Preferiamo la narrazione all'originale
Scopri perché oggi consumiamo l'informazione invece di assimilarla davvero
12min
Scopri perché oggi consumiamo l'informazione invece di assimilarla davvero
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Episodi di Sociologia Pop
Scienziati e scienziate della società bentornati a tutti ad un nuovo episodio 4books di Sociologia Pop. Siamo all'ultimo episodio della terza stagione e la concluderemo in bellezza come siamo sempre abituati a fare. In questa puntata finale parliamo di un tema che personalmente mi è molto caro, proprio mi tocca personalmente: le narrazioni. Noi oggi viviamo in un'epoca in cui badiamo più all'informazione che al significato reale delle cose. Questa che vi racconterò oggi è la riflessione di Jean Baudrillard, sociologo francese, è molto probabile che la mia pronuncia francese del suo cognome sia pessima. Sociologo che infatti ricordiamo soprattutto per i suoi studi sui media, sulle narrazioni. Più che altro la trovo un sacco interessante come riflessione perché è incredibilmente attuale, forse è la puntata di questa stagione che più tocca con mano il presente, più descrive il mondo di oggi.
Ora, il pubblico di 4books non so bene come sia distribuito in età, però immagino che almeno un social lo avranno le persone in ascolto. Noi viviamo le nostre vite, apriamo Instagram, Tik Tok, la sezione notizie dei browser, e quanto tempo siamo su Internet, quanto tempo siamo davanti ad un cellulare? E poi accendiamo la televisione e ci sono i telegiornali, e vediamo video, immagini, suoni, senza dimenticare anche poi le riviste, i giornali e così via. Noi siamo bombardati da un flusso di informazioni costante, soprattutto fatto di immagini di video. Attenzione qui: il nostro sociologo ci vuole dire che tutte queste informazioni che riceviamo, che sono tantissime ogni giorno, noi non è che le capiamo veramente, oppure le assimiliamo, no. Le consumiamo. Come se fossero dei film, come se fossero del cibo, o in generale un prodotto commerciale. Qui “informazioni” è anche inteso in senso generico, cioè qualsiasi informazione sulla realtà che ci arriva tramite i media, non necessariamente la notizia giornalistica. Ecco queste informazioni arrivano come prodotti per la consumazione. Questo a causa di che cosa? A causa dei mezzi che ce le fanno arrivare in questo modo: smartphone, televisione, social, che vogliono la velocità, vogliono i click, vogliono l'istantaneità.
Tutto questo ci ha portato sapete a che cosa? A vedere la realtà non tanto negli oggetti in sé, negli elementi stessi, ma più nel come vengono narrati, riprodotti. Come se la realtà fosse morta, in un certo senso, ti dice Baudrillard. E chi l'ha uccisa? Pensateci. Considerando lo stile dei media tipici di oggi, del modo di fare dei media di oggi, chi è che ha ucciso la realtà? La sua rappresentazione. Oggi la rappresentazione della realtà è diventata più importante della realtà stessa. A causa di questi strumenti che 1) semplificano all’estremo un evento, una qualsiasi cosa da narrare, gli tolgono tutte le sfumature, gli tolgono il vissuto, lo asciugano al massimo. Perché se lo devi raccontare tramite social e tramite i tipici strumenti di oggi devi fare così. E 2) questo processo lo applicano a centinaia e centinaia di eventi, di fatti da raccontare, creando questo flusso di informazioni costante, enorme, che conosciamo quando siamo a contatto con i media di oggi.
L'attenzione che prima della rivoluzione industriale c'era nei confronti degli oggetti in senso generico era maggiore, perché? Perché siccome non c’era tecnologia abbastanza sviluppata come quella che abbiamo oggi, che permetteva di riprodurlo milioni se non miliardi di volte, allora l'oggetto stesso aveva un valore molto più grande. Quasi intoccabile, perché non c'erano modi per riprodurlo in serie come succede oggi. Vi faccio il solito esempio pratico. Prendete come esempio un quadro: si dice che sia evocativo, ben dipinto, tutti ne parlano bene. Trecento anni fa l'unico modo per vedere quel quadro sapete quale sarebbe stato? Averlo davanti. Fine. Avere la fortuna di essere nello stesso posto, o almeno nelle vicinanze della città in cui è il quadro in questione, trovare un modo per vederlo, fino ad averlo davanti. Fine, non c'era un altro modo. Al massimo potevi incorrere in un falso, ma quante probabilità c’erano? Insomma era tosta comunque. Non avresti mai potuto vedere quel dipinto prima, e non lo avresti più visto dopo, se non portando il ricordo nella tua mente.
