione così come il politico in questione. Nel primo caso, a contatto con gli altri, si comportavano in quel modo, perché? Perché sentivano la necessità di dare l'immagine che volevano dare quando erano a contatto con gli altri. Nella metafora? Erano sul palcoscenico. Poi all’improvviso personaggi completamente differenti, quando si staccano dall'interazione sociale con gli altri. Nella metafora? Quando vanno nel dietro le quinte. Riflessione di Goffman fantastica, probabilmente il concetto più famoso dell'interazionismo simbolico, e sicuramente uno dei più famosi della sociologia in generale: la drammaturgia di Erving Goffman. Bene scienziati e scienziati della società, siamo arrivati alla fine di questo mini viaggio di due puntate sull'interazionismo simbolico. Sono riuscito a mettervi un pochino in crisi? Perché se sì, allora ho svolto correttamente il mio lavoro. L’interazionismo simbolico è così, è da fuori di testa. È una prospettiva un po' più di nicchia nella sociologia rispetto alle altre, urla un po’ di meno dei colleghi conflittualismo e funzionalismo. Io sarò onesto: preferisco i primi due due, però che riflessioni sono quella di Herbert Blumer e quella di Erving Goffman. Fantastico. Cioè dopo che li studi tu fai: “ma cosa c'è di vero nella mia vita? Cioè io fino adesso che cosa ho vissuto?”. Come il meme “non so più che cosa sia reale”, ecco è uguale. Spero che vi sia piaciuto questo piccolo mini viaggio, io vi saluto e vi do appuntamento alla prossima puntata. Wow, ormai siamo arrivati alla fine anche di questa stagione. Non vi anticipo nulla sul finale, ci sentiamo direttamente alla prossima puntata. Io sono Paolo Petrucci di Giovani Sociologi Crescono e questa è Sociologia Pop.