Adesso immaginate la stessa identica situazione ma al giorno d'oggi. Pensate a quante volte avete visto o potete vedere quell'opera sulle pagine di arte su Instagram, pensate ai Tik Toker che vi spiegano l'arte, ce ne sono un sacco, pensate anche a quando l'avete dovuta studiare a scuola, il dipinto era lì, sul libro. Sì certo, in tutte queste situazioni non era quello vero, ma era una sua riproduzione a tutti gli effetti. Tutto questo, sia chiaro, è possibile per il progresso tecnologico del mondo moderno. Ma il nostro sociologo francese ci dice: se è possibile fare così tante copie di quell'oggetto, che siano virtuali, fisiche, comunque a milioni, se è possibile entrarci a contatto così facilmente, anche quando non ce l'ho davanti quello originale, allora l'oggetto reale perde la sua profondità, perde il suo significato, e perde anche il suo valore. Perché adesso il modello di un oggetto può essere replicato centinaia di volte. È diventata più importante la riproduzione del quadro piuttosto che il quadro stesso. Perché il 99% degli individui lo conosce in quel modo, tramite le sue riproduzioni, diffuse ovunque grazie alle tecnologie di oggi. Voi adesso questo esempio del quadro e delle repliche multimediali del quadro, e applicatelo a qualsiasi altra informazione. Anche il quadro in questo caso era inteso come “informazione”, per questo prima parlavo di "informazione" in senso generico, largo. Anche se è un'opera d'arte è un'informazione comunque.
E siccome ci siamo talmente tanto abituati a essere a contatto più con l'informazione e la narrazione, che con il significato profondo di ciò che ci arriva, adesso il reale non è più l'oggetto o la notizia originali, piuttosto lo è la sua narrazione. E noi per questo viviamo la questione in modo superficiale, veloce, a distanza tramite i video e le immagini. Questo intende Jean Baudrillard quando dice che la rappresentazione della realtà ha ucciso la realtà stessa. Trecento anni fa non era così, l'avvenimento nel mondo reale aveva molto più peso della sua narrazione, perché come ho detto più volte, non c'era una tecnologia così sviluppata per diffonderlo e farlo sapere a tutti come oggi. O vivevi quell'avvenimento, entravi a contatto con quell'oggetto, entravi a contatto con quell'informazione, oppure non lo vivevi proprio. O eri dentro o eri fuori, punto. E se tu quel determinato avvenimento lo vivi sulla tua pelle, tu cogli più sfumature di quell'avvenimento, i particolari, gli stati emozionali perché no, che hai vissuto mentre quella cosa avveniva. E soprattutto assorbivi tutta la complessità di quell'avvenimento, perché la realtà è molto complessa, questo non ce lo dobbiamo dimenticare mai. Non è scritto da nessuna parte che la realtà, le news riguardo quello che succede nel mondo, debbano essere qualcosa di semplice. Nel 99,9% dei casi la realtà è qualcosa di molto complesso. Però, i media di oggi devono fare informazione ed essere veloci, molto veloci, quindi semplificano tutto, asciugano tutto, e lo fanno a manetta. Noi tutte queste informazioni non siamo in grado di assorbirle bene, quindi ci rivolgiamo a questa estrema semplificazione della realtà, tipica dei media di oggi, e buttiamo al vento la complessità. Badiamo più alle informazioni che al significato reale delle cose.
Ma quali sono, a questo punto, le conseguenze di tutto ciò? La prima l’ho sostanzialmente già accennata inevitabilmente raccontando tutta la situazione finora: non desideriamo più vivere in prima persona l'esperienza autentica, ma preferiamo il come viene narrata. Ci sono però altre due conseguenze che dobbiamo assolutamente tenere in considerazione, ed è possibile definirli come due grandi problemi del mondo di oggi. La prima è che stando a contatto con questa narrazione così pompata, spettacolarizzata, fatta su qualsiasi tipo di informazione, in confronto le nostre vite ci sembrano noiose. Le nostre vite col tempo ci iniziano a sembrare in bianco e nero, più spente. Ma perché questo? Perché sono più noiose effettivamente? Assolutamente no, ci sembrano più spente, inanimate, perché la maggior parte delle informazioni a cui siamo sottoposti sono spettacolarizzate al massimo, pompate senza sosta sulle parti interessanti, quelle che attirano la nostra attenzione, però tagliate completamente, potate diciamo, delle parti più noiose, delle parti più spente, delle parti in cui ci sono dei momenti morti, che sono assolutamente normali. L’esempio degli esempi per eccellenza in questi casi, sapete qual è? Quello dei social network: sui social network le vite delle persone sono spettacolarizzate, piene di colori, immagini, suoni. Ma non è così nella loro vita vera, quella quotidiana. Perché tutte le persone nella loro quotidianità hanno momenti di noia, così come momenti di rabbia, momenti di frustrazione, ma anche momenti bellissimi, di divertimento, pieni di vita. Il punto però è che i social network ci fanno vedere soltanto quel 5% di vita, quello molto divertente delle persone, e poi lo spettacolarizza. Ma attenzione a non cadere in questo errore, non cadete in questo errore. I social non sono la realtà: sono una costruita narrazione della realtà. Appunto quello che abbiamo detto fino ad ora. Solo che però, sempre come abbiamo detto fino ad adesso, viviamo in un'epoca in cui ci piace più la narrazione della realtà che la realtà stessa.
L’altra conseguenza di questa informazione è un altro grande problema: l'eccesso di informazioni, tipico dell'epoca di oggi. Oggi più che mai viviamo in un contesto in cui grazie agli smartphone, abbiamo a portata di mano, abbiamo accesso a qualsiasi tipo di informazione. Da un lato, bisogna dirlo, è diminuito il divario digitale, sarebbe quel gap tra chi può avere accesso alle informazioni e chi no, e questo è positivo, però dall’altro si è accentuato il fenomeno del sovraccarico di informazioni. Abbiamo una situazione di sovraccarico delle informazioni quando una persona si ritrova ad avere troppe informazioni a proposito di un determinato elemento. Di conseguenza si ritrova in difficoltà nel regolarsi nei confronti di quell'elemento, nel prendere una decisione per esempio nei confronti di quell'elemento. Questo perché, ragazzi, esiste un limite assolutamente naturale alla nostra capacità di elaborare le informazioni. E sotto sovraccarico la nostra capacità di comprendere, di selezionare, viene meno, viene indebolita, come se andassimo in tilt. Il concetto ha senso oggi più che mai proprio a causa dei social network, di internet in generale che ci permette di entrare a contatto con un gigantesco flusso di informazioni. Purtroppo il quanto questo fenomeno sia serio è inversamente proporzionale a quanto sia conosciuto. Cioè è un problema palese tipico di oggi, ma non se ne parla molto. In futuro credo, spero che diventi centrale. Ad ogni modo tutto questo avviene perché ormai siamo, indovina, più abituati alla narrazione delle cose intorno a noi piuttosto che alle cose stesse.
Questo era l'insegnamento che Jean Baudrillard ci lascia. E ripeto come ho detto prima è molto attuale come riflessione. Ma la sociologia è anche questo no? Può aiutare a scovare i problemi, le falle diciamo della società, fartele sapere e certe volte, anche dirti come migliorarle, come risolverle. La nostra amata sociologia è anche questo, ed è il motivo del perché sto qui a parlarvene tra l'altro. Una disciplina così utile, perché è proprio utile, inutile girarci intorno, può far bene alla nostra società, però al contempo una disciplina che merita di essere conosciuta e diffusa ancora di più di come lo è attualmente, ed è il motivo di questo podcast. Ma potete farlo tutti voi, potete diffondere la sociologia il più possibile. Parlatene in giro, con amici, parenti. Bene questa sviolinata, scienziati e scienziate della società, è anche perché siamo ancora una volta alla fine di una stagione, la terza di questo podcast. Vi ringrazio come sempre per avermi ascoltato, fate i bravi mi raccomando, non lasciate la sociologia perché lei non lascerà voi. Io sono Paolo Petrucci di Giovani Sociologi Crescono e questa è Sociologia Pop.